Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace?
Nel 1820 due assidui frequentatori dell’Opéra di Parigi, Sauton e Porcher, ebbero un’intuizione imprenditoriale formidabile, costituendo l’Assurance des Succès Dramatiques: affittavano persone che, mescolandosi ai veri spettatori, “stimolavano” abilmente l’apprezzamento e gli applausi del pubblico. In questo modo nacque la claque, le cui tecniche nel tempo si perfezionarono sempre di più anche grazie all’introduzione di personale specializzato: il bisseur (che chiedeva a gran voce il bis), il rieur (che riusciva a contagiare il prossimo con la sua risata divertita), la pleureuse (che poteva piangere a comando), ecc. Tutto ciò contribuiva comprensibilmente al successo dello spettacolo e della compagnia teatrale che lo aveva messo in scena. 1
Ai giorni nostri si potrebbe fare un parallelismo tra quegli applausi nei teatri e le manifestazioni di approvazione e di gradimento sui siti Web fornite con un semplice click sul pulsante “Mi piace”.
Secondo uno studio effettuato dal Mit (Massachussets Institute of Technology) e l’Università di New York, in collaborazione con l’Università ebraica di Gerusalemme e recentemente pubblicato sulla rivista Science, la decisione delle persone di fornire un giudizio positivo attraverso la cliccata su “Mi piace” sarebbe condizionata in modo significativo dal fatto che già altri in precedenza abbiano espresso in merito un parere favorevole. Questa influenza sociale, che in qualche modo distorce il processo decisionale (poiché non si tiene conto di tutte le informazioni in proprio possesso, ma ne vengono selezionate e privilegiate solo alcune), aumenterebbe addirittura nel caso in cui a dare opinioni positive siano stati degli amici.
- http://www.lastampa.it/2013/08/09/tecnologia/un-mi-piace-tira-laltro-sul-web-i-pareri-positivi-sono-i-pi-influenti-z8rtcIi3SY70pxP1VDkrtK/pagina.html
- http://www.nytimes.com/2013/08/09/science/internet-study-finds-the-persuasive-power-of-like.html?ref=technology&_r=1&
- http://www.sciencemag.org/content/341/6146/647.abstract
Ciò ricalca quanto descritto alcuni decenni fa da Robert B. Cialdini, studioso della psicologia della persuasione (http://www.influenceatwork.com/), secondo il quale uno dei criteri che utilizziamo per decidere che cosa è giusto/bello/buono è basarsi su che cosa gli altri considerano giusto/bello/buono. Questa “scorciatoia cognitiva” vale, ad esempio, per stabilire quale sia il comportamento corretto da tenere in determinate situazioni, allineandosi con la maggioranza poiché, secondo il principio della riprova sociale, quante più persone trovano positiva una cosa, tanto più quella cosa è ritenuta positiva dal singolo individuo. Si assiste infatti ad una sorta di effetto accumulo: il principio della riprova sociale agisce con maggior efficacia se la riprova è fornita da un gran numero di persone. E funziona ancora meglio se osserviamo il comportamento di un individuo che riteniamo simile a noi o che ci è amico.
Tralasciando le critiche che potrebbero essere mosse al recente esperimento, sarebbe interessante fermarsi a riflettere sulle implicazioni che i suoi annunciati risultati potrebbero avere nella nostra vita quotidiana, sempre più pervasa dall’utilizzo di Internet per molteplici attività: dalla scelta di un ristorante all’acquisto on line dei beni più disparati, dalla ricerca di un’indicazione medica alla stesura di una tesina scolastica, e via discorrendo.
Sarebbe bene tener sempre presente il fatto che ci potrebbero essere manipolazioni del gradimento, frutto di accurate strategie di marketing o anche solo tendenti ad aumentare la propria visibilità, che nulla hanno a che vedere con l’attendibilità e l’affidabilità delle informazioni reperite.
Perciò dovendo prendere una decisione o fare una scelta -anche solo quella di esprimere un nostro personale "Mi piace"- meglio sempre porsi domande con atteggiamento critico, mettendo in discussione le scelte altrui: “Questa cosa è popolare e quotata perché buona in sé veramente, o è popolare per un effetto gregge che ha portato tante persone ad uniformare il loro giudizio a quello degli altri?”
Non è in fondo molto di diverso da quando nel vasetto delle mance, al bar come dal parrucchiere, di solito ci sono non solo spiccioli ma anche banconote, proprio per “stimolare” nei clienti l’idea che il comportamento adeguato da tenere sia quello di lasciare un compenso extra non troppo misero. In quelle situazioni ci lasciamo influenzare dal principio della riprova sociale o mettiamo all’opera il nostro spirito critico?
1 adattamento da R.B. Cialdini “INFLUENCE. How and why people agree to things” William Morrow and Co., New York, 1984