La storia di una Ragazza Fuori di Seno
Francesca Duranti presenterà l'11 luglio alle 18 presso il Centro Bizzozzero spazio legambiente di Parma, il suo primo libro. È omonima della più nota Francesca Duranti, il cui vero nome in realtà è Maria Francesca Rossi, che ha vinto numerosi premi letterari, tra cui Bagutta e Campiello, e che vive tra l’Italia e New York. La nostra Francesca ha esordito su Medicitalia come utente anonima che richiedeva un consulto e possiamo considerarla la prima ragazza fuoridiseno virtuale. Successivamente ha già esordito nella vita reale con interviste e racconti editi dal Corriere della Sera e Repubblica.
http://www.senosalvo.com/ragazzefuoridiseno/articolo_repubblica.htm
dopo che alcuni giornalisti l’avevano conosciuta in occasione del nostro Primo Convegno Ragazze Fuoridiseno nel novembre 2013 a Milano, in cui fece la sua ultima uscita pubblica Ada Burrone che possiamo considerare la prima Ragazza Fuoridiseno italiana. Ada morirà 6 mesi dopo e non di cancro.
http://www.senosalvo.com/ragazzefuoridiseno/annuncio_giornata.htm
Fuoridiseno in che senso?
In realtà per decine di anni avevo considerato e catalogato Ada Burrone tra i pazienti “eccezionali “ cui dovevo e devo, e non certo alla Università, gran parte del mio training oncologico riguardo al rapporto medico-paziente.
Il neologismo “fuoridiseno” invece fu da me coniato a seguito di una esperienza professionale con Adriana Pagnoni negli anni 90 (morta un anno fa e non di cancro). Adriana operata da me e nota psicoterapeuta, psicoanalista e poetessa a Milano. Ha pubblicato numerosi libri di poesia e racconti clinici tratti dalla sua esperienza personale. Durante la sua vita è riuscita a trasformare la sua malattia in un atto artistico, e per la sua cultura e personalità rappresenta una tappa importante della mia formazione culturale oncologica. Quando l'ho operata consideravo le pazienti come lei, semplicemente come "pazienti eccezionali", cioè con i requisiti che ho descritto nella tabella. Già sapevo che per sopravvivere a tanto dolore non basta il coraggio, forza e determinazione. E se occorresse anche un pizzico di follia, mi chiedevo?
Lei, a conferma, mi diede indirettamente un suggerimento molto importante per comprendere perché "i pazienti eccezionali" vivano meglio e forse di più (me ne assumo ovviamente la responsabilità).
Infatti nella prefazione del libro di poesie Illità (vincitore di un premio nazionale) a me dedicata scriveva
"Come ho già risposto verbalmente alla sua domanda: Chi è l'oncologo per me? Mi piacerebbe ripetergli, in sfida, che l'oncologo, per me, è un pazzo. Crede nella vita! ".
Lo sospettavo: "E' pazzo chi crede nella vita"!!!!!! Ecco il parametro fondamentale che mi mancava per comprendere meglio e completare il puzzle delle pazienti eccezionali e soprattutto delle guarigioni inspiegabili.
http://www.senosalvo.com/ragazzefuoridiseno/terapia_speranza_determinazione.htm
Per comprendere meglio come vivere con armonia e coraggio il cambiamento imposto dalla malattia.
https://www.attive.org/pubblicazioni/
Non anticipo nulla del libro per non stemperare il piacere di leggerlo.
A me è toccato il privilegio di scriverne la prefazione, che qui di seguito riporto:
>>Nessun paziente passa senza lasciare traccia e di qualcuno rimane un ricordo particolare, profondo, che non si dimentica. Che incide a tal punto da modificare il nostro modo di pensare e di agire nella relazione medico-paziente. Si tratta quasi sempre di pazienti che malgrado le nostre pessimistiche previsioni sono “uscite“ dalla griglia delle nostre statistiche.
Alcuni di questi, nella mia quasi quarantennale esperienza oncologica, hanno scritto pagine cruciali, talvolta strazianti, ma sempre straordinariamente lucide sulla loro vita dove non c’è sconfitta, non c’è rassegnazione nelle loro parole. Talvolta c’è palese persino l’incoraggiamento per il medico che non lesina il suo impegno, mostrando le sue emozioni.
Nella mia vita professionale di chirurgo oncologo sono stato costretto ad esplorare il mondo femminile in tutte le sue sfaccettature. Sono stato un medico fortunato che ha avuto il privilegio di scrivere in Italia il primo documento di Medicina Narrativa (“Il Carcinoma mammario dalla parte della paziente “), in una epoca in cui non si parlava di comunicazione e persino l’informazione era negata non per superficialità (o disumanità ) ma perché si era convinti che la verità avrebbe potuto danneggiare il paziente incoraggiando propositi autolesionistici. Del resto allora la maggioranza dei pazienti morivano e le poche guarigioni si ottenevano a prezzo di terapie molto aggressive (mastectomia superallargata ad esempio o radioterapia aggressiva), dolorose e invalidanti.
Il libro non nacque dalla intuizione di una notte, ma perché contemporaneamente a Milano, grazie a Umberto Veronesi (quadrantectomia versus mastectomia) e Ada Burrone, si registravano eventi rivoluzionari per i cambiamenti culturali che determineranno in campo oncologico in Italia e nel mondo.
Ho avuto il privilegio di accompagnare donne che hanno cambiato la storia della medicina come Ada Burrone per oltre 40 anni, ma quotidianamente anche donne che apparentemente sono state protagoniste di vite silenziose, di cui non hanno lasciato traccia, ma che sono state capaci di affrontare situazioni enormi, drammi e difficoltà con la forza impressionante dell’amore e di un sorriso che non si è mai spento. Donne decise e intraprendenti, donne timide e solitarie. Ogni storia femminile incentrata sulla malattia oncologica meriterebbe che qualcuno vi si soffermasse per coglierne nelle pieghe la forza e gli insegnamenti che potrebbero condizionare decine di altre vite.
Vivere una malattia che si sa potenzialmente letale può, per la persona, aumentare il bisogno di operare nei medici, anche al di fuori di quel che essi possono effettivamente dare, con tutta la buona volontà e con la migliore capacità professionale possibile. In questa situazione si crea una sorta di paradosso: il fattore che rende necessario l’incontro tra il medico e la persona ammalata, il tumore, è anche il fattore che divide i due, a causa dei bisogni e pensieri talvolta del tutto inconciliabili.
Da sempre i medici illuminati, pur assumendo una posizione rispettosa delle conoscenze acquisite, trasmettono un’intenzione a comunicare, che viene percepita dal malato come vicinanza e disponibilità a curare al meglio creando una sorta di alleanza terapeutica.
Altrettanto potremmo dire dei “grandi” ammalati, capaci di parlare ai loro medici con una umanità comprensiva e talvolta addirittura spiazzante; capaci anche di valutare le possibili prospettive negative della loro malattia e di chiedere un aiuto possibile e non onnipotente; capaci perciò di lenire il dolore o la paura di chi li cura, talvolta con poca speranza statistica, e di trasmettere gratitudine non per la guarigione, ma per l’aiuto ricevuto.
Nel secolo scorso utilizzavo il sinonimo di “pazienti eccezionali” per definire i grandi ammalati che favoriscono l’alleanza con i medici. Quando i miei capelli cominciarono a diventare grigi arrivai alla conclusione per l’esperienza acquisita “sul campo” che “ci vuole tanto coraggio, ma anche un pizzico di follia per rilanciarsi nella vita dopo una esperienza così carica di dolore.”
Decisivo il suggerimento di una mia paziente, nota psicoanalista e poeta a Milano, che narrando in rime la sua esperienza con il cancro, in un libro di poesie (vincitore di un premio nazionale) mi definisce: “ E’ pazzo il mio chirurgo oncologo! E’ pazzo chi crede nella vita “. All’istante coniai il neologismo di “ragazzafuoridiseno “, che crede nella vita.
Nel mio blog delle ragazze fuoridiseno Francesca, trentenne, irrompe nel 2013. Presenta un alto rischio familiare (Brca1) ed è in gravidanza. E’ una nativa digitale. So bene che i nativi digitali hanno comportamenti differenti rispetto ai non nativi digitali, che si manifestano non solo sul piano razionale della cognizione, ma comprende anche il piano della relazione con gli altri, persino delle emozioni e soprattutto della propria identità. Propositivo l’ingresso nel blog di Francesca smentendo lo stereotipo dei “giovani di oggi sempre “sdraiati” secondo la caratterizzazione di Michele Serra. Sdraiati magari sì, ma per digitare, dunque indaffarati e attivissimi, impegnati a scambiare, condividere, collaborare in una ideologia comunitaria (lo sharing, la condivisione) lievemente paradossale, perché sorge da una atomizzazione sociale in cui spesso neppure lo spazio è condiviso: ciascuno a casa sua, entrando così non nel post-umano, ma in un diversamente umano.
Non mi intimorisce affatto il suo grido di dolore “A staccato fanculo”…., alla scoperta della malattia, perché è una forma trasgressiva dietro la quale c’è un dolore lacerante, che merita molto rispetto. E forse non è neanche trasgressione, e anche se lo fosse, per me da sempre la trasgressione può essere persino rispettosa se non fa male a nessuno. e può essere la massima espressione di libertà che ha in sé originalità e creatività.
Non solo “sdoganai " immediatamente la locuzione di Francesca, ma questa da allora è stata adottata da tutti noi del gruppo fuoridiseno come inno-metafora della reazione adattiva alla comunicazione di una brutta notizia come lo è senz’altro la sentenza “Lei ha un cancro! ”.
Francesca è una figura storica del gruppo: lo ha fondato, lo ha animato insieme ad altre ed ha contribuito a tenerlo vivo. Molti blog su temi oncologici si auto-estinguono in tempi brevi anche se lanciati da testimonial famosissimi (il nostro ha oggi un milione e mezzo di visitatori e 6500 commenti) perché hanno come tema centrale il cancro. Noi invece non ci occupiamo di cancro, perché l’eterogeneità delle varie forme tumorali non può rappresentare una piattaforma comune e condivisibile, tant’è che le pazienti subiscono trattamenti differenti e personalizzati. Noi ci occupiamo nel blog invece della seconda e più grave malattia che si accompagna ad esso: la paura del cancro, malattia comunissima anche in chi non ha mai avuto il cancro.
Francesca ha contribuito a modo suo: e non è un modo convenzionale. Perché, forse, Francesca non è una persona convenzionale. Nel tempo ha condiviso scampoli della sua vita, della sua quotidianità, del suo adattamento al tumore, alle cure, alle emozioni intense e destabilizzanti che le hanno tenuto compagnia, nelle sue ricerche affannose, nei suoi tentativi di “normalizzare” una esperienza che di normale non ha nulla. Perlomeno in una società come la nostra, che tenta di tenere il dolore, la sofferenza, la malattia e la morte fuori dalla sua percezione, che si sforza di esorcizzare a tutti i costi le sue angosce e di coltivare un ottimismo irrealistico.
Francesca è stata anche fortunata: parla sempre bene del rapporto con il suo chirurgo e la sua oncologa. Tutto questo lo ha attraversato, lo ha metabolizzato, digerito e fatto suo.
E poi ha mandato tutto “A-STACCATO-FANCULO”.
Ha scelto di vivere, di viversela. Di occuparsi di ciò che per lei conta, che le piace, la fa star bene. Talvolta esagera e lo narra a noi con il candore e l’innocenza della bambina“ …se esco a far shopping devo lasciare il portafogli a casa…!”.
Ha scelto di aprire questa sua esperienza agli altri, alle altre persone, di mostrar loro cosa c’è in quegli spazi che forse per molto tempo erano rimasti compressi, chiusi, e che la malattia le ha dato l’occasione giusta per spalancare, o meglio che Francesca ha scelto di spalancare, strappandoli alla malattia e ridonandoli alla vita. A noi del gruppo ragazzefuoridiseno ha regalato, in quanto giovane mamma e moglie, occasioni per parlare di paure, di rabbie, di speranze e per ricordarci che la creatività, quando smettiamo di costringerla ed imbrigliarla, è più prolifica di qualsiasi malattia. >>
Salvo Catania