Tutto su asma grave
Definiamo “grave” un asma che richieda alti livelli di trattamento, come stabilito dalle linee guida internazionali (step 4-5 delle linee guida GINA) o trattamento con corticosteroidi per via generale, per oltre la metà del tempo nell’anno precedente, per ottenere un adeguato livello di controllo della malattia o che rimanga incontrollata nonostante i trattamenti.
Forse sapere che l’asma è stata malattia di personaggi illustri e potrebbe aver influenzato le emozioni di Leopardi o le Note di Chopin potrebbe essere quasi consolatorio per pazienti che convivono con una malattia di entità lieve e facilmente gestibile, ma che quasi sicuramente non li abbandonerà mai.
Diverso è per chi si riconosce nelle parole di Seneca (filosofo latino I sec d.C), :
«La malattia mi aveva concesso una lunga tregua; poi improvvisamente mi assalì […] Sono soggetto in modo particolare ad una malattia che non vedo per quale ragione io debba chiamare con parola greca; infatti la si può denominare con sufficiente proprietà “difficoltà di respiro”.
L’attacco del male è di breve durata e simile a un uragano. Finisce per lo più nel giro di un ora: e chi mai potrebbe resistere di più senza respirare? [...] Se mi compiacessi di questa tregua come di una guarigione sarei ridicolo …. (Epistulae ad Lucilium, 54, 1-6)
Invito i cultori della materia alla lettura del testo più esteso, riportato accanto anche in lingua latina, a mio giudizio, ancor più entrante nel cuore del problema. Per quanto concordi con il nostro amato Seneca anche sul senso etimologico, noi la chiameremo ASMA ed in questa piccola trattazione faremo proprio riferimento alla malattia nelle sue forme più gravi, di difficile controllo e trattamento, che ad oggi coinvolgono dal 5 al 10% di tutta la popolazione asmatica.
Pur interessando percentualmente un gruppo minore di soggetti l’asma grave richiama quasi l’80% delle risorse e dei costi impiegati per la gestione clinica e terapeutica di questi malati, avendo quindi un impatto socio-economico notevole sul sistema sanitario.
Definizione di asma grave:
Definiamo “grave” un asma che richieda alti livelli di trattamento, come stabilito dalle linee guida internazionali (step 4-5 delle linee guida GINA) o trattamento con corticosteroidi per via generale, per oltre la metà del tempo nell’anno precedente, per ottenere un adeguato livello di controllo della malattia o che rimanga incontrollata nonostante i trattamenti.
Secondo il documento internazionale WHO (World Health Organization) la dizione di asma grave accomuna 3 tipologie di pazienti:
- pazienti con asma grave non trattati, in cui l’introduzione di un trattamento anche modesto potrebbe essere sufficiente a permettere un adeguato controllo della malattia;
- pazienti con asma grave, controllati solo con livelli massimali di trattamento
- pazienti con asma resistente al trattamento.
Quando possiamo parlare di un paziente con “asma grave”?
E’ la presenza di sintomi respiratori quotidiani, spesso durante la notte, la frequenza degli episodi di riacutizzazione bronchitica ed il riscontro di alterazioni della funzione polmonare, a permettere di definire il livello di gravità della malattia in un paziente che si presenti per la prima volta ad uno specialista pneumologo e che sia stato correttamente inquadrato per una diagnosi di asma bronchiale.
Questo non è da confondersi con il controllo della malattia stessa che andrà opportunamente rivalutato dopo l’introduzione di un trattamento; è infatti possibile che pazienti con sintomi d’asma conclamati raggiungano un buon controllo della malattia una volta trattati con terapia appropriata.
Già ad una prima osservazione del paziente il medico sarà in grado di formulare un’ipotesi prognostica, valutando la presenza di quei fattori di rischio predittivi di uno scarso controllo dell’asma anche dopo terapia:
- Un uso eccessivo di farmaci beta2-agonisti a breve durata d’azione come il salbutamolo,
- Una riduzione significativa della funzione polmonare (FEV1% minore o uguale al 60% del valore teorico),
- Un contesto socio-culturale non adeguato,
- La presenza di comorbidità, con particolare riguardo al reflusso gastro-esofageo, la rino-sinusite cronica con o senza poliposi nasale, l’obesità,
- L’esposizione a fumo di sigaretta e/o allergeni in soggetti sensibilizzati,
- Il riscontro di elevati livelli di eosinofilia nell’espettorato e nel sangue,
La presenza di uno o più di questi fattori di rischio sarà campanello d’allarme per una minore risposta alle terapie anti-asmatiche convenzionali.
L’asma refrattario, l’asma steroide-dipendente, l’asma instabile sono tutte denominazione diverse per identificare fenotipici clinici particolari, in cui il problema comune è il mancato controllo dei sintomi e il ricorrere degli episodi di riacutizzazione respiratoria indipendentemente dal trattamento, o in cui un parziale benessere può essere garantito solo dall’utilizzo di corticosteroidi per via generale.
In caso di mancata/ridotta risposta al trattamento, è sicuramente un’asma difficile?
La risposta è no! Non si scoraggi il paziente né tantomeno il medico, dinanzi alla persistenza di sintomi asmatici conclamati o di frequenti riacutizzazioni nonostante l’introduzione di un trattamento regolare. Le parole d’ordine sono “verificare” e “correggere”.
Verificare che il farmaco sia assunto nei tempi e nel numero di somministrazioni prescritte; l’utilizzo dei farmaci per l’asma non può essere arbitrario: il paziente deve assumere la terapia attenendosi rigorosamente alla prescrizione medica, perché questa sia efficace.
Verificare le modalità di utilizzo dell’inalatore; una mancata risposta al trattamento può dipendere proprio da un utilizzo non corretto del dispositivo. Il medico è tenuto a verificare più volte, nel corso delle visite successive, la modalità con cui il paziente utilizza il dispositivo per l’erogazione del farmaco ed il paziente deve avere la tranquillità di porre ogni domanda che ritenga utile a chiarire dubbi o perplessità a riguardo. La scelta del tipo di inalatore riveste un ruolo cruciale, potendo fortemente condizionare la reale aderenza e risposta al trattamento; tale scelta andrà quindi fatta ed eventualmente rivalutata per e con il paziente.
Eventuali comorbidità andranno ricercate e gestite nel modo più adeguato, i fattori di rischio allontanati o eliminati quando possibile. Un rapidissimo accenno per ricordare come il fumo determini in tutti i soggetti asmatici un peggioramento della gravità della malattia e una minore risposta alla terapia farmacologica; in gravidanza è correlato anche con un rischio maggiore di wheezing, allergia ed asma nell’infanzia.
Quando l’asma è davvero grave
Ma l’asma “grave non controllato” esiste davvero e quando ogni trattamento convenzionale fallisce, l’indicazione sarà di rivolgersi ad un centro specializzato per la gestione di quella che, XX secoli dopo Seneca, è una malattia tutt’altro che sconfitta.
Sino ai tempi recenti, l’ancora di salvezza per un paziente con asma critico è stato l’utilizzo di corticosteroidi assunti per via generale, con l’alto rischio di sviluppare patologie iatrogene correlate all’uso del cortisone (ipertensione, osteoporosi, diabete, cataratta, etc).
Oggi questo trattamento è raccomandato solo per periodi brevi, in particolare nelle fasi di riacutizzazione di malattia. L’obiettivo primario per il medico, nella gestione del paziente asmatico, deve essere infatti quello di garantire una buona qualità della vita, che non può prescindere dal ridurre il rischio dei danni secondari al trattamento.
Fortunatamente, la comprensione dei meccanismi fisiopatologici e biologici della malattia, ha aperto la strada ad approcci di intervento sempre più mirati e studiati per ogni singolo paziente.
Così come lo studio della funzione polmonare anche quello dell’infiammazione bronchiale è oggi possibile con tecniche non invasive, disponibili presso centri pneumologici specializzati, che permettono di ottenere in maniera semplice e riproducibile, campioni biologici (espettorato bronchiale, aria esalata, condensato dell’esalato etc), da studiare per l’identificazione di differenti pattern di infiammazione bronchiale.
Le cellule infiammatorie più comunemente implicate nella patogenesi dell’asma sono eosinofili e neutrofili, e numerosi sono i trial clinici che studiano la risposta al trattamento la cui scelta sia guidata dal fenotipo infiammatorio. E’ facilmente comprensibile come ciò sia tanto più essenziale quanto più l’asma del paziente non risponda ai trattamenti convenzionali.
Se, ad esempio, da un lato è ben noto che pazienti con prevalente componente neutrofilica nell’infiammazione polmonare rispondono meno bene al trattamento con corticosteroidi per via inalatoria (CSI), dall’altro pazienti con asma difficile ed infiammazione prevalente eosinofilica potrebbero giovarsi di un trattamento con ICS a dosi anche superiori a quelle raccomandate.
Nuovi farmaci biologici
Proprio perché così ben studiata e allo stesso tempo così complessa, l’asma si è rivelata terreno fertile per la ricerca di farmaci nuovi, di tipo biologico, prodotti dell’ingegneria genetica ideati ad hoc, per andare a colpire specifici bersagli coinvolti nella cascata infiammatoria che sottende la malattia asmatica.
Il più “anziano” di questi farmaci è l’Omalizumab, i cui studi iniziali risalgono ai primi anni del 2000. E’ un anticorpo monoclonale umanizzato, diretto contro anticorpi della classe IgE, ovvero quelle immunoglobuline coinvolte nella risposta dell’organismo a stimoli di tipo allergico.
E’ infatti un farmaco che nasce con l’indicazione all’utilizzo esclusivo nei pazienti con asma allergico di difficile controllo.
Le successive osservazione hanno poi permesso di individuare altri probabili meccanismi d’azione non strettamente legati all’azione sulle IgE, aprendo la strada per l’estensione dell’applicazione del farmaco anche nelle forme non allergiche.
La dimostrata efficacia nel ridurre il numero di ospedalizzazioni, il ricorso a dipartimenti di urgenza e la frequenza delle riacutizzazioni con conseguente calo dell’uso di cortisonici per via generale, spiega il significativo miglioramento della qualità di vita di questi pazienti.
Ma l’Omalizumab è solo l’inizio, la ricerca successiva è stata rivolta a farmaci diretti contro le principali citochine coinvolte nella cascata infiammatoria che sottende la malattia asmatica. La figura 1 ben rappresenta le sedi d’azione di alcuni dei principali farmaci biologici studiati in ambiente pneumologico.
Un quadro più dettagliato dei farmaci biologici in corso di valutazione clinica è riportato nella Tabella 1.
L’unico farmaco ad oggi approvato in Italia è lo Xolair (Omalizumab, anti-IgE) ed è recentissima, novembre 2015, l’approvazione da parte del FDA americano dell’utilizzo del Nucala (Mepolizumab, anti-IL5) negli USA. Nuovi ed interessanti risultati sono attesi in particolare con: Benralizumab (anti IL-5Ra), Lebrikizumab, Tralokinumab (entrambi anti-IL 13) o Dupilumab (diretto contro il complesso recettoriale IL 4Ra/IL-13Ra1).
Il concetto chiave rimane la selezione accurata del paziente: la presenza di IgE sieriche, di infiammazione eosinofilica su sangue, o di alcuni biomarcatori particolari come la periostina sierica, si sono rivelati elementi chiave per la risposta al trattamento con uno specifico farmaco biologico piuttosto che un altro. Il limite più grosso per l’applicabilità su larga scala di questi farmaci sarà probabilmente determinato dal costo, attualmente troppo alto per poter rispondere estesamente alla richiesta clinica.
Termoplastica bronchiale
In affiancamento più che in alternativa a queste nuove terapie si propone la “termoplastica bronchiale”, una procedura molto nuova che probabilmente disarma chi ha da sempre pensato che l’asma, in quanto disordine di tipo infiammatorio/funzionale, non lasci spazio a procedure di tipo interventistico.
Si tratta di una procedura endoscopica mini-invasiva, eseguita in sedazione. Con un broncoscopio flessibile, viene introdotto un catetere nell’albero respiratorio che va ad erogare calore lungo le pareti del bronco da trattare. L’intero trattamento viene effettuato in 3 sedute distanziate tra loro di tre settimane almeno. L’idea di base è la riduzione dell’eccesso della muscolatura liscia che provoca la riduzione del calibro bronchiale, particolarmente durante un attacco d’asma, anche se è presumibile che i meccanismi con cui agisce la procedura siano molteplici, stante l‘assenza di una variazione della funzione polmonare dopo il trattamento (azione su afferenze sensoriali, effetti funzionali non misurabili con i test attualmente disponibili, etc).
I principali studi condotti con questa procedura (RISA, AIR e AIR2) concordavano pienamente nel rilevare un miglioramento della qualità di vita ed in parte del controllo dell’asma con riduzione del tasso di riacutizzazioni.
E proprio la riduzione degli episodi di riacutizzazione, soprattutto quelli gravi, sembra mantenersi stabile nell’osservazione dei pazienti a 5 anni dalla procedura.
I limiti maggiori legati alla procedura sono dati dalle possibili complicazioni post-trattamento, che nella maggior parte dei casi sono però limitate ad un peggioramento transitorio dei sintomi asmatici, al periodo di osservazione relativamente breve, all’applicabilità solo in paziente selezionati (età inferiore ai 65 aa, con funzione polmonare non troppo compromessa e tasso di riacutizzazione annuale non troppo alto).
Partendo dalla necessità di un inquadramento accurato dei pazienti con asma grave, la termoplastica bronchiale sarà maggiormente indicata in quei soggetti con un quadro infiammatorio meno spiccato, resistenti alla terapia con corticosteroidi e con evidente rimodellamento delle pareti bronchiali come suggerito dalle alterazione dei parametri funzionali.
Conclusioni
Da quanto detto è evidente come la gestione del paziente con asma grave rimanga complessa e sicuramente da demandare a centri specializzati che conoscano il problema, sappiano inquadrare correttamente il paziente e possano usufruire dei trattamenti nuovi e in divenire che la ricerca propone, nel tentativo costante di progettare un piano d’azione mirato realizzato su misura per ogni singolo paziente.
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Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Respiro