La spasticità dell'arto superiore dopo un ictus - nuove frontiere della terapia robotica
La riabilitazione, nel paziente emiplegico, è finalizzata ad ottenere il recupero della menomazione e all'ottimizzazione delle abilità residue migliorando la qualità di vita attraverso il recupero fisico, cognitivo, psicologico, funzionale e delle relazioni sociali nell'ambito dei bisogni dell'individuo e della sua famiglia. L'introduzione di supporti robotici come strategia riabilitativa per l'apprendimento, è attualmente giustificata dalla potenzialità intrinseca di fornire attraverso questi dispositivi un approccio terapeutico strutturato, ripetitivo ed intensivo, capace di promuovere la riorganizzazione corticale in seguito ad un evento ictale.
L'arto superiore è il nostro principale mezzo di interazione con il mondo esterno. Avere un buon controllo neuromotorio sull'attivazione dei muscoli della spalla e del gomito è fondamentale per direzionare l'arto superiore nello spazio e raggiungere un oggetto che ci interessa, così come i muscoli flessori ed estensori di polso e dita, insieme ai pronatori e supinatori dell'avambraccio, sono cruciali per afferrare oggetti, per manipolarli e per tutti i movimenti fini e le prese di precisione con le dita che ci aiutano nella nostra vita quotidiana, fino ad arrivare ai gesti di massima complessità come suonare uno strumento musicale.
In seguito ad un ictus questo meraviglioso equilibrio tra stimoli eccitatori ed inibitori che coinvolge numerose vie neuromotorie può venire meno, con conseguenze più o meno gravi correlabili all'entità del danno centrale e che finiscono per ridurre l'autonomia e la qualità della vita del paziente.
Nella fase acuta post-ictus circa l'85% dei sopravvissuti presenta emiparesi con deficit all'arto superiore e tra il 55% e il 75% di essi continua ad avere, a distanza di un anno, un grado variabile di menomazione senza recuperare un utilizzo soddisfacente dell'arto superiore nelle attività di vita quotidiana (Activity of Daily Life - ADL). In particolare, un limitato recupero della funzionalità dell'arto superiore rappresenta una causa importante di disabilità e di ridotta qualità di vita.
Inoltre è stato visto che a tre mesi da un evento ictale un numero di soggetti compreso tra il 20% ed il 25% presenti disabilità con un rilevante impatto individuale, familiare e sociosanitario e, in particolare nei pazienti con complicanze emorragiche, circa un terzo dei sopravvissuti perda la propria indipendenza.
Le conseguenze dell'ictus e la sua gravità clinica possono variare in rapporto alla natura dell'evento ischemico o emorragico, al territorio vascolare coinvolto e all'estensione del danno. Tutto ciò si riflette con effetti diversi in base alla severità e reversibilità delle menomazioni prodotte, le quali possono influenzare in maniera molto pesante la qualità di vita del paziente.
Molto spesso alle problematiche neuromotorie quali spasticità, debolezza, perdita della selettività di attivazione muscolare che porta a perdita della capacità di movimenti fini e manipolazioni, si aggiungono problematiche neuropsicologiche e cognitive, variabili a seconda di quale sia l'emilato colpito, che possono inficiare le capacità di esplorazione dello spazio peripersonale ed extrapersonale del paziente.
In assenza di un trattamento riabilitativo mirato le menomazioni tendono a persistere, se non a peggiorare nel tempo. Per questi motivi la riabilitazione delle menomazioni dell'arto superiore rappresenta un'importante sfida per la medicina fisica e riabilitativa.
Proprio a fronte dei precedenti dati e alle conseguenze di forte impatto sulla qualità di vita del paziente e di coloro che se ne fanno carico (caregivers), risulta fondamentale l'impiego di risorse riabilitative finalizzate al miglioramento di tale condizione tramite trattamenti indirizzati verso il miglioramento del controllo motorio e la riduzione della spasticità.
La riabilitazione, in tal caso, deve essere considerata come un vero e proprio processo educativo di soluzione dei problemi, finalizzato al miglioramento dell'attività e della partecipazione del soggetto che presenti un'alterazione del funzionamento del controllo neuromotorio e disabilità, minimizzando i deficit funzionali e tenendo conto di quelli che sono i fattori ambientali, personali e le limitazioni esistenti.
Il recupero funzionale dopo uno stroke è sostenuto da meccanismi molto complessi e non del tutto ancora chiariti, ma gli studi più recenti indicano che gli interventi riabilitativi possono influire profondamente sui processi di riorganizzazione cerebrale, andando a rinforzare le reti neurali tramite un complesso meccanismo di feedback in cui si “ipertrofizzano” le reti neurali stimolate dalla periferia, come ad esempio accade ai musicisti tra i quali è di comune riscontro un ingrandimento delle aree cerebrali deputate al controllo neuromotorio delle dita.
La riabilitazione, nel paziente emiplegico, è finalizzata ad ottenere il recupero della menomazione e all'ottimizzazione delle abilità residue migliorando la qualità di vita attraverso il recupero fisico, cognitivo, psicologico, funzionale e delle relazioni sociali nell'ambito dei bisogni dell'individuo e della sua famiglia.
Negli anni, sono state numerosissime le metodiche riabilitative utilizzate nel paziente con esiti di stroke: il metodo Bobath, che sfrutta un approccio globale basato sul modello del “problem solving” e rivolto al trattamento di soggetti con disturbi della funzione, del movimento e del controllo posturale attraverso tecniche inibenti i riflessi motori patologici; la metodica Kabat e la sua attuale evoluzione in FNP (Facilitazione Neuromuscolare Propriocettiva), basata su facilitazioni neuromuscolari e propriocettive; il metodo Perfetti che considera la funzione motoria non isolatamente, ma nella sua totale integrazione con le funzioni cognitive e percettive.
Per andare oltre queste metodiche che, in maniera un po' rigida, hanno peccato di reale interazione con quelli che sono gli obiettivi che i pazienti devono perseguire per avere delle semplificazioni nella vita quotidiana, negli ultimi anni sono stati proposti nuovi approcci come i trattamenti “task oriented” basati sull'esecuzione di uno specifico compito e fondati sull'ipotesi che i sistemi senso-motori cooperino per raggiungere uno specifico compito; il biofeedback, che utilizza strumentazione elettronica per trasdurre eventi fisiologici interni sotto forma di segnali sensibili visibili o acustici in modo da addestrare il soggetto a controllare tali eventi; i dispositivi con sgravio del carico e la Costraint-induced movement teraphy (CIMT) che costringe, immobilizzando l'arto sano, all'utilizzo dell'arto paretico oggetto di un'intensa attività riabilitativa mirata in grado di indurre una riorganizzazione corticale evidenziabile anche con metodiche di neuroimaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI).
Tutte queste metodiche, per essere realmente efficaci, devono essere portate nella vita reale del paziente, in un'ottica di integrazione globale con la terapia occupazionale, in modo da portare il paziente a gestire globalmente le competenze riacquisite e la disabilità residua per arrivare ad avere una vita attiva ed autonoma.
In questo dedalo di proposte terapeutiche riabilitative, ha fatto il suo ingresso in maniera prorompente negli ultimi anni la terapia robotica, che sfrutta la possibilità di un approccio riabilitativo basato sull'interazione fra uomo e macchina, con la possibilità di estrapolazione di dati precisi utili sia alla valutazione dei compiti eseguiti sia alla comprensione dei processi di recupero con il fine ultimo di guidare la plasticità neuronale in senso adattativo e non maladattativo, che può portare allo sviluppo di spasticità e disturbi del movimento.
Identificare in quest'ampio panorama il trattamento riabilitativo migliore è spesso difficile, suggerendo piuttosto un approccio integrato e con l'importante evidenza emergente quale la necessità di iniziare il trattamento riabilitativo già in fase acuta, al fine di influenzare il potenziale di neuroplasticità presente nel sistema nervoso centrale.
L'introduzione di supporti robotici come strategia riabilitativa per l'apprendimento, è attualmente giustificata dalla potenzialità intrinseca di fornire attraverso questi dispositivi un approccio terapeutico strutturato, ripetitivo ed intensivo, capace di promuovere la riorganizzazione corticale in seguito ad un evento ictale.
L'impiego di tecnologia e robot nel contesto di programmi di riabilitazione neurologica infatti, si fonda su una serie di aspetti emersi dalla letteratura: gli effetti positivi e significativi sul recupero motorio e funzionale a seguito di esercizio ripetitivo, facilitato da supporti esterni e svolto con elevata intensità; la ripetizione di esercizi task-oriented che hanno dimostrato efficacia sul recupero funzionale e la miglior efficacia degli esercizi svolti con le suddette modalità se iniziata in particolare il più precocemente possibile dall'evento acuto.
Per ottenere una riorganizzazione funzionale della corteccia motoria è stato visto come l'esercizio terapeutico sia uno dei fattori più rilevanti in grado di indurre l'acquisizione di nuovi compiti motori. Il fenomeno dell'apprendimento motorio (motor learning) è un processo associato alla pratica o all'esperienza che porta a modificazioni permanenti nelle abilità di produrre movimenti finalizzati.
Le variabili che incidono in maniera rilevante sulla capacità di apprendimento sono infatti l'intensa ripetitività, la rilevanza funzionale del gesto e l'utilizzo di feedback durante l'esercizio. Durante l'esecuzione di un compito motorio infatti, i processi di apprendimento vengono consolidati utilizzando diverse tipologie di feedback (visivo, uditivo, tattile) che i sistemi robotici sono in grado di fornire.
Ulteriore caratteristica dell'apparecchiatura robotica è la possibilità di monitorare e registrare in modo quantitativo e qualitativo, attraverso dati biomeccanici quali la velocità, le forza etc., le performance del paziente nell' esecuzione di uno specifico task motorio (Prange et al. 2006).
Questo aspetto presenta due importanti implicazioni: adattare il trattamento riabilitativo alle caratteristiche di ogni paziente monitorandone i progressi; secondariamente favorire l'implementazione di un database che fornisca evidenze utili per lo studio dei meccanismi di recupero motorio e della riorganizzazione corticale nei pazienti affetti da stroke nelle diverse fasi del trattamento riabilitativo, testandone l'efficacia dello stesso.
L'utilizzo di dispositivi robotici si è infatti rivelato utile non solo a scopo terapeutico, ma anche in ambito di ricerca. Rispetto alle tecniche di riabilitazione convenzionali, dove è difficile quantificare la dose, l'intensità e l'esecuzione dell'esercizio somministrato, la terapia robotica si propone come un valido strumento in grado di studiare i processi del recupero motorio. L'analisi dei meccanismi di recupero nei pazienti con esiti di stroke, assume perciò grande importanza nel campo della riabilitazione anche ai fini di supporto alle decisioni cliniche, sebbene i meccanismi sui processi di recupero motorio nei pazienti post-stroke non siano ancora del tutto stati chiariti.
In generale la riabilitazione robotizzata presenta alcune caratteristiche distintive rispetto alla riabilitazione tradizionale, che si identificano nell'interazione paziente-macchina con un'elevata adattabilità al paziente e garanzia di sicurezza per il paziente stesso, nella possibilità di consentire al soggetto sia movimenti attivi residui (attività attiva-assistita) che completamente assistiti, con elevata integrazione senso-motoria; nella possibilità di integrare con maggiori tempi di trattamento e qualitativamente, attraverso la precisa esecuzione del movimento, il lavoro del fisioterapista senza sostituirsi ad esso; infine, come già accennato, nella possibilità di “misurare” i livelli iniziali delle prestazioni e monitorare i progressi motori ottenuti in termini di recupero motorio e funzionale.
Attualmente i sistemi robotici per gli arti superiori possono essere raggruppati in due principali tipologie: i sistemi ad effettore finale (end-effector) e gli esoscheletri.
I primi consistono in dispositivi in cui l'interazione fra la struttura meccanica ed il paziente è limitata all'effettore finale con cui il soggetto entra in contatto e che può essere rappresentato da un'interfaccia meccanica quale una manopola o un pedale. Il vantaggio di tali sistemi consiste in una discreta capacità di adattabilità al paziente.
I secondi si basano su sistemi meccatronici indossabili nei quali l'interfaccia uomo-macchina è estesa a tutto l'arto o ad una sola parte. In questo modo il sistema esegue lo stesso tipo di movimento effettuato dal paziente ed il numero di gradi di libertà della macchina risulta essere uguale a quello delle articolazioni su cui il sistema viene applicato. Questo secondo tipo di sistemi robotici, a differenza degli end-effector, presenta una maggiore impedenza e minore adattabilità al paziente.
In ambito clinico, l'utilizzo di dispositivi ad alta tecnologia per l'arto superiore ha assunto un ruolo importante nella riabilitazione neuromotoria dell'ultimo decennio, proponendosi come valido complemento alla riabilitazione tradizionale. Aumentando gli input somato-sensoriali all'emisoma paretico attraverso un trattamento basato sulla ripetizione intensiva di gesti motori, la terapia robotica si basa infatti su istruzioni esplicite che portano il paziente alla presa di coscienza del compito motorio che deve eseguire. Il trattamento prevede diverse modalità di esercizio, inducendo movimenti passivi, attivi o attivi-assistiti da applicare nelle diverse fasi della riabilitazione secondo le abilità motorie del paziente.
Le tipologie di dispositivi già disponibili in commercio sono molteplici: si va da dispositivi passivi, attivi-assistiti, resistivi e bimanuali. La maggior parte dei sistemi robotici di nuova generazione è rappresentata da sistemi attivi-assistiti, in cui il paziente viene aiutato a compiere movimenti che normalmente non sarebbe in grado di portare a termine autonomamente a causa della spasticità e della debolezza residua dopo l'ictus. Tali sistemi permettono una riorganizzazione del movimento globale garantendo input centripeti in grado di guidare lo sviluppo di modifiche plastiche nelle aree cerebrali lesionate.
Molti dispositivi robotici permettono l'integrazione con la realtà virtuale, immersiva o non immersiva, e di aggiungere ulteriore coinvolgimento emotivo nell'interazione con il paziente. Alcuni recenti studi dimostrano che riuscire a coinvolgere emotivamente il paziente nel trattamento riabilitativo vuol dire aumentarne la capacità di attenzione, il che si riflette inevitabilmente sul miglioramento degli outcome riabilitativi, ed aggiunge una dimensione “giocosa” interattiva che porta il paziente a migliorare le performance motorie.
In definitiva, considerando l'enorme rappresentazione corticale dell'arto superiore in generale e della mano in particolare e di tutte le aree associative, considerando la grandissima variabilità nelle manifestazioni cliniche, a sua volta legata all'altrettanto grande variabilità delle aree cerebrali colpite dall'insulto vascolare, la robotica per l'arto superiore può rappresentare davvero una nuova frontiera per la riabilitazione dei pazienti con un danno al sistema nervoso centrale, andando ad offrire al paziente un trattamento che sia preciso ed intensivo, finalizzato alla riacquisizione di gestualità complesse, personalizzato ed efficace sulle reali disabilità che un individuo, dopo un ictus, si trova ad affrontare durante le sue attività quotidiane.
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Consulta l'elenco dei centri di riferimento di diagnosi e trattamento della distonia sul sito di A.R.D. - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia.
Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Disturbi del Movimento