Prevenzione psicologica per l'ictus?
I pessimisti hanno il doppio delle probabilità di essere colpiti da ictus rispetto a chi ha una visione meno negativa e più realistica del mondo, anche senza essere persone che comunemente definiamo come “inguaribili ottimisti”.
Una ricerca condotta su un vasto campione composto da 23.216 adulti fra i 20 e i 54 anni, privi di precedenti specifici, ha individuato una correlazione altamente significativa fra i livelli di pessimismo dei soggetti e l’incidenza di ictus cerebrale, calcolando che a 7 anni di distanza dalle misurazioni di partenza (baseline) l’incidenza di ictus fra i meno pessimisti era stata inferiore della metà rispetto ai più pessimisti fra loro. I soggetti con i livelli più bassi di pessimismo hanno quindi avuto la metà delle probabilità di essere colpiti da un ictus rispetto a chi affronta il mondo e la vita guidato da pensieri e aspettative di tonalità negativa.
Colpa della depressione?
Apparentemente no: non è stata trovata una correlazione specifica con la depressione e quindi i risultati si riferiscono al pessimismo come disposizione stabile dell’individuo, e non allo stato d’animo che deriva da un disturbo di natura depressiva (per quanto i ricercatori segnalino che lo strumento che hanno impiegato per valutare la presenza di sintomi depressivi non sia utilizzato comunemente nella pratica clinica per porre la diagnosi di depressione).
Gli autori segnalano anche che un altro recente studio clinico ha evidenziato la correlazione fra pessimismo e bassi tassi di sopravvivenza fra i pazienti oncologici, a dimostrazione del fatto che essere pessimisti rappresenta un fattore di rischio anche per la sopravvivenza ad altre patologie.
Come mai il pessimismo conta tanto?
Gli autori non hanno ipotizzato il motivo per il quale si verifica questo fenomeno, suggerendo che può essere collegato sia all’iperattività del sistema nervoso autonomo, sia allo stile di vita del pessimista.
Non è stato peraltro trovato uno specifico legame fra ottimismo e bassa incidenza di ictus cerebrale, a riprova del fatto che non è necessario essere particolarmente ottimisti per prevenirlo, ma semplicemente non essere pessimisti e che i due costrutti sono indipendenti l'uno dall'altro.
Si può prevenire l’ictus?
I ricercatori sottolineano la possibilità di verificare empiricamente in futuro l’impatto di specifici interventi psicologici sull’incidenza di ictus. Dal momento che la correlazione fra pessimismo e rischio di ictus è risultata altamente significativa si può concludere che, almeno in assenza di altri fattori di rischio, potrebbe essere sufficiente aiutare il potenziale paziente a conseguire un atteggiamento più equilibrato per ridurne il rischio di eventi cardiovascolari.
Tale intervento psicologico sarebbe probabilmente ancor più opportuno per quanto riguarda le persone che presentano uno o più fattori di rischio (ipertensione, diabete, obesità, ipercolesterolemia, fumo, abuso di alcol) e che sono anche pessimiste. E’ presumibile che un soggetto pessimista fatichi a seguire le indicazioni del medico a causa della sua stessa personalità dominata da aspettative negative: a che serve curarsi o cambiare/limitare le proprie abitudini (alimentazione, attività fisica, fumo e così via) se questo potrebbe non avere effetto, rivelandosi dunque una fatica inutile?
Di conseguenza non aspettarsi nulla di buono può determinare una scarsa aderenza alle prescrizioni mediche e contribuire all’incremento dello stress individuale che può portare all’ipertensione e quindi direttamente all’ictus, oltre che al mantenimento di abitudini dannose. Da questo punto di vista si può quindi ragionevolmente ipotizzare che un intervento psicologico mirato a cambiare i meccanismi di pensiero dominati da aspettative negative sarebbe utile a chi si trova ad essere già a rischio, e potrebbe aiutare chi non lo è a non diventarlo, oltre che a vivere meglio.
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