Come si calcola il rischio reale per il tumore al seno
Lori Fiduciaria
Hope4 mi dispiace per la scomparsa di nonna e ti abbraccio. Le nonne sono importanti !
Condoglianze
Lori
Condoglianze
Lori
Mar fiduciaria
Buonanotte dottore
Buonanotte ragazze
Buonanotte ragazze
Arena
Hope4:
Manco da qualche giorno perché è venuta a mancare mia nonna.Mi dispiace molto......
Lost_
Hope condoglianze.
Buonanotte a tutti
Arena
Buonanotte a tutti
salvocataniaMedico Chirurgo
Hope4 :
Manco da qualche giorno perché è venuta a mancare mia nonna.Un abbraccio a tutta la sua famiglia
LindaTorino
Buona Pasqua a tutti...
IO CI SONO
Patri70
Vi auguro una Pasqua di Rinascita, Gioia e Speranza 🌷☀️🌻
Ginevra13
Buonanotte a tutti
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Fra76 Fiduciaria
💞Buona pasqua a tutto il blog 💞
DarkElena Fiduciaria
Serena Pasqua a tutti!
Buonanotte a tutti!
Annie.
Buona Pasqua Blog!!
salvocataniaMedico Chirurgo
La nostra storia la scriviamo noi – Capitolo 1
Riassumo gli scopi e obiettivi del blog attraverso i dati di uno studio personale, che non ha la pretesa di avere una dignità scientifica perché è solo uno studio osservazionale, che ha registrato, in 40 anni di osservazione, le “schede” di oltre 15.000 pazienti seguiti per almeno 20 anni, con il fine di standardizzare i principali fattori prognostici (oltre a quelli classici sui quali c'è poco da dire perché immodificabili dal medico e dal paziente).
Cercherò di mostrare tutti i passaggi storici a partire dagli anni ‘80, per dare evidenza al fatto che oggi il paziente non è solo un recettore passivo, come accadeva ai tempi della medicina paternalistica, ma è un protagonista attivo del suo destino.
Fattori prognostici
Possiamo distinguere i fattori prognostici in:
1) FATTORI PROGNOSTICI GENETICI IMMODIFICABILI (es. mutazioni genetiche)
2) FATTORI PROGNOSTICI CLASSICI IMMODIFICABILI (es. istologico)
3) FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI DAL MEDICO tra cui, il più importante, il placebo che deriva dalla capacità del medico di trasferire al paziente la FEDE nelle terapie e soprattutto la Speranza.
È un tema molto complesso, che rimando agli approfondimenti successivi, per farvi comprendere che il compito premeditato e non casuale del sottoscritto è stato ed è nel blog quello di somministrare sempre placebo per incrementare l'efficacia delle terapie, ridurre gli effetti collaterali delle stesse e alimentare SEMPRE la speranza.
Lo scrivo per la prima volta al tredicesimo anno di vita del blog perché l'effetto del placebo è molto più efficace se il paziente non è consapevole che lo sta assumendo.
Poi c'è una ragione più pratica, avrete verificato che 9 volte/10 Salvo Catania ci ha sempre azzeccato sui vostri criceti scatenati che chiedevano lumi a seguito di un sintomo o di un referto strumentale dubbio.
Perché secondo voi?
Perché Salvo Catania ha la sfera magica?
Perché è bravo?
Ma quando mai!
Perché, per esperienza, ho verificato che in 9/10 dei casi siamo di fronte a un
Parlo di acquisizioni scientifiche, che approfondiremo e ne leggerete delle belle, compresi i risultati dello studio inedito che ho condotto per un quinquennio sulle RFS che hanno inviato le immagini in tempo reale mentre praticavano la chemioterapia da single o in coppia, includendo nelle immagini anche la temuta e famigerata “rossa”.
4) FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI DAL PAZIENTE
Parliamoci chiaro e attenzione agli equivoci e al significato delle parole.
Io scrivo per tutti, ma sono consapevole che molte RFS relativamente nuove sono ancora nella fase dei necessari meccanismi di difesa e vorrebbero sentirsi dire:
“sei guarita al 100%” o “la pratica è chiusa definitivamente”
Io preferisco dire la verità, che è poi la stessa se ci troviamo di fronte ad una persona che non ha avuto il cancro.
Sia ben chiaro che Salvo Catania non ha scoperto la cura del cancro, a quello ci pensa la Medicina ufficiale, ma ha studiato, anzi osservato e registrato il motivo per cui pazienti con prognosi molto severe vivano a lungo una vita normale, uscendo dalle previsioni prognostiche e dalle casistiche, mentre altre pazienti presentano eventi avversi pur partendo da fattori prognostici molto favorevoli.
E vi assicuro, vero Francesca? Vero Giovanna? Vero Dada?... che quando dobbiamo verificare che “ci risiamo” è sempre peggio della prima volta, proprio perché l'aspettativa legittima di tutti è quella di avere già dato, per poterne sopportare un'altra nuova, non avendo ancora elaborato del tutto
della prima volta !
Caso clamoroso quello della nostra Christina, Triplo negativo, Sla e pregresso infarto, ma resiliente, proattiva ed empatica che è stata chiamata ad assistere in fase terminale in un Hospice la sorella Er, affetta da un Tontolone con Ki67 dell'8% e che dopo le terapie pensava di avere "chiusa la pratica" definitivamente.
Leggete questo vecchissimo approfondimento sulla VARIANZA
Il mio studio è stato esteso a circa 15.000 pazienti che ho potuto seguire con vari strumenti di contatto per almeno 20 anni, ma essendo uno studio privato è legittimo non fidarsi e sospettare che il narciso Salvo Catania si sia inventato tutto perché i dati non sono controllabili.
Allora il blog è diventato un laboratorio di ricerca dove i dati sono verificabili da tutti attraverso quelli da me raccolti e anche quelli ricavati da ben cinque tesi di psicologia che hanno rivoltato il blog come un calzino, tra cui quella che vi ha coinvolto direttamente di cui vi ricorderete senza dubbio:
Raccontare la malattia: un forum dedicato al tumore al seno
Da questa montagna di dati è nato e cresciuto il blog e le raccomandazioni per incitare alla "responsabilità" come sinonimo di consapevolezza e non certo per fare emergere sensi di colpa che non hanno ragione di esistere.
Quando si parla di “responsabilità” non si fa mai riferimento alle cause che non conosciamo, ma alla consapevolezza sui fattori di rischio che dovrebbero conoscere anche coloro che non hanno mai avuto il cancro.
Il blog è nato per fare da guida e palestra di allenamento con una metafora, in un difficile percorso che, attraverso l'esercizio della resilienza, porta dalla condizione di "coniglietta" a quello di "marmotta".
Ho già fatto cenno a quali siano i fattori prognostici molto favorevoli che abbiamo ad uno ad uno approfondito nel blog. Non sono paragonabili alle terapie per la cura del cancro ma, dai dati registrati, sono fattori che rendono la vita difficile al bastardello.
E la somma dei singoli fa il totale.
Questi, a mio parere, sono i FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI dal paziente.
a) Elevato quoziente resiliente, quoziente proattivo.
Non serve il coraggio o come si suol dire...... "sii forte, fatti coraggio".
Non serve la forza, ma la flessibilità, elasticità.
E una strategia da copiare: “calati juncu ca passa la chìna”
Perché la mafia è invincibile?
Perché quando arriva la piena come fa lo "Juncu" si abbassa (non spara più, non esercita più la violenza) e sparisce per riemergere solo quando la piena è passata.
b) Elevato quoziente critico che spesso si accompagna ad un elevato quoziente intellettivo.
I livelli dei due quozienti von sempre coincidono e comunque il quoziente intellettivo non ha valore come fattore prognostico, ma quello critico sicuramente sì.
Faccio un esempio clamoroso e facilmente comprensibile:
non c'è dubbio che Sgarbi manifesti un elevato quoziente intellettivo, ma quando spiritato insegue il malcapitato antagonista al grido di "capra capra", mostra un quoziente critico veramente basso.
Ed è singolare che la sua notorietà derivi dall'essere un rinomato critico d'arte.
Tra i fattori prognostici modificabili dal paziente un quoziente critico (Critical Thinking) elevato, associato ad un quoziente empatico elevato, ha sicuramente significato favorevole.
Spesso lo si confonde con il quoziente intellettivo (Q.I.) al quale frequentemente si associa, ma ci sono molte eccezioni riscontrate persino in diversi premi Nobel.
La differenza principale tra le tante è che l'intelligenza si basa sul ragionamento, mentre il pensiero critico coinvolge un aspetto psicologico.
Il pensiero critico è uno stato d’animo, quasi un tratto della personalità, che racchiude il desiderio della verità, il bisogno di prove, la tendenza a immaginare varie possibili spiegazioni e una certa apertura a idee contrarie.
Quello che il ricercatore Kurt Taube chiama "fattore disposizione".
Chi ha un quoziente critico elevato mostra in particolare: curiosità e desiderio di trovare la verità.
Un quoziente critico elevato, spesso associato ad un quoziente empatico elevato, cerca sempre di chiarire in caso di incomprensioni o fraintendimenti in qualsiasi tipo di relazione.
c) Elevato quoziente empatico
Molti pensano di essere empatici solo perché si circondano di amicizie e simpatie. Su questo concetto abbiamo fatto qui decine di approfondimenti, e chiarimenti e anche discussioni agitate, perché non si può essere empatici solo con chi ci piace.
Di fatto un quoziente empatico uguale o> a 3-4 è veramente raro!
Nel blog, comunque, ne abbiamo tanti esempi.
d) Stile di vita salutare (alimentazione + attività fisica)
E qui chiamatela come volete ma il senso di responsabilità non conosce sinonimi.
Tanto più che le trasgressioni sono concesse, anzi talvolta necessarie per rispetto dell'umore.
Ecco perché parliamo sempre di stile di vita e non di alimenti concessi o proibiti.
Da questi dati emerge che, anche se i fattori prognostici di partenza sono favorevolissimi, recidive o secondi tumori o eventi avversi sono più frequenti in modo significativo in quei pazienti che per semplificazione definisco (e incoraggio provocandoli)
Pacco Postale!
E chiedo scusa per la definizione che può sembrare offensiva.
Questa locuzione l'ho usata un paio di volte con persone, con cui ormai avevo una certa confidenza, per provocare e spronare e fare intendere di trovarci su un percorso sbagliato.
"Lo sa che lei rassomiglia ad un pacco postale?"
Caratteristiche del pacco postale:
Mi intenerisce sempre da una parte questa figura, ma allo stesso tempo non posso fare a meno di non pensare ad un pacco postale che passivamente e acriticamente si fa mettere, con scarso senso critico, il timbro quando scorre sul nastro postale, della chirurgia, della radioterapia, della chemioterapia, immunoterapia e della ormonoterapia.
La nostra storia la scriviamo noi – Capitolo 2
Già al terzo anno di Medicina, iniziando a frequentare i reparti ospedalieri, ero consapevole che al mio desiderio naturale di aiutare gli altri, la facoltà di Medicina aveva contrapposto l'insegnamento a mantenere la distanza dal paziente, piuttosto che fornirmi indicazioni sul modo migliore per comunicare con una persona malata.
L'empatia, inesistente nella mia formazione scolastica, i sentimenti, le idee, le aspettative e il contesto sociale del malato non venivano presi in considerazione come se non avessero nulla a che fare col quadro clinico di cui ci si stava occupando.
La medicina, tutto sommato, quando mi sono laureato era una cosa abbastanza semplice: la diagnosi si basava principalmente sull’ esperienza, sull'anamnesi e sulla abilità manuale nelle manovre dell'esame obiettivo. I test di laboratorio erano veramente scarsi.
Si presumeva che ogni malattia avesse una causa specifica, secondo il modello delle malattie infettive e quindi il modello scientifico di base era comunque quello meccanicistico, newtoniano o cartesiano, cioè una lunga catena di cause ed effetti ordinatamente collegati.
Per la verità io potevo considerarmi uno studente di medicina “fortunato” (sic!) perché, proprio nella fase di formazione professionale, avevo avuto modo di toccare con mano la paura, il senso di disagio, l'isolamento e la perdita di controllo che sperimentano i pazienti con i loro familiari quando sono consapevoli di essere stati colpiti dal cancro.
A me e non a mia madre direttamente, venne comunicata la sentenza di morte per un cancro, allora considerato, e lo era nella maggioranza dei casi, incurabile.
Mia madre, che in realtà morì 45 anni dopo e non di cancro, ebbe quella sentenza come “verità assoluta” da un giovane e preparato medico sempre sorridente e sempre pronto a dire un niente affatto tranquillizzante “non si preoccupi signora”.
Senza dubbio era molto garbato e gentile, ma con il pretesto di avere “tanto da fare a curare le malattie” in realtà, atterrito, sfuggiva il mio sguardo che lo inseguiva per i corridoi dell'ospedale.
In tale circostanza ebbi la netta percezione che quando un medico parla di verità e si pone il problema se dirla o no, si tratta quasi sempre di cattive notizie, o comunque di qualcosa verificato con una indagine cito-istologica, con gli ultrasuoni o con i Raggi X.
Anche se queste verità sono esatte, il che non sempre si verifica, sono solo una parte di ciò che il paziente o familiare percepisce rispetto al cancro.
Per la prima volta scoprii, casualmente, che la verità per avere lo stesso significato debba essere condivisa CON il malato e non somministrata AD un recettore passivo.
In tale circostanza sperimentai, nella veste di familiare-parafulmine della mamma, il senso di isolamento quasi di abbandono totale dei pazienti e dei suoi familiari, perché dei pesantissimi effetti collaterali delle terapie (anemia grave) me ne sono dovuto occupare da solo, pur non essendo un medico, ma solo uno studente di medicina al terzo anno. Fui costretto infatti a elemosinare quasi a giorni alterni le sacche di sangue in ospedale e, non so quanto legale, mi occupavo io di fare le trasfusioni di sangue a casa a mia madre tra un ciclo e l'altro di terapia.
In quella occasione sperimentai anche, con il mio primo paziente, mia madre, altre forme di comunicazione non verbale trovando naturale il contatto fisico come la forma più elementare di comunicazione.
Ma soprattutto, fantasticando e rimuginando sulla sua imminente perdita e persino sui suoi funerali, cominciai ad avere una maggiore consapevolezza di me, delle mie paure e delle mie sensazioni: oltre ad elaborare la morte di mia madre fu inevitabile accettare che “allora anche io potevo morire“. Solo anni dopo mi sarei reso conto di tale acquisizione.
Anche perché quando mi sono trasferito a Milano nel 1975 sono stato costretto a confrontarmi con la Morte, non solo ho cominciato ad occuparmi come chirurgo di una malattia quasi incurabile, ma, dopo una severa selezione, ero stato nominato Coadiutore didattico addetto alle esercitazioni per gli studenti di Medicina alla Facoltà di Anatomia Umana di Milano. Il mio compito era quello di spiegare ad un gruppo di studenti l'anatomia ...su un cadavere!
Io avevo scelto l'arto superiore a partire dall'ascella, che sarebbe diventata la mia seconda residenza dove avrei trascorso parte della mia vita (30.000 interventi circa), anche perché allora si eseguiva a tutti i pazienti uno svuotamento ascellare anche per tumori di pochi mm.
La nostra storia la scriviamo noi – Capitolo 3
La mia professione di chirurgo oncologo dopo un periodo in Chirurgia d’Urgenza ebbe inizio in un Ospedale di Milano dove da assistente, poi aiuto, mi portò giovanissimo ad avere un incarico di Responsabile Primario di Chirurgia.
Malgrado questo impegno di responsabilità il mio destino si incrociò fortunatamente con due personaggi che sono stati il punto di riferimento per la mia formazione.
Iniziai a frequentare l'Istituto dei Tumori di Milano con un mandato di 6 mesi, ma poi ci restai per più di un decennio.
Di Umberto Veronesi uomo e non dello scienziato ne parleremo più avanti.
Del medico somministratore di placebo intendo dire.
Poiché le attese per un ricovero presso l'Istituto dei Tumori di Milano erano vicine ai 60-90 giorni, quasi ogni settimana ricevevo una telefonata della segretaria di Umberto Veronesi, donna empatica e collaboratrice straordinaria:
"Dottore scusi se la disturbo ma la cercherà questa nostra paziente per essere operata da lei. Ha con sé una lettera del professore"
Conservo gelosamente quelle lettere di "raccomandazione", uniche e personalizzate per ogni paziente:
a) c'era sempre una nota riferita alla Fede e alla Speranza
b) c'era sempre una bugia - placebo per la paziente che si presentava da me:
prima stupita di essere stata indirizzata ad un "giovanissimo dottore, sempre abbronzato (per via delle mie gare nei deserti) ed in jeans", ma subito mi raccontavano evidentemente più fiduciose perché "il Professore ci ha spiegato che ci avrebbe indirizzato da uno dei suoi migliori allievi"( IO?). Ovviamente era una pietosa e necessaria bugia-placebo.
Ma sufficiente a superare il primo impatto con l'allievo giovane-abbronzato- in jeans e con i capelli lunghi.
c) Poi mi raccontavano che il Professore le aveva salutate con una frase magistrale che copiai immediatamente
"lei ha le stesse probabilità di venire ai miei funerali che io ai suoi ".
Frasi come quest'ultima, in cui non solo non viene rimosso il concetto di morte della paziente, ma ad esso viene anteposto addirittura quello del medico, ristabiliscono rapidamente una condizione nella quale la "sgradevole verità" assume lo stesso significato per entrambe le parti.
Molti colleghi non si rendono conto quanto distacco di chi se ne lava le mani ci sia in un facile "non si preoccupi signora", mentre il non rimuovere il concetto di morte, che la paziente ha ben presente, crea le basi per una vera alleanza terapeutica.
Nessuna leale alleanza può partire da una bugia in qualsiasi tipo di relazione.
Ada Burrone, Veronesi, Catania, dietro Schitulli. Veronesi con il mio libro in mano [Carcinoma mammario dalla parte della paziente].
All'Istituto dei Tumori incontrai Ada Burrone che aveva fondato l'Associazione Attivecomeprima, e quando nel 1976 varcai la soglia dell'associazione, sapevo già cosa cercare.
Non immaginavo che avrei collaborato con Ada per quasi 40 anni.
Ada per prima cosa mi ha insegnato che il cancro non è solo una guerra contro un nemico da affamare, bombardare e distruggere.
Ma non solo Ada ha dato una svolta alla mia formazione.
Non conoscevo questi “esseri”, che, in un'epoca in cui il cancro era qualcosa di cui ci si doveva vergognare, chiamavano a raccolta altre donne di pari condizioni.
Allego alcuni link riassuntivi su Ada e che abbiamo commentati sul nostro blog:
https://www.medicitalia.it/spazioutenti/forum-rfs-100/come-si-calcola-il-rischio-reale-per-il-tumore-al-seno-44-30831.html
[post 462.455 e 462.458]
Altri riferimenti per chi volesse approfondire:
Tumore del seno:lo spazio umano tra malato e medico
Dottore, si spogli...
In Associazione ho conosciuto tante donne straordinarie, tra cui Rita, bionda, giovane carina, ma anche inflessibile. Sorrideva sempre e seduta in un angolo registrava i miei incontri del quarto venerdì del mese “Dottore si spogli” con le donne che provenivano da diverse regioni d'Italia, e dopo tre-quattro giorni mi faceva pervenire un plico di cartelle dattiloscritte, con le infuocate osservazioni sulle cose dette da me e che l'avevano spaventata.
Dopo qualche anno, quando ormai scoraggiato avevo deciso di occuparmi d'altro, Rita mi aiutò ad uscire dalla crisi riducendo le cartelle dattiloscritte a pochi fogli, restituendomi la consapevolezza di avere imparato molto sulla vera natura della professione medica e sulle regole-base della comunicazione oncologica.
Poi Anna, da me operata e relegata inconsciamente dal mio modo di allora di concepire il cancro tra le donne destinate a morire in breve tempo, presentava una prognosi particolarmente infausta: questa però era solo la “mia” verità assoluta, quella biologica, che veniva desunta da un certo numero di elementi che erano studiati statisticamente, anche se ve ne erano, come vedremo, tanti altri ugualmente importanti, neanche oggi sufficientemente conosciuti.
Vedi approfondimento: Mai perdere la speranza
Questa lunga e noiosa premessa si è resa necessaria per far comprendere come si sia sviluppata la necessità di schedare tutte le pazienti per avere dati a supporto della Speranza in una epoca in cui la malattia era quasi incurabile.
In questo contesto sono partiti diversi studi osservazionali, che esamineremo in dettaglio a partire dal PLACEBO, sotto la pressione delle stesse pazienti, che mi incalzavano con domande cui non ero preparato a rispondere.
Io mi sentivo preparatissimo a rispondere a tutte le domande sulla chirurgia e restanti terapie. Non comprendevo perché invece le donne volevano sapere il...”resto”, e in modo particolare sulla possibilità di difendersi dal cancro … a prescindere dalle terapie!
E la cosa più sorprendente è che negli anni 80 ancora non si parlava di comunicazione perché era molto difficile informare, figuriamoci comunicare.
In Italia ben il 90 % dei medici riteneva di non riferire la verità ai pazienti oncologici, anzi venivano pubblicati (io ce l'ho!) dei testi che riportavano delle strategie per evadere o deviare appositamente il discorso nei casi sporadici di pazienti che richiedevano di voler saperne di più.
Questo atteggiamento, interpretato oggi come disumano, era fondato in realtà sulla credenza che la verità avrebbe potuto danneggiare il paziente (intenti suicidari) e che la conoscenza della situazione avrebbe potuto annullare le sue speranze e le residue motivazioni.
Riassumo gli scopi e obiettivi del blog attraverso i dati di uno studio personale, che non ha la pretesa di avere una dignità scientifica perché è solo uno studio osservazionale, che ha registrato, in 40 anni di osservazione, le “schede” di oltre 15.000 pazienti seguiti per almeno 20 anni, con il fine di standardizzare i principali fattori prognostici (oltre a quelli classici sui quali c'è poco da dire perché immodificabili dal medico e dal paziente).
Cercherò di mostrare tutti i passaggi storici a partire dagli anni ‘80, per dare evidenza al fatto che oggi il paziente non è solo un recettore passivo, come accadeva ai tempi della medicina paternalistica, ma è un protagonista attivo del suo destino.
Fattori prognostici
Possiamo distinguere i fattori prognostici in:
1) FATTORI PROGNOSTICI GENETICI IMMODIFICABILI (es. mutazioni genetiche)
2) FATTORI PROGNOSTICI CLASSICI IMMODIFICABILI (es. istologico)
3) FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI DAL MEDICO tra cui, il più importante, il placebo che deriva dalla capacità del medico di trasferire al paziente la FEDE nelle terapie e soprattutto la Speranza.
È un tema molto complesso, che rimando agli approfondimenti successivi, per farvi comprendere che il compito premeditato e non casuale del sottoscritto è stato ed è nel blog quello di somministrare sempre placebo per incrementare l'efficacia delle terapie, ridurre gli effetti collaterali delle stesse e alimentare SEMPRE la speranza.
Lo scrivo per la prima volta al tredicesimo anno di vita del blog perché l'effetto del placebo è molto più efficace se il paziente non è consapevole che lo sta assumendo.
Poi c'è una ragione più pratica, avrete verificato che 9 volte/10 Salvo Catania ci ha sempre azzeccato sui vostri criceti scatenati che chiedevano lumi a seguito di un sintomo o di un referto strumentale dubbio.
Perché secondo voi?
Perché Salvo Catania ha la sfera magica?
Perché è bravo?
Ma quando mai!
Perché, per esperienza, ho verificato che in 9/10 dei casi siamo di fronte a un
Parlo di acquisizioni scientifiche, che approfondiremo e ne leggerete delle belle, compresi i risultati dello studio inedito che ho condotto per un quinquennio sulle RFS che hanno inviato le immagini in tempo reale mentre praticavano la chemioterapia da single o in coppia, includendo nelle immagini anche la temuta e famigerata “rossa”.
4) FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI DAL PAZIENTE
Parliamoci chiaro e attenzione agli equivoci e al significato delle parole.
Io scrivo per tutti, ma sono consapevole che molte RFS relativamente nuove sono ancora nella fase dei necessari meccanismi di difesa e vorrebbero sentirsi dire:
“sei guarita al 100%” o “la pratica è chiusa definitivamente”
Io preferisco dire la verità, che è poi la stessa se ci troviamo di fronte ad una persona che non ha avuto il cancro.
Sia ben chiaro che Salvo Catania non ha scoperto la cura del cancro, a quello ci pensa la Medicina ufficiale, ma ha studiato, anzi osservato e registrato il motivo per cui pazienti con prognosi molto severe vivano a lungo una vita normale, uscendo dalle previsioni prognostiche e dalle casistiche, mentre altre pazienti presentano eventi avversi pur partendo da fattori prognostici molto favorevoli.
E vi assicuro, vero Francesca? Vero Giovanna? Vero Dada?... che quando dobbiamo verificare che “ci risiamo” è sempre peggio della prima volta, proprio perché l'aspettativa legittima di tutti è quella di avere già dato, per poterne sopportare un'altra nuova, non avendo ancora elaborato del tutto
della prima volta !
Caso clamoroso quello della nostra Christina, Triplo negativo, Sla e pregresso infarto, ma resiliente, proattiva ed empatica che è stata chiamata ad assistere in fase terminale in un Hospice la sorella Er, affetta da un Tontolone con Ki67 dell'8% e che dopo le terapie pensava di avere "chiusa la pratica" definitivamente.
Leggete questo vecchissimo approfondimento sulla VARIANZA
Il mio studio è stato esteso a circa 15.000 pazienti che ho potuto seguire con vari strumenti di contatto per almeno 20 anni, ma essendo uno studio privato è legittimo non fidarsi e sospettare che il narciso Salvo Catania si sia inventato tutto perché i dati non sono controllabili.
Allora il blog è diventato un laboratorio di ricerca dove i dati sono verificabili da tutti attraverso quelli da me raccolti e anche quelli ricavati da ben cinque tesi di psicologia che hanno rivoltato il blog come un calzino, tra cui quella che vi ha coinvolto direttamente di cui vi ricorderete senza dubbio:
Raccontare la malattia: un forum dedicato al tumore al seno
Da questa montagna di dati è nato e cresciuto il blog e le raccomandazioni per incitare alla "responsabilità" come sinonimo di consapevolezza e non certo per fare emergere sensi di colpa che non hanno ragione di esistere.
Quando si parla di “responsabilità” non si fa mai riferimento alle cause che non conosciamo, ma alla consapevolezza sui fattori di rischio che dovrebbero conoscere anche coloro che non hanno mai avuto il cancro.
Il blog è nato per fare da guida e palestra di allenamento con una metafora, in un difficile percorso che, attraverso l'esercizio della resilienza, porta dalla condizione di "coniglietta" a quello di "marmotta".
Ho già fatto cenno a quali siano i fattori prognostici molto favorevoli che abbiamo ad uno ad uno approfondito nel blog. Non sono paragonabili alle terapie per la cura del cancro ma, dai dati registrati, sono fattori che rendono la vita difficile al bastardello.
E la somma dei singoli fa il totale.
Questi, a mio parere, sono i FATTORI PROGNOSTICI MODIFICABILI dal paziente.
a) Elevato quoziente resiliente, quoziente proattivo.
Non serve il coraggio o come si suol dire...... "sii forte, fatti coraggio".
Non serve la forza, ma la flessibilità, elasticità.
E una strategia da copiare: “calati juncu ca passa la chìna”
Perché la mafia è invincibile?
Perché quando arriva la piena come fa lo "Juncu" si abbassa (non spara più, non esercita più la violenza) e sparisce per riemergere solo quando la piena è passata.
b) Elevato quoziente critico che spesso si accompagna ad un elevato quoziente intellettivo.
I livelli dei due quozienti von sempre coincidono e comunque il quoziente intellettivo non ha valore come fattore prognostico, ma quello critico sicuramente sì.
Faccio un esempio clamoroso e facilmente comprensibile:
non c'è dubbio che Sgarbi manifesti un elevato quoziente intellettivo, ma quando spiritato insegue il malcapitato antagonista al grido di "capra capra", mostra un quoziente critico veramente basso.
Ed è singolare che la sua notorietà derivi dall'essere un rinomato critico d'arte.
Tra i fattori prognostici modificabili dal paziente un quoziente critico (Critical Thinking) elevato, associato ad un quoziente empatico elevato, ha sicuramente significato favorevole.
Spesso lo si confonde con il quoziente intellettivo (Q.I.) al quale frequentemente si associa, ma ci sono molte eccezioni riscontrate persino in diversi premi Nobel.
La differenza principale tra le tante è che l'intelligenza si basa sul ragionamento, mentre il pensiero critico coinvolge un aspetto psicologico.
Il pensiero critico è uno stato d’animo, quasi un tratto della personalità, che racchiude il desiderio della verità, il bisogno di prove, la tendenza a immaginare varie possibili spiegazioni e una certa apertura a idee contrarie.
Quello che il ricercatore Kurt Taube chiama "fattore disposizione".
Chi ha un quoziente critico elevato mostra in particolare: curiosità e desiderio di trovare la verità.
Un quoziente critico elevato, spesso associato ad un quoziente empatico elevato, cerca sempre di chiarire in caso di incomprensioni o fraintendimenti in qualsiasi tipo di relazione.
c) Elevato quoziente empatico
Molti pensano di essere empatici solo perché si circondano di amicizie e simpatie. Su questo concetto abbiamo fatto qui decine di approfondimenti, e chiarimenti e anche discussioni agitate, perché non si può essere empatici solo con chi ci piace.
Di fatto un quoziente empatico uguale o> a 3-4 è veramente raro!
Nel blog, comunque, ne abbiamo tanti esempi.
d) Stile di vita salutare (alimentazione + attività fisica)
E qui chiamatela come volete ma il senso di responsabilità non conosce sinonimi.
Tanto più che le trasgressioni sono concesse, anzi talvolta necessarie per rispetto dell'umore.
Ecco perché parliamo sempre di stile di vita e non di alimenti concessi o proibiti.
Da questi dati emerge che, anche se i fattori prognostici di partenza sono favorevolissimi, recidive o secondi tumori o eventi avversi sono più frequenti in modo significativo in quei pazienti che per semplificazione definisco (e incoraggio provocandoli)
Pacco Postale!
E chiedo scusa per la definizione che può sembrare offensiva.
Questa locuzione l'ho usata un paio di volte con persone, con cui ormai avevo una certa confidenza, per provocare e spronare e fare intendere di trovarci su un percorso sbagliato.
"Lo sa che lei rassomiglia ad un pacco postale?"
Caratteristiche del pacco postale:
- È una persona spesso molto intelligente.
- Il più delle volte figlia, moglie e mamma insostituibile.
- Madre esemplare agli occhi di tutti, che però per paura di non vedere crescere i propri figli, annulla totalmente sé stessa e cancella tutti i propri spazi per curare esclusivamente quelli della famiglia a partire dai figli spesso in tenera età. Finisce per non trovare più un minuto da dedicare a sé stessa. Una vera “martire” per amore dei figli. Come se volesse, vittima sacrificale, immolarsi per proteggere i figli e la famiglia.
- Lavoratrice instancabile e insostituibile anche per dimostrare sempre di non essere stata menomata dalla malattia.
Mi intenerisce sempre da una parte questa figura, ma allo stesso tempo non posso fare a meno di non pensare ad un pacco postale che passivamente e acriticamente si fa mettere, con scarso senso critico, il timbro quando scorre sul nastro postale, della chirurgia, della radioterapia, della chemioterapia, immunoterapia e della ormonoterapia.
- Un recettore totalmente passivo e acritico.
- Quoziente di proattività basso.
- Quoziente empatico, concentrata tutta sulle proprie paure di non vedere crescere i propri figli, mediamente basso.
La nostra storia la scriviamo noi – Capitolo 2
Già al terzo anno di Medicina, iniziando a frequentare i reparti ospedalieri, ero consapevole che al mio desiderio naturale di aiutare gli altri, la facoltà di Medicina aveva contrapposto l'insegnamento a mantenere la distanza dal paziente, piuttosto che fornirmi indicazioni sul modo migliore per comunicare con una persona malata.
L'empatia, inesistente nella mia formazione scolastica, i sentimenti, le idee, le aspettative e il contesto sociale del malato non venivano presi in considerazione come se non avessero nulla a che fare col quadro clinico di cui ci si stava occupando.
La medicina, tutto sommato, quando mi sono laureato era una cosa abbastanza semplice: la diagnosi si basava principalmente sull’ esperienza, sull'anamnesi e sulla abilità manuale nelle manovre dell'esame obiettivo. I test di laboratorio erano veramente scarsi.
Si presumeva che ogni malattia avesse una causa specifica, secondo il modello delle malattie infettive e quindi il modello scientifico di base era comunque quello meccanicistico, newtoniano o cartesiano, cioè una lunga catena di cause ed effetti ordinatamente collegati.
Per la verità io potevo considerarmi uno studente di medicina “fortunato” (sic!) perché, proprio nella fase di formazione professionale, avevo avuto modo di toccare con mano la paura, il senso di disagio, l'isolamento e la perdita di controllo che sperimentano i pazienti con i loro familiari quando sono consapevoli di essere stati colpiti dal cancro.
A me e non a mia madre direttamente, venne comunicata la sentenza di morte per un cancro, allora considerato, e lo era nella maggioranza dei casi, incurabile.
Mia madre, che in realtà morì 45 anni dopo e non di cancro, ebbe quella sentenza come “verità assoluta” da un giovane e preparato medico sempre sorridente e sempre pronto a dire un niente affatto tranquillizzante “non si preoccupi signora”.
Senza dubbio era molto garbato e gentile, ma con il pretesto di avere “tanto da fare a curare le malattie” in realtà, atterrito, sfuggiva il mio sguardo che lo inseguiva per i corridoi dell'ospedale.
In tale circostanza ebbi la netta percezione che quando un medico parla di verità e si pone il problema se dirla o no, si tratta quasi sempre di cattive notizie, o comunque di qualcosa verificato con una indagine cito-istologica, con gli ultrasuoni o con i Raggi X.
Anche se queste verità sono esatte, il che non sempre si verifica, sono solo una parte di ciò che il paziente o familiare percepisce rispetto al cancro.
Per la prima volta scoprii, casualmente, che la verità per avere lo stesso significato debba essere condivisa CON il malato e non somministrata AD un recettore passivo.
In tale circostanza sperimentai, nella veste di familiare-parafulmine della mamma, il senso di isolamento quasi di abbandono totale dei pazienti e dei suoi familiari, perché dei pesantissimi effetti collaterali delle terapie (anemia grave) me ne sono dovuto occupare da solo, pur non essendo un medico, ma solo uno studente di medicina al terzo anno. Fui costretto infatti a elemosinare quasi a giorni alterni le sacche di sangue in ospedale e, non so quanto legale, mi occupavo io di fare le trasfusioni di sangue a casa a mia madre tra un ciclo e l'altro di terapia.
In quella occasione sperimentai anche, con il mio primo paziente, mia madre, altre forme di comunicazione non verbale trovando naturale il contatto fisico come la forma più elementare di comunicazione.
Ma soprattutto, fantasticando e rimuginando sulla sua imminente perdita e persino sui suoi funerali, cominciai ad avere una maggiore consapevolezza di me, delle mie paure e delle mie sensazioni: oltre ad elaborare la morte di mia madre fu inevitabile accettare che “allora anche io potevo morire“. Solo anni dopo mi sarei reso conto di tale acquisizione.
Anche perché quando mi sono trasferito a Milano nel 1975 sono stato costretto a confrontarmi con la Morte, non solo ho cominciato ad occuparmi come chirurgo di una malattia quasi incurabile, ma, dopo una severa selezione, ero stato nominato Coadiutore didattico addetto alle esercitazioni per gli studenti di Medicina alla Facoltà di Anatomia Umana di Milano. Il mio compito era quello di spiegare ad un gruppo di studenti l'anatomia ...su un cadavere!
Io avevo scelto l'arto superiore a partire dall'ascella, che sarebbe diventata la mia seconda residenza dove avrei trascorso parte della mia vita (30.000 interventi circa), anche perché allora si eseguiva a tutti i pazienti uno svuotamento ascellare anche per tumori di pochi mm.
La nostra storia la scriviamo noi – Capitolo 3
La mia professione di chirurgo oncologo dopo un periodo in Chirurgia d’Urgenza ebbe inizio in un Ospedale di Milano dove da assistente, poi aiuto, mi portò giovanissimo ad avere un incarico di Responsabile Primario di Chirurgia.
Malgrado questo impegno di responsabilità il mio destino si incrociò fortunatamente con due personaggi che sono stati il punto di riferimento per la mia formazione.
Iniziai a frequentare l'Istituto dei Tumori di Milano con un mandato di 6 mesi, ma poi ci restai per più di un decennio.
Di Umberto Veronesi uomo e non dello scienziato ne parleremo più avanti.
Del medico somministratore di placebo intendo dire.
Poiché le attese per un ricovero presso l'Istituto dei Tumori di Milano erano vicine ai 60-90 giorni, quasi ogni settimana ricevevo una telefonata della segretaria di Umberto Veronesi, donna empatica e collaboratrice straordinaria:
"Dottore scusi se la disturbo ma la cercherà questa nostra paziente per essere operata da lei. Ha con sé una lettera del professore"
Conservo gelosamente quelle lettere di "raccomandazione", uniche e personalizzate per ogni paziente:
a) c'era sempre una nota riferita alla Fede e alla Speranza
b) c'era sempre una bugia - placebo per la paziente che si presentava da me:
prima stupita di essere stata indirizzata ad un "giovanissimo dottore, sempre abbronzato (per via delle mie gare nei deserti) ed in jeans", ma subito mi raccontavano evidentemente più fiduciose perché "il Professore ci ha spiegato che ci avrebbe indirizzato da uno dei suoi migliori allievi"( IO?). Ovviamente era una pietosa e necessaria bugia-placebo.
Ma sufficiente a superare il primo impatto con l'allievo giovane-abbronzato- in jeans e con i capelli lunghi.
c) Poi mi raccontavano che il Professore le aveva salutate con una frase magistrale che copiai immediatamente
"lei ha le stesse probabilità di venire ai miei funerali che io ai suoi ".
Frasi come quest'ultima, in cui non solo non viene rimosso il concetto di morte della paziente, ma ad esso viene anteposto addirittura quello del medico, ristabiliscono rapidamente una condizione nella quale la "sgradevole verità" assume lo stesso significato per entrambe le parti.
Molti colleghi non si rendono conto quanto distacco di chi se ne lava le mani ci sia in un facile "non si preoccupi signora", mentre il non rimuovere il concetto di morte, che la paziente ha ben presente, crea le basi per una vera alleanza terapeutica.
Nessuna leale alleanza può partire da una bugia in qualsiasi tipo di relazione.
Ada Burrone, Veronesi, Catania, dietro Schitulli. Veronesi con il mio libro in mano [Carcinoma mammario dalla parte della paziente].
All'Istituto dei Tumori incontrai Ada Burrone che aveva fondato l'Associazione Attivecomeprima, e quando nel 1976 varcai la soglia dell'associazione, sapevo già cosa cercare.
Non immaginavo che avrei collaborato con Ada per quasi 40 anni.
Ada per prima cosa mi ha insegnato che il cancro non è solo una guerra contro un nemico da affamare, bombardare e distruggere.
Ma non solo Ada ha dato una svolta alla mia formazione.
Non conoscevo questi “esseri”, che, in un'epoca in cui il cancro era qualcosa di cui ci si doveva vergognare, chiamavano a raccolta altre donne di pari condizioni.
Allego alcuni link riassuntivi su Ada e che abbiamo commentati sul nostro blog:
https://www.medicitalia.it/spazioutenti/forum-rfs-100/come-si-calcola-il-rischio-reale-per-il-tumore-al-seno-44-30831.html
[post 462.455 e 462.458]
Altri riferimenti per chi volesse approfondire:
Tumore del seno:lo spazio umano tra malato e medico
Dottore, si spogli...
In Associazione ho conosciuto tante donne straordinarie, tra cui Rita, bionda, giovane carina, ma anche inflessibile. Sorrideva sempre e seduta in un angolo registrava i miei incontri del quarto venerdì del mese “Dottore si spogli” con le donne che provenivano da diverse regioni d'Italia, e dopo tre-quattro giorni mi faceva pervenire un plico di cartelle dattiloscritte, con le infuocate osservazioni sulle cose dette da me e che l'avevano spaventata.
Dopo qualche anno, quando ormai scoraggiato avevo deciso di occuparmi d'altro, Rita mi aiutò ad uscire dalla crisi riducendo le cartelle dattiloscritte a pochi fogli, restituendomi la consapevolezza di avere imparato molto sulla vera natura della professione medica e sulle regole-base della comunicazione oncologica.
Poi Anna, da me operata e relegata inconsciamente dal mio modo di allora di concepire il cancro tra le donne destinate a morire in breve tempo, presentava una prognosi particolarmente infausta: questa però era solo la “mia” verità assoluta, quella biologica, che veniva desunta da un certo numero di elementi che erano studiati statisticamente, anche se ve ne erano, come vedremo, tanti altri ugualmente importanti, neanche oggi sufficientemente conosciuti.
Vedi approfondimento: Mai perdere la speranza
Questa lunga e noiosa premessa si è resa necessaria per far comprendere come si sia sviluppata la necessità di schedare tutte le pazienti per avere dati a supporto della Speranza in una epoca in cui la malattia era quasi incurabile.
In questo contesto sono partiti diversi studi osservazionali, che esamineremo in dettaglio a partire dal PLACEBO, sotto la pressione delle stesse pazienti, che mi incalzavano con domande cui non ero preparato a rispondere.
Io mi sentivo preparatissimo a rispondere a tutte le domande sulla chirurgia e restanti terapie. Non comprendevo perché invece le donne volevano sapere il...”resto”, e in modo particolare sulla possibilità di difendersi dal cancro … a prescindere dalle terapie!
E la cosa più sorprendente è che negli anni 80 ancora non si parlava di comunicazione perché era molto difficile informare, figuriamoci comunicare.
In Italia ben il 90 % dei medici riteneva di non riferire la verità ai pazienti oncologici, anzi venivano pubblicati (io ce l'ho!) dei testi che riportavano delle strategie per evadere o deviare appositamente il discorso nei casi sporadici di pazienti che richiedevano di voler saperne di più.
Questo atteggiamento, interpretato oggi come disumano, era fondato in realtà sulla credenza che la verità avrebbe potuto danneggiare il paziente (intenti suicidari) e che la conoscenza della situazione avrebbe potuto annullare le sue speranze e le residue motivazioni.
- Modificato da salvocatania