Toxoplasmosi: cos'è e perché può essere pericolosa in gravidanza
La toxoplasmosi è un'infezione causata da un parassita presente nelle cellule animali, fra cui i gatti, e se contratta in gravidanza può provocare complicanze sul feto. Quali sono i sintomi, come fare la diagnosi e quali sono le precauzioni da seguire per la donna incinta.
La gravidanza è un momento importante nella vita di una donna. La felicità per l'arrivo di un figlio dovrebbe essere il sentimento dominante in questi nove mesi di attesa. Tuttavia la madre, specie se ha superato i 35 anni, si trova a far fronte a una serie di controlli, analisi e monitoraggi da sopportare che potrebbero turbare la gioia di questo periodo. Tra le minacce a cui fare attenzione in gravidanza c'è la toxoplasmosi.
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Cos'è la toxoplasmosi
L'Istituto Superiore della Sanità definisce la toxoplasmosi come una "zoonosi causata dal Toxoplasma gondii". Si tratta di un microrganismo che realizza il suo ciclo vitale, molto complesso e mutevole a seconda del corpo ospite, solo all'interno delle cellule.
Il parassita può essere presente in molti animali, tra cui rettili, uccelli, molluschi e mammiferi. Inoltre, può essere trasmesso da un'animale all'altro attraverso della carne infetta ingerita.
Inoltre il parassita si trova anche nelle feci del gatto, nel terreno dove quest'ultimo o un altro animale infetto può aver defecato.
Toxoplasmosi: i sintomi
I sintomi della toxoplasmosi assomigliano a quelli di una leggera influenza. L'infezione da Toxoplasma gondii ha due fasi. Nella toxoplasmosi primaria il parassita è presente nel sangue e nei linfonodi, ed è in fase attiva. Possono dunque verificarsi i seguenti sintomi: mal di gola, ingrossamento delle linfoghiandole, stanchezza, mal di testa, febbre, ingrossamento di fegato e milza, sensazione di "ossa rotte".
Ci sono casi in cui i sintomi possono interessare anche gli occhi e l'encefalo. Queste due ultime condizioni si verificano in soggetti affetti da AIDS conclamato o persone che abbiano subito un trapianto.
Una volta contratta la toxoplasmosi l'organismo è immunizzato per tutta la vita, dato che si innesca la produzione di linfociti e anticorpi specifici: questa è la seconda fase della toxoplasmosi, detta anche toxoplasmosi postprimaria.
In questa fase non ci sono sintomi che segnalano la fase acuta, ma il parassita continua a persistere nelle cellule di cervello e muscoli. In questa fase successiva è molto importante tenere alte le difese immunitarie, perché in caso contrario il microrganismo può tornare aggressivo, riprodursi e innescare nuovi sintomi.
Si calcola che l'infezione congenita da toxoplasmosi rappresenti circa il 33% di tutte le infezioni trasmesse da madre a figlio. Tra il 50% e il 60% delle donne in età fertile potrebbero contrarre l'infezione da toxoplasmosi primaria.
Toxoplasmosi: le conseguenze in gravidanza
Contrarre la toxoplasmosi in gravidanza può comportare altissimi rischi per il bambino. L'infezione può passare dalla madre al feto attraverso la placenta.
Le conseguenze possono essere comprendere idrocefalia, corioretinite e calcificazioni intracraniche: tali sintomi si manifestano al massimo nel 30% dei casi. In circa il 70% dei neonati il contagio da toxoplasmosi resta asintomatico alla nascita, per poi manifestarsi negli anni seguenti.
Tra le altre conseguenze possibili legate all'infezione da toxoplasmosi ci sono: crescita ritardata in utero e prematurità. A caratterizzare maggiormente il sintomo dell'infezione sono i segni neurologici come le convulsioni, il nistagmo e la microcefalia.
Inoltre l'infezione può innescare l'aborto spontaneo o la morte in utero del nuovo organismo.
Toxoplasmosi: la diagnosi
Essere a conoscenza della positività alla toxoplasmosi è essenziale. Per questo tra i primi esami a cui una donna incinta viene sottoposta c'è il toxotest, che rileva tramite un semplice esame del sangue la presenza del virus nell'organismo e dei suoi anticorpi.
La gravità delle conseguenze sul feto è legata al momento in cui è stato contratto il virus. Per questo è opportuno valutare con almeno due esami sierologici, eseguiti a distanza di almeno 3 settimane uno dall'altro, l'inizio dell'infezione.
Per valutare se l'infezione è passata anche al feto, è necessario eseguire un'ecografia ogni 15-30 giorni. Trascorsi 20-30 giorni dal contagio, si può eseguire una amniocentesi con ricerca del DNA per evitare falsi negativi.
Una volta nato, il bambino dovrà essere sottoposto a un esame sierologico, oltre ad essere valutato clinicamente, neurologicamente, oculisticamente e con un'ecografia cerebrale. Qualora ci sia la certezza della presenza dell'infezione, bisognerà approfondire le indagini con RMN encefalo e TAC.
Toxoplasmosi: le cure
Se c'è il sospetto che la futura madre abbia contratto l'infezione, va messa in atto una terapia farmacologica fino all'esclusione dell'infezione o fino a fine parto se l'infezione è confermata. Questo trattamento farmacologico riduce del 60% il rischio di trasmettere la toxoplasmosi al feto.
Qualora l'infezione sia stata contratta dal bambino, il neonato potrà essere sottoposto a diversi schemi terapeutici. Tuttavia ad oggi gli esperti hanno messo in evidenza la scarsa efficacia dei trattamenti.
Toxoplasmosi: prevenzione
Al momento non esiste un vaccino che metta al sicuro l'organismo dall'infezione da Toxoplasma gondii. Inoltre non vi sono parametri misurabili che permettano di rilevare l'esito dei neonati infetti alla nascita.
Dato che il parassita si trova nella carne di animali infetti o nelle loro feci o nel terreno dove si va a defecare, spieghiamo spesso venga tirata in ballo la toxoplasmosi e correlata ai gatti domestici.
Iniziamo col dire che è molto improbabile che un gatto che vive in casa e viene alimentato con sole scatolette possa ospitare e trasmettere la toxoplasmosi, proprio perché vive in una situazione controllata.
Tuttavia, per maggiore scrupolo, il Ministero della Salute raccomanda alle donne incinte di evitare il contatto con le feci dei gatti, di pulire la lettiera solo con i guanti, lavare bene frutta e verdura prima di consumarle, cuocere bene la carne e le uova, non bere latte non pastorizzato.
In generale, bisogna prestare attenzione ai cibi crudi e non confezionati: per questo bisogna evitare di conservare troppo a lungo prodotti preconfezionati o mantenere i cibi crudi separati da quelli cotti. Se non vengono mangiati al momento, i cibi cotti vanno subito messi in frigo. Una volta ripresi vanno riscaldati accuratamente fino al cuore prima di consumarli.