La protesi d'anca mininvasiva
In questo articolo andremo ad analizzare quali sono, dal punto di vista chirurgico, le possibilità offerte dalla chirurgia mini invasiva nella protesica d'anca e la riabilitazione funzionale post intervento.
Lo sviluppo delle cosiddette metodiche “mini-invasive” è iniziato, all'inizio degli anni 2000, in risposta ad una precisa richiesta dei pazienti: quella di poter effettuare gli interventi di sostituzione protesica dell'anca riducendo le dimensioni del taglio.
Sono stati pubblicati studi che mostravano come questa esigenza fosse più un'esigenza psicologica, che non clinica.1
Infatti è noto che la VERA mini invasività, identificata come RISPARMIO TISSUTALE e quindi riduzione dell'insulto all'integrità corporea del paziente ha poco a che vedere con le dimensioni del taglio.
Ad esempio, esistono vie (come la classica via di Smith-Petersen) che offrono un eccellente risparmio tissutale ed un eccellente rispetto anatomico, a dispetto di cicatrici di notevoli dimensioni. Esistono al contrario approcci laterali che si definiscono “mini-invasivi” che, pur contenendo le dimensioni del taglio prevedono di sezionare il medio gluteo, con grave danno dell'integrità della muscolatura dell'anca.
E' importante inoltre minimizzare il discomfort globale legato alla procedura e a tutta l'ospedalizzazione. La vera mini invasività dunque, non bada solo alle dimensioni del taglio: essa mira a ridurre i tempi di ospedalizzazione, i tempi chirurgici, il dolore postoperatorio, il sanguinamento ed il rischio di trasfusione.
Quando possibile si cercherà di risparmiare al paziente disagi, evitando il catetere vescicale, le calze elastiche, le “punturine” di eparina nella pancia (sostituendole con nuovi farmaci per bocca).
In questo articolo andremo ad analizzare quali sono, dal punto di vista chirurgico, le possibilità offerte dalla chirurgia mini invasiva nella protesica d'anca.
Via d'accesso
La via d'accesso più tradizionale all'anca, ancora usata da molti chirurghi, è la via laterale diretta. Sebbene esistano alcuni approcci chirurgici descritti come “laterale diretta mini-invasiva”, tali accessi NON consentono un vero risparmio tissutale, in quanto prevedono che venga violata l'integrità del medio gluteo, il più importante tra i “motori dell'anca”. Per questo motivo oggigiorno i grandi centri specializzati in chirurgia dell'anca tendono a non scegliere la via laterale diretta, ma si affidano ad altri approcci.
La via mini invasiva a risparmio tissutale più comunemente utilizzata ad oggi è la via postero-laterale, anche se negli ultimi anni ha avuto grande diffusione la via anteriore, che offre un'anatomia ed un risparmio tissutale eccellenti. Esiste poi anche la via superiore, indicata in un numero limitato di casi e conosciuta da un numero ridotto di chirurghi.
Purtroppo la scelta della via da impiegare dipende necessariamente dalla dimestichezza che ciascun chirurgo ha con ciascuna di queste vie. E' importante però ricordare che ognuna di queste vie non può dirsi superiore all'altra in senso assoluto. Come per ogni cosa, ciascuna via ha i suoi pro ed i suoi contro, e la scelta della corretta via da impiegare andrebbe quando possibile personalizzata sulle esigenze del paziente.
Fig. 1: tre esempi di via d'accesso “mini invasiva” all'anca. In rosso, via anteriore. In verde, via superiore con portale accessorio distale. In blu, via postero-laterale.
Via Postero-laterale mini invasiva
Rappresenta una modificazione della classica via postero-laterale. La lunghezza del taglio viene sensibilmente ridotta rispetto all'accesso classico, e per fare questo anche la posizione e la forma del taglio risultano leggermente modificate. L'accorciamento del taglio consente di minimizzare la divaricazione del muscolo grande gluteo, che non viene mai sezionato longitudinalmente. Il muscolo medio gluteo, il motore dell'anca, non viene in alcun modo danneggiato. È possibile risparmiare alcuni extrarotatori come il piriforme o il quadrato del femore, aiutandosi con gesti chirurgici accessori (come la capsulotomia inferiore e il release del capo reflesso del tendine del retto femorale.
Consente una esposizione dell'acetabolo incomparabilmente migliore rispetto alle altre tecniche mini-invasive, consentendo di rimuovere accuratamente eventuali osteofiti. Anche l'esposizione del femore è lievemente migliore, consentendo quindi un più facile rispetto della pianificazione preoperatoria grazie all'agevole accesso ad alcuni reperi anatomici come il piccolo trocantere. Questo consente alla via, se impiegata in combinazione con la pianificazione postoperatoria, di essere incredibilmente precisa in termini di accuratezza di posizionamento e controllo della lunghezza degli arti.
In caso di complicanze può essere facilmente allargata oppure convertita in una via posterolaterale classica senza dover compiere gesti aggiuntivi lesivi per i tessuti.
In mani esperte è universalmente riconosciuta come la via d'accesso mini invasiva più rapida consentendo, nei casi più veloci, un intervento da cute a cute anche in soli 30 minuti. Normalmente nella routine l'intervento dura tra i 40 e i 60 minuti.
Un altro enorme vantaggio è legato al fatto di poter essere utilizzata con qualunque tipo di stelo: non solo gli steli corti mini-invasivi, ma anche i classici steli retti.
Ha come svantaggio il fatto che si presta poco a cicatrici di piccole dimensioni in caso di pazienti obesi o molto muscolosi, il fatto che in rari casi (specie nei magri) si può avere una antiestetica “fossetta” sulla natica a livello degli extrarotatori (che tuttavia non procura altri inconvenienti), ed il fatto che è una via universalmente nota come essere meno “perdonante” nei confronti di errori di posizionamento dell'impianto da parte del chirurgo.
Queste caratteristiche fanno della posterolaterale mini invasiva, in mani esperte, la via mini invasiva più “universale”, adatta pressoché a tutte le patologie di pazienti. Trova impiego ideale nei pazienti in cui sia necesaario ridurre i tempi chirurgici, nei primi impianti complessi in cui si prevedono difficoltà o possibili complicanze, in tutti i casi in cui sia importante ottenere un preciso rispetto della pianificazione (a tutto vantaggio della riduzione dell'usura dei materiali nel tempo) ed una lunghezza degli arti il più possibile accurata.
E' una via d'accesso fondamentale, che dovrebbe far parte del bagaglio culturale di QUALUNQUE ortopedico (purtroppo ancora non è così) e dovrebbe essere scelta dal giovane chirurgo ortopedico che ha intenzione di dedicarsi all'ortopedia generale ma non desidera fare della protesica d'anca la propria iperspecializzazione.
Via Anteriore Mini invasiva
Rappresenta una modificazione della classica via anteriore di Smith-Petersen.
E' la via in assoluto più anatomica, in quanto nessun muscolo viene non solo sezionato, ma neppure divaricato nel contesto delle sue fibre. Tuttavia il passaggio del chirurgo tra il tensore della fascia lata ed il sartorio impone l'isolamento e la legatura del fascio vascolare intermuscolare, con possibile rischio emorragico. Inoltre è necessario l'isolamento dei rami superficiali del nervo femoro-cutaneo laterale che, se danneggiati, possono causare importanti disturbi nel postoperatorio.
La bontà della dissezione anatomica la rende la via universalmente riconosciuta come la “più risparmiosa” a livello tissutale. L'esposizione dell'acetabolo è di qualità nettamente inferiore rispetto alla postero-laterale. Fortunatamente è anche una via molto più “perdonante”, quindi l'assoluta rimozione degli osteofiti e la precisione di posizionamento del cotile non sono così mandatori come nella posterolaterale. In caso si presentassero difficoltà nella rimozione di osteofiti voluminosi che causino instabilità protesica, potrebbe risultare necessario aumentare la tensione legamentosa “allungando”, a scapito dell'accuratezza nella lunghezza degli arti. A tal proposito è da menzionare il fatto che l'accesso ai reperi per la verifica del rispetto della pianificazione ha, con questa via, una precisione inferiore rispetto alla posterolaterale.
In assenza di queste complicanze, tuttavia, la sua tolleranza nei confronti dei malposizionmenti la rende una via a bassissimo rischio di lussazione, anche per chirurghi all'inizio della loro curva di apprendimento o per chirurghi che non utilizzino la di routine la pianificazione preoperatoria
L'esposizione dello stelo è ottima, ma non tale da rendere possibile l'impianto, ad esempio, di steli particolarmente lunghi In caso di complicanza la via può essere allargata mimando una Smith-Petersen classica, con sensibile aumento dell'invasività totale della procedura.
La lunghezza del taglio è poco influenzata dalla corporatura del paziente, la sua posizione (anteriore) è meno vistosa rispetto alla via posterolaterale, e non si possono verificare cedimenti degli extrarotatori.
I tempi chirurgici sono sensibilmente superiori, consentendo interventi in 45 minuti nei casi più rapidi, con dei tempi di routine dai 60 ai 90 minuti.
Queste caratteristiche rendono la via anteriore mini invasiva ideale per l'impianto di tribologie Hard-on-Hard (ceramica-ceramica), per i pazienti che vogliono un recupero rapido specie nei primissimi giorni, nei pazienti che non vogliono o non possono seguire scrupolosamente le raccomandazioni dei primi giorni (decubito supino a letto, alzavater, etc…) nei pazienti obesi o muscolosi che gradiscono comunque un buon risultato cosmetico, nei pazienti molto magri che temono inestetismi causati dalla “fossetta” degli extrarotatori.
Sebbene la curva di apprendimento sia più ripida è, a mio parere, la via d'accesso di scelta per un giovane chirurgo alla prime armi che –partendo da zero- voglia dedicarsi seriamente alla chirurgia protesica dell'anca facendone la sua iperspecializzazione.
Via Superiore
La via superiore è una via nuova, che offre migliori risultati se associata ad un portale distale (simile ad un forellino artroscopico) per la fresa del cotile.
Sfrutta lo stesso split del grande gluteo della via posterolaterale, e –come quest'ultima- accede all'articolazione posteriormente al medio gluteo senza danneggiarlo. L'accesso superiore all'anca consente la preparazione del femore senza dover lussare l'anca, a tutto vantaggio della riduzione dei traumatismi ai tessuti molli. La visibilità dell'acetabolo è ulteriormente sacrificata rispetto alla via anteriore, ma per fortuna anche questa via ha una elevatissima tolleranza ai malposizionamenti. Anche l'esposizione femorale è più agevole, e questo limita nettamente la possibilità di scelta di impianto da parte del chirurgo: in questa via vengono impiegati solo steli modulari, e non è adatta quindi a tutti quei casi in cui, per la giovane età del paziente, si voglia utilizzare uno stelo monoblocco. L'esposizione del femore rende necessario il controllo intraoperatorio con amplificatore di brillanza (radiografia), con esposizione del paziente ad una (pur minima) dose di radiazioni ionizzanti e con allugamento dei tempi operatori, che sono di 5-15 minuti superiori rispetto ad una via anteriore.
Il rischio di lussazione è minimo, paragonabile a quello della via anteriore.
L'effetto cosmetico è ottimo, in quanto la cicatrice risulta coperta in sua ampia parte dalla spalla di una comune mutandina slip.
La via è controindicata nei pazienti che presentino spiccata rigidità preopratoria in intrarotazione.
Queste caratteristiche rendono la via superiore mini invasiva ideale per i pazienti che vogliono un recupero rapido specie nei primissimi giorni, nei pazienti che non vogliono o non possono seguire scrupolosamente le raccomandazioni dei primi giorni (decubito supino a letto, alzavater, etc…), nei pazienti anziani in cui si voglia ridurre al minimo il traumatismo tissutale e non sia, al tempo stesso, necessario l'uso di steli monoblocco.
La curva di apprendimento è ripida, e la sua scarsa universalità non fanno della via superiore uno strumento adatto al chirurgo alle prime armi o al chirurgo che non desideri fare della protesica d'anca la sua iperspecializzazione.
Osteointegrazione e riduzione delle dimensioni delle protesi
Lo studio del design protesico e dei nuovi materiali ha portato ad un netto miglioramento delle caratteristiche di stabilità primaria e secondaria delle protesi nell'osso. Questo ha consentito una progressiva riduzione delle dimensioni degli impianti.
L'impiego, ad esempio, dell'idrossiapatite oppure del titanio trabecolare negli acetaboli ha ridotto la necessità dell'impiego di viti, o dei più invasivi cotili tronco-conici, o dei cotili avvitati. Il miglioramento del design dello stelo ha consentito la produzione di steli più corti e smussati, favorendone l'introduzione senza violare l'integrità del massiccio trocanterico, di importanza fondamentale per la propriocezione e consentendo quindi un recupero più rapido nei primi giorni.
Un ultimo, non trascurabile, vantaggio della riduzione delle dimensioni del materiale protesico sta nella riduzione dell'invasività anche di un eventuale futuro intervento di revisione in cui si debba sostituire la protesi.
La scelta dei materiali
La tribologia è la scienza che studia l'accoppiamento dei materiali sottoposti ad usura nella chirurgia protesica. Le testine delle protesi d'anca possono essere in metallo (lega di Cromo e Cobalto) oppure in ceramica ad alta densità (alumina).
La componente chiave, nella durata del tempo di una protesi, è rappresentata dal rivestimento interno della coppa acetabolare. E' proprio questa componente che può determinare, a distanza di anni, la maggior parte dei fallimenti delle protesi con necessità di reintervento.
Nell'ottica di ridurre l'invasività globale anche in riferimento a possibili futuri interventi, il chirurgo dovrà scegliere con attenzione l'impianto più adatto per ciascun paziente, in relazione a molti fattori come ad esempio peso, età, attività sportiva, sesso.
Le coppe possono essere in metallo, ceramica, o polietilene.
Polietilene
E' il materiale più classico e conosciuto nella protesica d'anca. Classicamente veniva impiegato con testine in metallo, mentre oggi si preferisce la ceramica che ne riduce l'usura.
Lo svantaggio fondamentale del polietilene è che tende col tempo a consumarsi. Pertanto è un materiale intrinsecamente “non eterno”, ma questa caratteristica non deve spaventare: di contro il polietilene ha un comportamento molto prevedibile, la sua usura può venire monitorizzata e (se preso in tempo) può venire sostituito con un intervento dalla ridottissima invasività, indicato anche in pazienti anziani o con problemi di salute.
Inoltre oggi esistono i cosiddetti polietileni addizionati di vitamina E (al momento la novità più recente in tribologia) che promettono un netto miglioramento delle prospettive di durata.
Questi polietileni offrono una durata che si va ad avvicinare a quella delle ceramiche, ma non ne condividono i possibili contro rappresentati dal rischio di rottura che le ceramiche presentano.
Ceramica
Anche la ceramica ha subito notevoli miglioramenti negli anni. La ceramica utilizzata oggigiorno, dal punto di vista chimico, è composta da ossido di alluminio (alumina). Questo materiale è considerato ideale per l'impiego in chirurgia, in quanto liscio, durissimo (con valori, sulla scala di Vickers, circa doppi rispetto all'acciaio) e totalmente biocompatibile. Tuttavia, mentre le testine sono universalmente considerate sicure dal punto di vista della resistenza, le coppe acetabolari presentano ancora un certo rischio di rottura.
Le coppe in ceramica vengono sempre abbinate a testine in ceramica. Questa combinazione offre teoricamente una durata nel tempo elevatissima, ma rendono l'intervento meno “perdonante” eventuali rischi di posizionamento, e la protesi ceramica-ceramica risulta a volte meno “confortevole” per il paziente rispetto alla ceramica polietilene, per i possibili rischi di squeaking (rumore fastidioso percepito dal paziente), per la rigidità o per problematiche da ingombro.
Un ultimo punto da tenere in considerazione è legato al fatto che l'intervento da affrontare in caso da rottura della ceramica è molto più invasivo rispetto ad un intervento di sostituzione del polietilene: quando si rompe la ceramica è infatti generalmente necessario sostituire l'intera componente acetabolare.
Metallo
Le coppe in metallo vengono accoppiate con testine in metallo. Queste soluzioni offrono la durata teorica maggiore in assoluto. Tuttavia è noto che la produzione di ioni metallo che caratterizza questi impianti può provocare problemi locali (fino anche al fallimento dell'impianto con necessità di sostituzione) o sistemici.
Bilateralità
Nell'ottica di riduzione dell'invasività globale la possibilità di un intervento bilaterale andrebbe preso in seria considerazione. I tempi per la riabilitazione di una protesi d'anca bilaterale sono esattamente sovrapponibili a quelli dell'intervento monolaterale, con la differenza che non si dovrà successivamente sottoporsi di nuovo alla medesima procedura.
Il tema è approfonditamente affrontato in questo Minforma: https://www.medicitalia.it/minforma/ortopedia/730-la-protesi-dell-anca-bilaterale-in-contemporanea.html
La rieducazione funzionale
Parlare di riabilitazione dopo intervento di protesi d'anca significa necessariamente partire dalla metodica chirurgica che viene adottata.
Dal punto di vista del riabilitatore l'aspetto di particolare interesse è rappresentato dal fatto che la tecnica mini invasiva consente un approccio chirurgico che non danneggia i muscoli e gran parte dei tessuti molli che circondano l'articolazione. Questo si traduce nella possibilità di un recupero della funzionalità e quindi della autonomia, molto più rapido.
Le vie di accesso della metodica convenzionale prevedono, per raggiungere l'articolazione, il distacco dei muscoli i quali, una volta posizionata la protesi, vengono reinseriti con una sutura che nelle settimane successive andrà incontro alla guarigione con la formazione di un tessuto cicatriziale e quindi con la rigenerazione dei tessuti muscolari.
Durante questa fase proprio per l'indebolimento di tutte queste strutture che svolgono una importante funzione di contenimento, può manifestarsi una delle complicanze più tipiche di questa metodica: la lussazione, ovvero la fuoriuscita del femore protesizzato dalla sua sede. Infatti dopo un intervento di chirurgia tradizionale è necessario adottare una serie di precauzioni atte a prevenire questa complicanza come ad esempio evitare di sedersi su sedie o poltrone particolarmente basse, evitare di dormire sul fianco, flettere l'anca oltre i 90 gradi, ecc...Anche i protocolli riabilitativi ovviamente dovranno tenere conto di questa situazione evitando ogni movimento a rischio.
Tutto ciò viene superato con l'intervento mini invasivo proprio per il fatto che vi è una conservazione pressochè integrale delle strutture muscolari e tendinee che circondano l'anca.
Entriamo ora un po’ più nello specifico per quel che riguarda il protocollo riabilitativo. Bisogna tenere presente che il lavoro deve essere sempre adattato alla singola persona, con tutte le variabili che questo implica.
Fase pre-intervento
Il programma di lavoro può iniziare già nella fase che precede l'intervento. Migliorare il tono muscolare generale e dell'arto
inferiore interessato in particolare, può essere molto utile al fine di un più rapido recupero nel post intervento. Infatti il dolore e la limitazione funzionale con conseguente riduzione dell'attività motoria tipiche del quadro artrosico, indeboliscono tutta la muscolatura con conseguente ulteriore peggioramento della qualità del cammino. Un altro aspetto da considerare è la possibilità di imparare fin da subito un corretto uso delle stampelle.
Fase iniziale
Se non vi sono complicanze, già dal giorno successivo all'intervento si riprende la stazione eretta cominciando a caricare sull'arto operato. Si inizia inoltre a fare qualche passo utilizzando un ausilio (deambulatore o stampelle). Nei giorni successivi L'obiettivo prioritario è quello di un recupero graduale sia della articolarità che del tono muscolare con particolare riferimento a glutei e quadricipite.
Elettrostimolazione
L'elettrostimolazione muscolare è di particolare utilità proprio nelle fasi iniziali, quando cioè il muscolo risulta estremamente debole e la situazione generale non consente ancora di fare una lavoro attivo efficace.
Mobilità articolare
La completa articolarità viene recuperata con mobilizzazioni dapprima passive (il terapista muove l'articolazione) e successivamente attive (il paziente muove l'anca sotto la guida del terapista).
Esercizi isometrici
Sono caratterizzati da contrazioni muscolari che avvengono senza movimento articolare e devono coinvolgere tutti i gruppi muscolari della coscia.
Stretching
Esercizi di allungamento dei vari gruppi i muscolari dell'anca operata che hanno lo scopo di fare riacquistare una corretta elasticità alle strutture muscolo-tendinee.
Rieducazione al cammino
Prosegue la rieducazione al cammino con carico protetto utilizzando le stampelle. In genere si può già abbandonarne una dopo 7-10 giorni, mantenendo quella del lato opposto all'anca operata. Molti pazienti però riescono ad abbandonare la stampella già dopo 4-5 giorni dall'intervento. Nelle immagini si può vedere la corretta sequenza del passo con due stampelle.
15-20 giorni dopo l'intervento
Rinforzo muscolare isotonico
Si introducono esercizi che implicano il movimento articolare.
Vengono coinvolti tutti i muscoli che partecipano alla mobilizzazione dell'articolazione. Inizialmente vengono utilizzati degli elastici la cui resistenza viene progressivamente graduata.
Idrocinesi
Una volta rimossi i punti di sutura, con ferita in ordine e ben chiusa, si inizia un protocollo di lavoro in acqua che risulta particolarmente importante proprio per le cratteristiche tipiche di questo ambiente. Il peso del corpo risulta solo il 10% del peso effettivo (ad es. una persona di 75 kg immersa fino al collo peserà solo 15 kg: 7,5relativi alla parte immersa più 7,5 kg circa del peso della testa). Ogni movimento risulta quindi facilitato con grandi benefici sul dolore, sul recupero degli schemi motori e sulla coordinazione. Sfruttando inoltre la resistenza che l'acqua offre ai movimenti, anche la muscolatura viene sollecitata senza gravare sulle articolazioni.
Dopo circa 20-30 giorni è possibile un recupero del cammino del tutto autonomo e quindi dopo circa un mese si può considerare concluso il percorso riabilitativo.
E' necessario ribadire ancora una volta che il protocollo che qui abbiamo sintetizzato per sommi capi deve sempre essere adattato alla singola persona e quindi le modalità di lavoro e i tempi di recupero possono avere delle differenze a volte anche molto marcate.
Per concludere, l'artrosi dell'anca che nelle sue fasi più estreme può essere causa di gravi invalidità, è un problema assolutamente affrontabile grazie al progresso dei materiali protesici, delle tecniche chirurgiche e delle metodiche riabilitative, con un deciso miglioramento della qualità della vita.
Si ringrazia il Dott. Luca Montagna per il contributo sulla "Rieducazione funzionale".
BIBLIOGRAFIA
1. Dorr LD, Shahrdar C The Posterior Approach For Minimally Invasive Total Hip Replacemente Surgery, in The Adult Hip, Lippincott Williams & Wilkins, Philadelphia 2007