La spasticità nel bambino: l’importanza della terapia abilitativa e riabilitativa nella paralisi cerebrale infantile
Se osservate lo sviluppo motorio dei primi mesi di vita del vostro bambino, noterete che i suoi movimenti sono incoordinati, le sue manine si aprono con difficoltà, l'avvicinamento all'oggetto o al volto che ne cattura l'attenzione avviene con movimenti balistici di scarsa precisione e deve compiere uno sforzo notevole per affrontare con la superficie palmare l'esplorazione dell'oggetto.
In questa fase dello sviluppo neuromotorio del bambino, l'apprendimento di schemi motori più evoluti è influenzato dalla presenza di un aumentato tono dei muscoli, in particolare i muscoli deputati alla flessione dei gomiti, polsi e dita (tono flessorio) e da un insieme di riflessi che prevalgono in maniera netta sul tentativo del bambino di effettuare movimenti di precisione con gli arti superiori ed inferiori.
Questi riflessi, fisiologici nei primi mesi di vita, scompaiono lungo le diverse tappe della crescita del bambino man mano che il bambino acquisisce nuove competenze di controllo motorio.
Potremmo paragonare l'ipertono dei muscoli flessori e l'attivazione massiva di interi gruppi muscolari al tentativo di compiere un movimento volontario ad una sorta di “spasticità fisiologica” dei primi mesi di vita, che limita la precisione del movimento. Inoltre, la prepotenza di una startle (riflesso di trasalimento) può interrompere il difficile apprendimento dell'utilizzo della “macchina corpo” da parte del bambino quasi come una discinesia patologica.
Siamo tutti "un po' spastici" quando apprendiamo un nuovo gesto complesso, se per spasticità vogliamo intendere soltanto l'utilizzo di un numero eccessivo di unità motorie rispetto al compito da portare a termine (la spasticità non è solo questo).
Tutti ricordiamo lo sforzo di concentrazione e la fatica fisica, muscolare, della prima lezione di guida o nei primi passi dell'apprendimento di uno strumento musicale.
La curiosità del bambino nei primi mesi di vita, il miglioramento dei sistemi percettivi, la ripetizione del gesto coronata da sempre maggiore successo, la progressione delle capacità posturali ne rendono i movimenti sempre più fluidi, fino al comparire di una pinza pollice indice sempre più precisa, o un approccio all'oggetto veloce ed efficace.
Tutto questo, anche per capire la profonda differenza che c'è tra una sindrome spastica dell'adulto e una sindrome lesionale infantile: il bambino con paralisi cerebrale infantile (PCI) deve costruire da zero le sue competenze motorie con un computer già danneggiato, deve crescere con la paralisi; l'adulto, nel momento in cui subisce un danno al sistema nervoso centrale, ha un'enorme base di programmi già appresi che vengono danneggiati dalla lesione e deve attingere da "ciò che è rimasto" per ricostruire.
Anche il bambino deve attingere da ciò che è rimasto, ma quello che residua sono circuiti neuronali disponibili all'apprendimento e non programmi già installati nell'hardware.
In ogni caso l'apprendimento motorio e, in particolare, la maggiore competenza percettivo-motoria che si può acquisire con la ripetizione di gesti significativi per il suo sviluppo riducono lo spasmo: proprio come col passare del tempo ognuno di noi (non proprio tutti) riesce a guidare e contemporaneamente a parlare col compagno di viaggio o a pensare a quello che deve fare, così il bambino che ha riportato una lesione cerebrale in fase prenatale o perinatale riesce più o meno faticosamente a conquistare le competenze per affrontare i compiti sempre più difficili che l'ambiente gli sottoporrà.
La terapia abilitativa, con tutte le possibili facilitazioni all'apprendimento, è sicuramente un pilastro del progetto terapeutico del bambino con lesione cerebrale.
In sostanza, i genitori di un bambino con paralisi cerebrale infantile, insieme ai fisioterapisti di riferimento ed alle figure familiari e professionali che si occupano del piccolo paziente, devono avere il compito di facilitatori per metterlo nelle migliori condizioni possibili per sperimentare ed acquisire nuove capacità fondamentali per il suo adattamento, come la manipolazione di oggetti, la possibilità di spostarsi autonomamente con una deambulazione efficace e la possibilità di interagire con il mondo esterno implementando capacità comunicative funzionali all'interazione con altri individui.
In questo complesso e faticoso progetto abilitativo, in cui le componenti maggiori della sindrome spastica infantile sono rappresentate dall'incapacità di acquisire programmi perfezionati di movimento finalizzato e dai disturbi percettivi, intesi sia come capacità di analisi tridimensionale dell'ambiente circostante sia come disturbi sensoriali principali (basta pensare a quanto può interferire uno strabismo sulla profondità spaziale del gesto di un bambino), la lotta alla spasticità ha un suo ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici. 1
Ragioniamo per esempi: non sempre la lesione cerebrale perinatale ha conseguenze immediatamente rilevabili dal pediatra. Il piccolo può presentare un leggero ritardo nel controllo del capo e del tronco, un'asimmetria lieve nell'utilizzo degli arti superiori, e anche l'acquisizione della stazione eretta può avvenire con ritardo e con alcune alterazioni funzionali e posturali, ad esempio un'alterazione del posizionamento del piede con atteggiamento della punta rivolta verso il basso, cosiddetta alterazione in equino, mono o bilaterale. 2
In sostanza, il piccolo inizia a deambulare in punta di piedi perché obbligato da uno spasmo fisso dei muscoli plantiflessori che cede con difficoltà anche dopo ripetute manovre di stretching e mobilizzazione passiva.
Va ricordato che la deambulazione sulle punte è abbastanza frequente anche nelle prime tappe dello sviluppo di un cammino fisiologico, come scelta strategica di semplificazione da parte del bambino nell'apprendimento di un'attività complessa (camminare non è facile come sembra!), ma l'equino patologico si distingue da questo perché è una scelta obbligata: Il bambino con paralisi cerebrale non può fare altrimenti.
Perché è importante intervenire e trattare questo spasmo?
Innanzitutto la deambulazione sulle punte è faticosa e difficile, la base di appoggio si riduce e il controllo del baricentro del corpo, che è più alto, diventa più difficoltoso (ne sanno qualcosa le donne!).
Sappiamo inoltre che lo spasmo, protratto nel tempo, diventa dapprima contrattura e poi retrazione, con alterazioni irreversibili del tessuto muscolare, una vera e propria metaplasia connettivale e le conseguenze di tale deformità le pagano anche le articolazioni e i muscoli sovrastanti la stazione articolare interessata; quindi, nel caso dell'equino, anche l'anca e il ginocchio omolaterali, mentre la retrazione muscolare si trasferisce ai flessori di anca e ginocchio.
Il trattamento di un piede equino spastico, se eseguito precocemente, è spesso coronato da un successo veramente soddisfacente: soddisfacente per il bambino che ritrova stabilità, sicurezza e resistenza alla performance deambulatoria, ma anche per i genitori, perché migliora l'estetica del gesto, il piede ritrova appoggio plantare e rotolamento in appoggio, e anche l'arto superiore, con la riduzione dello sforzo e il miglioramento dell'equilibrio, partecipa con ritrovata estetica e sinergia allo svolgimento della funzione cammino.
Nello strumentario terapeutico per il trattamento di questa alterazione del cammino troviamo i trattamenti fisioterapici con stretching muscolare, mobilizzazioni attive e passive e training propriocettivi della deambulazione e dell'equilibrio, la terapia fisica, i tutori AFO di materiale più o meno elastico con angolo dell'articolazione tibio-tarsica più o meno aperto, il casting progressivo con gessetti gamba-piede da mantenere per brevi periodi.
Attualmente la terapia con tossina botulinica sotto guida ecografica rappresenta l'approccio principe della sindrome, con scelta della dose e dei muscoli da trattare in base al particolare quadro clinico 3. Il trattamento della spasticità dei muscoli plantiflessori con tossina botulinica ha un'efficacia ancora maggiore se affiancato e non alternativo ai trattamenti descritti in precedenza.
Chi si occupa di seguire questi piccoli pazienti nella sua pratica clinica quotidiana sa che l'anca è spesso l'articolazione chiave da tenere in considerazione per la buona riuscita del trattamento riabilitativo: un'asimmetria posturale persistente dovuta all'asimmetria della lesione cerebrale, che nella tetraparesi è praticamente costante, può sfociare a lungo andare in una deformità a colpo di vento degli arti inferiori, con successiva dislocazione in lussazione dell'anca addotta, con chiara responsabilità della spasticità asimmetrica della muscolatura adduttoria dei femori.
Lussazione dell'anca con deformità degli arti inferiori a colpo di vento.
In queste sindromi il controllo di un'iniziale deformità dell'anca deve essere costante, ed anche in questo caso l'intervento deve essere precoce e tempestivo; infatti, come nel caso dell'equino , le conseguenze di tale deformità si riverberano a monte, sulla colonna vertebrale, con comparsa di scoliosi rotazionali gravissime e problematiche secondarie che vanno dall'impossibilità di utilizzo di ausili posturali semplici per una stazione seduta funzionale fino alla insufficienza respiratoria restrittiva per deformità grave della gabbia toracica.
Quale terapia?
Anche in questo caso il trattamento deve essere precoce, con accorgimenti di igiene posturale; i genitori devono essere informati che il decubito laterale va alternato in maniera regolare durante il giorno e la notte, mentre il decubito supino con arti inferiori flessi al ginocchio e all'anca e con caduta laterale “a colpo di vento” va accuratamente evitato; vanno utilizzati a tale scopo in maniera costante gli ausili per la postura e i tutori statici di posizionamento, la fisioterapia deve essere coerente con tale progetto terapeutico (il fisioterapista deve essere consapevole, ad esempio, che lo stretching dei muscoli ischio-crurali flessori di ginocchio, in caso di iniziale sublussazione della coxofemorale, spesso aggrava la prognosi di lussazione).
Anche in questo caso rimane prevalente la terapia farmacologica precoce, con la possibile aggiunta di una terapia antispastica sistemica (ad esempio Baclofen per os o intratecale) alla terapia antispastica locale e regionale.
La spasticità di un muscolo, come detto precedentemente, può trasformare a lungo termine la composizione cellulare del muscolo stesso, facendo da promotore di quelle modifiche reologiche del tessuto che rendono il muscolo anelastico e bloccato in accorciamento.
In tale condizione, l'unica terapia utile nel recupero delle lunghezze articolari perse in seguito ad una retrazione muscolare è la chirurgia funzionale neuro-ortopedica. In pazienti con retrazioni mio-tendinee l'intervento chirurgico è frequentemente risolutivo per il recupero della mobilità articolare, pur avendo carattere di irreversibilità e gravato dai rischi comuni a tutti gli interventi chirurgici (sanguinamento e rischio infettivo della ferita chirurgica, anestesia generale, etc).
Nei casi più gravi di cerebrolesione infantile, con quadro clinico di tetraparesi spastico-distonica, con disturbi percettivi e cognitivi talmente gravi da impedire una anche minima vita di relazione sociale, la spasticità può rappresentare un ostacolo al raggiungimento di una postura comoda in carrozzina o nel letto, e può impedire ai genitori e ai caregivers l'effettuazione di manovre di igiene e cura del paziente.
In tal caso il trattamento della spasticità può semplificare la mobilizzazione ed i trasferimenti del piccolo paziente e può rendere più semplice la gestione dell'igiene personale e la vestizione rendendo più facilmente mobilizzabili alcuni distretti corporei (ad esempio, si può avere una grossa semplificazione nell'infilare indumenti e nell'igiene di mani ed ascelle dopo il trattamento di muscoli flessori delle dita ed adduttori di spalla).
Sicuramente il compito più difficile nella valutazione funzionale di un bambino con sindrome spastica è la valutazione dei margini di manovra: quanta disponibilità al cambiamento c'è? Bisogna valutare attentamente se la strategia motoria messa in atto spontaneamente dal bambino è l'unica, e quindi la migliore, o se esistono margini di manovra per innalzare il livello di complessità delle sue performance senza complicargli la vita.
In alcuni casi la spasticità di alcuni distretti muscolari, soprattutto degli arti inferiori, può rappresentare un “pilastro” su cui il bambino costruisce ed incastra altri schemi motori più complessi, può avere facilitazioni nel mantenimento della stazione eretta e nell'equilibrio durante i suoi tentativi di sviluppare un cammino efficace. In casi come questi, trattare la spasticità senza aver fatto una attenta valutazione funzionale globale può essere non solo poco utile, ma addirittura dannoso per l'autonomia e per la vita quotidiana del paziente.
La spasticità, in conclusione, può essere a volte “utile” e può rappresentare l'unica strategia operativa di una cerebrolesione, per cui combatterla potrebbe non essere una buona idea.
Nei casi in cui rappresenta esclusivamente un disturbo che può complicare ulteriormente la vita quotidiana di pazienti con disturbi cognitivi, percettivi e motori, va trattata precocemente per semplificare quanto più possibile lo sviluppo di strategie varie e funzionali per le attività della vita quotidiana e per evitare modifiche strutturali del muscolo che, a lungo termine, potrebbero rendere necessario un intervento chirurgico.
BIBLIOGRAFIA
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Eur J Phys Rehabil Med. 2011 Jun;47(2):213-21. - Sees JP, Miller F. Overview of foot deformity management in children with cerebral palsy. J Child Orthop. 2013 Nov;7(5):373-7.
Consulta l'elenco dei centri di riferimento di diagnosi e trattamento della distonia sul sito di A.R.D. - Associazione Italiana per la Ricerca sulla Distonia.
Questo articolo fa parte dello Speciale Salute Disturbi del Movimento