Farmaci analgesici: rischi e benefici
Negli ultimi decenni il concetto di salute si è molto modificato passando dall’idea di semplice “assenza di malattia” a quella molto più complessa di una condizione di “completo benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo” (definizione elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1948).
La necessità di assumere farmaci per “essere in salute” rappresenta per molti pazienti una condizione che, di per sé, sminuisce il valore stesso di questo benessere. I farmaci hanno infatti progressivamente assunto una connotazione negativa e vengono associati maggiormente ai loro effetti collaterali o potenzialmente dannosi, che non alla loro azione terapeutica.
È indispensabile fare un po' di chiarezza in particolar modo per quanto riguarda l’ambito dei farmaci analgesici. Innanzitutto è fondamentale distinguere gli analgesici dagli antinfiammatori o FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei): questi ultimi infatti posseggono capacità antidolorifiche solo se impiegati in quadri clinici caratterizzati dall’infiammazione dei tessuti. Nei quadri clinici tipici del dolore cronico, solitamente, la componente infiammatoria è secondaria e presente solo occasionalmente.
Nonostante le restrizioni prescrittive, come la NOTA 66 e relative raccomandazioni e circolari AIFA, gli antinfiammatori sono la categoria di farmaci antidolorifici maggiormente impiegata in Italia : 468,9 milioni di DDD (“daily drug dose”), cioè di dosi giornaliere di farmaco prescritte, per una spesa totale di 209,2 milioni di euro (dati del rapporto OSMED 2015. Per riuscire a dare una dimensione a questo fenomeno, oltre a questi farmaci, prescritti su “ricetta rossa”, bisogna tenere conto anche delle prescrizioni a carico dei pazienti, cioè le ricette “bianche” per i farmaci di classe C e di tutte quelle formulazioni definite “di libera vendita” o SOP (farmaci senza obbligo di prescrizione) che non rientrano in questo totale.
Si tratta di un enorme quantità di farmaci soprattutto se consideriamo i rischi correlati al loro uso e soprattutto al loro abuso. La letteratura [references : Nonselective NSAIDs: Overview of adverse effects www.uptodate.com; Duration of Treatment With Nonsteroidal Anti-Inflammatory Drugs and Impact on Risk of Death and Recurrent Myocardial Infarction in Patients With Prior Myocardial Infarction : A Nationwide Cohort Study Circulation. 2011;123:2226-2235 http://circ.ahajournals.org/content/123/20/2226; Cardiovascular safety of non-steroidal anti-inflammatory drugs: network meta-analysis BMJ 2011;342:c7086] ha ormai chiarito le responsabilità dei FANS nel causare complicanze e danni a carico dell’apparato gastrointestinale (gastrite, ulcere, emorragie, perforazioni), ma anche del sistema cardiovascolare (ischemia e infarto miocardico, ictus ischemico ed emorragico) e nefrovascolare (ipertensione secondaria, insufficienza renale). A conferma dei potenziali effetti dannosi di un non corretto impiego di questi farmaci, il già citato rapporto OSMED 2015 (pubblicato nel giugno u.s.) identifica ben tre FANS all’interno dell’elenco delle 20 molecole segnalate per maggior numero di eventi avversi (ketoprofene, ibuprofene, diclofenac). E’ significativo il fatto che queste stesse tre molecole si ritrovino anche tra le prime posizioni nella lista dei farmaci SOP. Ciononostante i FANS vengono percepiti come farmaci non pericolosi o per i quali, al limite, è necessario assumere in associazione dei gastroprotettori (quelli che molti pazienti chiamano “salva stomaco”). Probabilmente questa percezione deriva dalla familiarità e dall’abitudine che si sono instaurate nei confronti di queste molecole, oltre che dall’azione “tranquillizzante” di tanti spot televisivi ed inserti pubblicitari su giornali e riviste che promuovono numerose formulazioni di antinfiammatori come la panacea per tutti i dolori (mal di schiena, cefalea, dolori mestruali, dolori articolari ecc. ecc).
La situazione si ribalta se consideriamo le altre categorie di farmaci analgesici : complessivamente le molecole per trattare il dolore (oppioidi minori, oppioidi maggiori e sostanze per il dolore neuropatico) comportano un livello prescrittivo di 174,3 milioni di DDD/anno, ma se consideriamo solo le molecole oppioidi il dato scende a 123,4 milioni per precipitare a 55,8 milioni se restringiamo ulteriormente il campo ai soli oppioidi maggiori.
Questi farmaci nell’immaginario collettivo rievocano suggestioni che parlano di morte, di malattie terminali, di condizioni oncologiche avanzate e paure che insinuano nella mente parole come “tossicodipendenza”, “droga”, “abuso”. A questo diffuso sentimento di oppiofobia si aggiungono una cultura molto esigua insieme ad una scarsa conoscenza nei confronti di questi farmaci anche da parte dei colleghi medici, sia della medicina generale, che degli specialisti ospedalieri.
Le linee guida del CDC (Center of Disease Control and Prevention) statunitense [http://wonder.cdc.gov/wonder/prevguid/prevguid.html] sull’impiego dei farmaci oppioidi, pubblicate di recente, hanno suscitato molto fermento anche in Europa perché hanno puntato l’attenzione sul problema della dipendenza da stupefacenti che, effettivamente, sta assumendo proporzioni preoccupanti nella popolazione americana.
Una sola considerazione permette di comprendere come la realtà statunitense non possa ricalcarsi su quella europea, e ancor meno su quella italiana: la prescrizione di oppioidi negli USA è di 400 volte superiore alla nostra (2 mg di dose equivalente di morfina al giorno ogni 1000 abitanti in Italia, contro 800 mg in America). Altra fondamentale differenza è che le formulazioni di oppioidi disponibili nel nostro mercato sono quasi esclusivamente a rilascio modificato o ritardato, il che le rende molto poco appetibili per l’abuso; negli USA invece, la maggior parte delle forme farmaceutiche impiegate sono a rilascio immediato, caratteristica che le rende molto più facilmente “abusabili”.
Certamente non si può negare che l’impiego dei farmaci oppioidi sia reso complesso dai loro effetti collaterali: la nausea, il vomito, la confusione e la sonnolenza sono tra i principali disturbi lamentati dai pazienti e rappresentano una causa frequente di interruzione della terapia o comunque di una scarsa aderenza allo schema terapeutico da parte dei pazienti. Altro rilevante problema collegato all’uso prolungato di farmaci oppioidi è quello della costipazione, che, per molti pazienti, arriva a rappresentare una criticità peggiore di quella per cui sono in trattamento.
Bisogna però considerare che nessuno di questi effetti collaterali rappresenta un evento avverso potenzialmente pericoloso. I disturbi più precoci come nausea e sonnolenza tendono a sviluppare facilmente tolleranza e di fatto regrediscono spontaneamente, nell’arco di qualche settimana, nella maggior parte dei pazienti. Per quanto riguarda la costipazione, purtroppo, è un problema che non tende a risolversi con il tempo, ma nella maggior parte dei casi l’utilizzo di terapie adiuvanti (come vari tipi di lassativi), l’adozione di comportamenti di “igiene” personale (corretta idratazione quotidiana, assunzione congrua di frutta e verdura, livelli adeguati di attività fisica) oppure l’impiego di formulazioni farmacologiche più recenti che presentano minore incidenza di questo effetto collaterale (come la combinazione farmacologica di Ossicodone/Naloxone) permettono di tenerlo sotto controllo e di proseguire la terapia analgesica qualora questa sia efficace.
Gli eventi avversi pericolosi causati da farmaci oppioidi sono molto limitati e sono strettamente correlati a problematiche respiratorie, che si presentano in modo quasi esclusivo in pazienti già affetti da malattie polmonari croniche, per i quali l’impiego di questi farmaci richiede una particolare cautela, oppure con eventi accidentali (cadute, incidenti) che coinvolgono per lo più soggetti con problemi di dipendenza e abuso. [references : Chronic Pain Treatment With Opioid Analgesics Benefits versus Harms of Long-term Therapy Nalini Sehgal; James Colson; Howard S Smith Expert Rev Neurother. 2013;13(11):1201-1220 http://www.medscape.com/viewarticle/813875_4; Pain Physician 2008: Opioid Special Issue: 11:S105-S120]
Tra le prime 20 molecole responsabili di segnalazioni per eventi avversi maggiori non è presente nessun farmaco oppioide : questo è un dato significativo in relazione al profilo di sicurezza di queste sostanze.
Dopo questa lunga analisi si può giungere alla conclusione che nessun farmaco è sicuro al 100% ma alcuni lo sono più di altri, e con la corretta conoscenza del meccanismo di azione, degli effetti collaterali e delle potenziali reazioni avverse è possibile costruire una terapia strutturata su di un approccio polifarmacologico, che sia adeguata alle esigenze e alle problematiche cliniche di ogni paziente, evitando di ridursi alla prescrizione di un’unica classe di farmaci, e ottenendo sicuramente migliori risultati.
Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Vinci il Dolore