I "no" che aiutano a morire: quanto è difficile fare i genitori!
"All'inizio i figli amano i genitori. Dopo un po' li giudicano.
Raramente, o quasi mai, li perdonano"
Oscar Wilde
"Mi uccido e la colpa è dei miei genitori. Troppo severi, troppo insensibili, troppo restrittivi: mi sentivo in prigione, tutto mi è vietato, posso solo suicidarmi"
Scriveva così sul suo smartphone, la ragazzina di Forlì, prima di buttarsi dal tetto della scuola.
Un gesto atroce, premeditato, accarezzato con la fantasia e vissuto come l' unica estrema soluzione ad un dolore acuto, o forse cronico, che nessuno riusciva ad intravedere ed ancor di più ad ascoltare.
La ragazzina, aveva soltanto sedici anni, aveva la media del dieci in tutte le materie e rasentava la perfezione, ma spesso durante i suoi momenti di malessere minacciava di togliersi la vita, perché ormai non le piaceva più e le stava stretta.
Il "no" lapidario dei genitori alla sua insistente richiesta di andare a studiare in Cina, le aveva dato la conferma della irreversibilità della sua scelta.
"I no che aiutano a crescere" è un libro che rappresenta un caposaldo dell' educazione, una sorta di manuale guidato per noi genitori, quando oscilliamo tra sensi di colpa, inadeguatezza e troppo permissivismo.
La cronaca di oggi, denuncia adolescenti che non riescono a sopravvivere alle frustrazioni, che gridano il loro malessere e che forse non vengono ascoltati adeguatamente e profondamente ed i "no che aiutano a crescere", lasciano il posto ad i "no che aiutano a morire".
Da mamma e da clinico, mi chiedo:
- Si può morire per aver avuto il diniego per andare in Cina?
- Può un genitore non accorgersi di un malessere così cupo e profondo?
- Quale distanza emozionale esiste tra genitori e figli?
- Qual è il giusto confine tra negazione ed accondiscendenza?
- Qual è il confine tra le manipolazioni adolescenziali ed il reale rischio di morte?
- Quali segnali siamo obbligati a cogliere quando un figlio grida aiuto?
- Esistono dei manuali per noi genitori?
- Cosa è giusto concedere e cosa è giusto negare?
- Esistono dei no assoluti e dei no negoziabili?
- Un no deve rimanere sempre e comunque no oppure può anche trasformarsi in ni o addirittura in si?
- Coerenti a tutti i costi o attenti alle loro più profonde insicurezze e necessità?
A queste domande, come mamma e come clinico, non so rispondere, ma un gesto così atroce, mi obbliga a riflettere ed a chiedermi quale condotta educativa sarà la piu consona alla crescita di mia figlia, quali no sarà in grado di reggere e quali no saranno per lei atroci ed insopportabili.
Gli adolescenti sono la categoria di persone che muoiono più spesso e si ammalano di meno, proprio per la loro incapacità ad analizzare la realtà e per la loro propensione a sfidare la sorte, spostando i loro limiti.
Cosa deve fare un genitore?
Negoziare?
Spiegare?
Arginare le loro pulsioni?
Aiutarlo a crescere?
Tarpargli le ali?
Assecondare?
Uno sguardo vigile, sempre attento, empatico e non troppo castrante, forse è la strategia che bisognerebbe attuare.
Una negazione di un loro bisogno di libertà, rappresenta sempre una castrazione, una mutilazione di un loro sentire, di un sogno nel cassetto e le successive reazioni saranno le più svariate.
Un adolescente negato e non riconosciuto, tenderà a rifugiarsi nella droga, nell' alcol, nel gruppo di pari o, peggiore delle ipotesi, nella depressione e nell' isolamento, fino ad arrivare al gesto più estremo ed irreparabile: il suicidio.
Immagino, non conoscendo i dettagli della vicenda, che la ragazzina di Forlì, abbia agito da sola, senza aver parlato con nessuno, con programmazione ed un acuto-o forse cronico- dolore di fondo.
Immagino anche il vissuto di questi genitori, soli e resi colpevoli dalle note del cellulare della figlia e dalla loro coscienza che mai li perdonerà.
Chissà queste domande affolleranno la loro mente ed il loro cuore, chissà quanti "forse" avranno abitato i loro pensieri, ma il gesto è stato lapidario ed irreparabile.
L' adolescenza porta con sè svariate fasi, da quella depressiva - necessaria per la crescita psichica - a quella euforica, che li spinge a vivere a pieni polmoni.
Cosa fare in questi casi?
Dire sempre e per sempre si, non credo sia la strada migliore da percorrere, cedere alle loro manipolazioni affettive nemmeno, forse spiegare e motivare i "no" monitorando le loro reazioni, potrebbe essere una soluzione.
Il litigio, il sano litigio, diventa un luogo simbolico di scambio, di negoziazione e soprattutto di crescita, senza rabbia ed aggressività, ma con amore ed autorevolezza.
Un "no", così come un brutto voto o un comportamento non adeguato, va sempre spiegato, offre l' opportunità a noi genitori di dialogare con loro, non colpevolizzandoli o censurandoli, ma trasformando le loro debolezze in punti di forza della loro psiche.
Anche un cattivo comportamento, contiene sempre qualcosa di buono, leggere oltre e vedere il buono che c' è in loro, é la strategia migliore pe restituire ai nostri figli un' immagine "risarcita" e " nutrita" dall' amore e dalle cure genitoriali.
Il genitore deve resistere al bisogno di cercare di crescere un figlio, come il figlio che lui vorrebbe avere, ma aiutarlo invece a sbocciare secondo i "suoi" tempi, le sue potenzialità, a diventare quello che lui vuole essere realmente, in armonia con il suo patrimonio emozionale e cognitivo.
Spesso un figlio "diverso" è un figlio che mette in crisi il credo dei suoi genitori, ma le diversità vanno accettate e rese "unicità".
Un figlio per crescere ha necessità di "radici ed ali"
Mio padre mi ha dato il più grande regalo che mai si possa dare ad un figlio: ha creduto in me, sempre.