La gestione a lungo termine della spasticità: cosa succede quando i muscoli perdono elasticità?
La chirurgia funzionale rappresenta una valida opportunità per i pazienti con retrazioni miotendinee da spasticità prolungata, riduce l'ipertono dei muscoli riducendone il riflesso da stiramento e, se pianificata con attenzione, può portare a dei risultati posturali e funzionali che il paziente può riscontrare nella sua quotidianità.
Abbiamo visto negli altri articoli come la spasticità rappresenti un insieme di segni e sintomi che si verificano a seguito di un danno del sistema nervoso centrale, con una grandissima variabilità nelle manifestazioni cliniche, essendo frequentemente presenti insieme segni clinici apparentemente opposti come ipertono e debolezza muscolare.
Nella grande maggioranza dei casi, la spasticità porta ad una perdita di funzione che si riflette inevitabilmente nella riduzione dell’autonomia dell'individuo andando ad interferire con tutte le attività della vita quotidiana. Basti pensare quanto frequentemente siamo costretti ad usare entrambe le mani per lavarci, vestirci e cucinare per capire la portata del problema. In alcuni casi, la spasticità può non essere un avvenimento del tutto negativo: ad esempio, un arto inferiore ipostenico, in cui è presente un deficit di attivazione volontaria di alcuni gruppi muscolari, se irrigidito dalla spasticità può fungere da "supporto" al carico del peso corporeo durante il cammino e permettere una deambulazione utile per spostamenti in autonomia, anche se non propriamente fisiologica.
Ma cosa succede quando la spasticità non viene trattata?
Dopo una spasticità prolungata, con una tempistica molto variabile a seconda della gravità del danno, dell'età e della predisposizione genetica del paziente (da poche settimane a molti mesi dopo l'instaurarsi dell'ipertono), il muscolo lentamente si trasforma dando origine ad un fenomeno meglio conosciuto con il nome di "metaplasia". Il muscolo ipertonico sviluppa delle anomale interazioni tra le sue fibre e, contraendosi attorno ai vasi sanguigni responsabili della propria ossigenazione (in particolar modo costringendo i vasi venosi, non dotati di un vero e proprio muscolo nello spessore della propria parete), provoca un danno tissutale. In tal modo si modificano le proprietà reologiche, ovvero l'elasticità, la distensibilità, e si accorcia in modo irreversibile. Quando un muscolo scheletrico arriva ad un grado di trasformazione del genere, i comuni trattamenti riabilitativi e farmacologici in grado di ridurre l'ipertono perdono di efficacia. I tralci fibrosi, esito della prolungata spasticità, che imbrigliano il muscolo non permettono un allungamento anche allorquando la spasticità propriamente detta viene ridotta dal trattamento riabilitativo e farmacologico locale e sistemico. In tal caso, anche quando si potrà ottenere una riduzione dell'ipertono a carico delle fibre muscolari ancora presenti, non si avrà un allungamento clinicamente rilevabile a causa della retrazione fibrosa.
Retrazione miotendinea arto superiore in paziente con spasticità in esiti di ictus ischemico.
Per definire con precisione un quadro clinico del genere, è sempre utile un controllo ecografico, perché i segni di questa fibrosi sono molto ben visibili durante l'esame muscolare ecografico, e possono essere localizzati morfologicamente e quantificati tramite una scala che valuta l'ecogenicità dei tessuti (scala di Heckmatt); ancora meglio se tale indagine viene eseguita con una tecnica ecografica chiamata "elastosonografia", in grado anche di quantificare l'elasticità del tessuto in esame in risposta a stimoli pressori dall'esterno.
Quando sospettare una retrazione fibrosa del muscolo? Dal punto di vista clinico, si può iniziare a pensare che ci sia una retrazione quando non è più possibile raggiungere determinati angoli articolari anche in seguito a trattamenti con farmaci contro la spasticità; ad esempio, nel piede equino, quando non si riesce a raggiungere una posizione neutra dell'articolazione tibiotarsica anche dopo intenso stretching, sia a ginocchio esteso che a ginocchio flesso. Pazienti che già sono in trattamento per la spasticità con farmaci antispastici locali e sistemici, nel momento in cui il muscolo si retrae imbrigliato dai suoi tessuti connettivali, vedranno lentamente diminuire l'effetto dei farmaci, fino a che non perderanno efficacia del tutto. Questo avviene perché tali farmaci vanno a rilassare la parte contrattile ed elastica del muscolo che viene attivata dall'impulso neuromotorio; in un muscolo retratto, il limite al movimento è rappresentato dalla fibrosi e non più dall'ipertono.
La fibrosi che si instaura a seguito di una prolungata spasticità non è quasi mai reversibile, e l'unica reale terapia per restituire al muscolo delle possibilità di allungamento compatibili con un fisiologico utilizzo durante la vita quotidiana è la cruentazione del muscolo. Questo allungamento può avvenire tramite un intervento di chirurgia funzionale o, nei casi meno complessi che non necessitino di trasposizioni tendinee, con una innovativa tecnica mini-invasiva con l'utilizzo di fibre laser a cielo chiuso con guida ecografica.
La chirurgia funzionale per la correzione di deformità muscoloscheletriche è in realtà una pratica "antica", i primi scritti riguardanti il trattamento chirurgico di muscoli retratti risalgono al XVIII secolo. Le finalità del trattamento chirurgico sono quelle di un ribilanciamento dell'attività muscolare, tramite allungamenti muscolotendinei o tramite la riduzione dell'attività dei muscoli che sono agonisti verso la deformità, permettendo il funzionamento del muscolo antagonista (ad esempio, l'allungamento dei muscoli plantiflessori per permettere il funzionamento dei muscoli dorsiflessori della caviglia nel piede equino). Ovviamente vanno preservate le deformità funzionali per la vita quotidiana del paziente, concentrandosi sulle modifiche chirurgiche da effetuare per migliorare il funzionamento globale del paziente, da cui il termine "chirurgia funzionale".
Quali sono le tecniche attualmente adoperate dal chirurgo neuro-ortopedico?
L'intervento di gran lunga più frequente è l'allungamento chirurgico di un tendine o di un muscolo contratto. Oltre al vantaggio meccanico che deriva dall'allungamento di strutture non elastiche, che può migliorare la funzione e prevenire complicanze secondarie come le deformità articolari strutturate, ne trae un immediato vantaggio diretto anche la spasticità stessa, essendo dipendente dallo stiramento del muscolo. In tal modo anche l'ipertono, indotto dallo stiramento muscolare, si riduce.
Esiti di intervento chirurgico di allungamento dei muscoli flessori di gomito.
Un allungamento miotendineo deve sempre essere dosato attentamente, in quanto il risultato finale dipende da numerosi fattori non solo legati alla "quantità" dell'allungamento, che si può effettuare con tecniche diverse a diverso impatto funzionale, ma anche dall'attività del muscolo antagonista (ovvero quel muscolo che potrà tornare a svolgere il suo lavoro nel momento in cui viene chirurgicamente rimosso il "freno a mano").
Altra tecnica molto utilizzata dai chirurghi è il transfer tendineo, ovvero lo spostamento di un tendine di un muscolo in una nuova sede, con possibilità di modificare o meno l'azione di tale muscolo. L'obiettivo di tale intervento è di ribilanciare le forze che agiscono su un'articolazione o la forza di un altro muscolo.
Tale intervento è più usato su lesioni nervose periferiche, ma anche i pazienti con un danno al sistema nervoso centrale, con una attenta e prolungata riabilitazione, possono migliorare il controllo neuromotorio di un muscolo che modifica la propria funzione. In questo caso molta attenzione deve essere posta sulla valutazione preoperatoria per intuire nella maniera corretta il funzionamento del muscolo dopo la trasposizione, valutando anche la possibilità di attivazione selettiva dei singoli muscoli da parte del paziente.
Quando sono presenti deformità ossee e/o articolari che si sono instaurate a seguito di una prolungata spasticità, possono essere corrette chirurgicamente, ma rendono l'intervento molto più complesso e necessitano di una lunga riabilitazione post-operatoria.
Inoltre, per ridurre la spasticità andando ad interrompere il circuito nervoso vizioso che la causa, si possono praticare anche delle neurotomie e delle rizotomie, ovvero delle interruzioni chirurgiche sulla via motoria che dal sistema nervoso centrale porta il segnale al muscolo per contrarsi. Tali interruzioni si possono praticare a livello periferico sul nervo motore di uno specifico muscolo (neurotomie) o sulla radice dorsale del midollo a livello del loro ingresso nel midollo spinale (rizotomie), allorquando si voglia tentare di ridurre la spasticità di un'intera regione anatomica relativa a quella radice dorsale.
Andando a ridurre il segnale di attivazione del muscolo, le neurotomie e le rizotomie non riescono a ripristinare il corretto funzionamento articolare nei pazienti con deformità strutturate, pertanto devono necessariamente essere associate ad allungamenti o transfer miotendinei che agiscono sul tessuto retratto.
Questa riduzione dell'ipertono di un distretto muscolare può essere ottenuta anche con un trattamento farmacologico intramuscolo come con la tossina botulinica, ma con un effetto transitorio legato alla durata d'azione del farmaco. In tal senso la tossina botulinica può essere considerata un trattamento complementare e non alternativo alla chirurgia funzionale, andando ad agire sull'attività del muscolo e non sulla sua struttura.
Le neurotomie e le rizotomie sono, invece, pressoché irreversibili nella loro azione miorilassante, anche se va considerata la capacità dei nervi sezionati di ramificare e di ripristinare parzialmente i collegamenti in un medio-lungo periodo (sprouting neuronale).
Un intervento chirurgico, a maggior ragione data la sua natura irreversibile, per avere un ottimo effetto terapeutico deve essere pianificato con attenzione. L'analisi clinica da parte di uno specialista è sicuramente utile per differenziare le deformità che sono utili alla funzione da quelle che non lo sono. Bisogna sempre valutare non solo i muscoli oggetto di spasticità, ma anche i gruppi muscolari antagonisti, ovvero quelli con la funzione opposta, per capire cosa aspettarsi dopo un intervento: ad esempio allungare i muscoli flessori del gomito quando c'è spasticità anche nei muscoli estensori espone al rischio di trovarsi con un arto superiore costantemente esteso e quindi anche meno gestibile nella vita quotidiana.
Per fare una analisi esatta delle forze in gioco e per un planning chirurgico preciso, è sempre utile studiare il paziente con un esame cinematico, sia per i movimenti degli arti superiori che per il cammino, accompagnato da una analisi elettromiografica per identificare i gruppi muscolari coinvolti nella genesi della deformità.
Sicuramente, nel determinare se una limitazione della mobilizzazione passiva di un segmento degli arti inferiori dipenda dall'ipertono o da una retrazione strutturata (o da entrambi), è di fondamentale aiuto lo studio tridimensionale ed elettromiografico del cammino.
Una volta raccolte tutte le informazioni utili, diventa fondamentale formulare gli obiettivi del trattamento, ovvero cosa ci si aspetta che possa succedere da un punto di vista funzionale dopo l'intervento. Questi obiettivi devono essere sempre condivisi con il paziente e con i caregivers. Ad esempio un gomito flesso può essere utile per trasportare borse o oggetti e liberare la mano più funzionale; dopo una correzione chirurgica questo potrebbe non essere più possibile ed il paziente deve essere messo a conoscenza di tutto ciò.
Cosa succede dopo l'intervento chirurgico?
Dopo l'intervento è necessario un periodo di riabilitazione, in cui il paziente deve imparare ad usare il suo nuovo strumento. La rapidità con cui può iniziare a lavorare attivamente al processo riabilitativo è dipendente dall'intervento subito: interventi più cruenti, come ad esempio le osteotomie correttive e le trasposizioni tendinee, richiedono un periodo di immobilizzazione in gesso per garantire maggiore stabilità al tessuto osseo sezionato; interventi di allungamento miotendineo prevedono una ripresa del lavoro attivo molto più pronta, in molti casi anche dal giorno successivo all'intervento.
In alcuni casi, per migliorare la correzione di una deformità, può essere necessario usare tutori di posizionamento o dinamici per evitare che si vada incontro ad ipercorrezioni o a riduzione della funzione attiva di un distretto corporeo.
Interventi in cui si usa un muscolo sano per vicariare la funzione di un muscolo non funzionale (ad esempio, è possibile spostare il tendine di un muscolo flessore in un punto in cui eserciti una funzione di estensore, e viceversa) necessitano di un periodo di apprendimento più lungo per arrivare ad avere un buon controllo neuromotorio, a maggior ragione perché effettuati in pazienti con un controllo deficitario in esiti di un danno al sistema nervoso centrale.
Negli ultimi mesi è in fase di sperimentazione una tecnica mini-invasiva per effettuare neurotomie ed allungamenti miotendinei a cielo chiuso, riducendo parzialmente i rischi operatori legati ad anestesia generale e sanguinamenti dalla ferita chirurgica. Tale tecnica prevede l'utilizzo di una fibra laser, che arriva all'obiettivo chirurgico tramite un ago, seguita con guida ecografica, e che viene attivata una volta in contatto con il tessuto da incidere. Tale tecnica, il cui utilizzo è ancora sperimentale, permette di intervenire su pazienti complessi da un punto di vista internistico, che altrimenti non avrebbero la possibilità di sottoporsi ad un intervento chirurgico cruento con anestesia spinale o generale, e permette il raggiungimento di un ottimo risultato funzionale senza necessità di incisione della cute. Ovviamente tale tecnica non è utilizzabile per andare a ribilanciare situazioni più complesse che necessitano di osteotomie correttive o trasposizioni tendinee.
In definitiva, la chirurgia funzionale rappresenta una valida opportunità per i pazienti con retrazioni miotendinee da spasticità prolungata, riduce l'ipertono dei muscoli riducendone il riflesso da stiramento e, se pianificata con attenzione, può portare a dei risultati posturali e funzionali che il paziente può riscontrare nella sua quotidianità.
Diversamente da quanto si creda, la chirurgia funzionale non deve essere vista come una “ultima spiaggia” dal punto di vista terapeutico, ma piuttosto come un'arma a disposizione dell'equipe riabilitativa da usare al momento giusto e nei punti giusti per migliorare la funzione neuromotoria dei pazienti con spasticità, a maggior ragione se si considera la possibilità di praticare neurotomie ed allungamenti muscolari e tendinei selettivi con una tecnica mini-invasiva come il laser.
Consulta l'elenco dei centri di riferimento di diagnosi e trattamento della distonia sul sito di A.R.D. - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia.
Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Disturbi del Movimento