Quando il virtuale si confronta con il reale
Il tumore del seno, come qualsiasi grave malattia che minaccia la nostra vita, oltre ad assumere una grande importanza sociale per la sua elevata frequenza, è l’esempio più emblematico di malattia, che per le sue implicazioni psicologiche emotive e simboliche è in grado di destabilizzare il più solido degli equilibri di chi si ammala.
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Infatti la paura della mutilazione, la rabbia ("perché proprio a me?"), la frustrazione, la paura delle terapie, della sofferenza, della solitudine, dell’emarginazione e della morte, sono tutti elementi angoscianti che accompagnano le pazienti in tutte le fasi della malattia.
Guarire vuol dire perseguire l’obiettivo di ristabilire un equilibrio tra la dimensione fisica e quella mentale, ma nonostante il tempo trascorso dalla somministrazione della sentenza, spesso è proprio la “guarigione psicologica” quella più difficile da raggiungere, messa a dura prova dalle cosiddette anticipazioni generate dalla nostra mente (credenze, aspettative, pregiudizi e soprattutto “paura della paura”), confuse con i dati di realtà, ovvero dai motivi reali di preoccupazione che sono basati su risultati diagnostici oggettivi.
Questo genera una seconda malattia talvolta molto più grave del cancro perché i malati di tumore frequentemente “smettono di vivere”, concependo il periodo di cura come una sorta di sospensione del tempo e questo senso di minaccia e sospensione interessa anche il periodo successivo alle cure nonostante i dati oggettivi siano molto incoraggianti.
Di questa “malattia” se ne occupa la psiconcologia, disciplina sviluppatasi intorno al 1950 negli Stati Uniti e che si occupa in maniera specifica delle conseguenze psicologiche causate da un tumore. La rabbia, l’ansia, la preoccupazione sono normali risposte adattive alla malattia, e di cui non ci si deve affatto preoccupare,
e lo scrivo anche per i familiari, ma quando queste diventano troppo intense, continue e perseveranti, ci sono tutte le indicazioni per un trattamento specifico.
Purtroppo la copertura istituzionale nel territorio italiano per questo trattamento non è quantitativamente ottimale in relazione alla elevata incidenza del cancro.
Gruppo di Auto-Mutuo-Aiuto virtuale Medicitalia: AMA(v)MI+
Cos’è un gruppo di auto-mutuo-aiuto?
Nulla di nuovo perché questi gruppi sono nati negli Stati Uniti dopo la Grande Depressione per aiutare gli alcolisti ad abbandonare le abitudini scorrette. I gruppi di auto-mutuo-aiuto (AMA) si sono rivelati efficaci in molte situazioni in cui si manifesta il bisogno di un sostegno psicologico.
Con il tempo l’efficacia dei gruppi è stata studiata scientificamente in diversi contesti e ne sono emersi due modelli prevalenti: nel primo, detto gruppo guidato, esiste una figura di riferimento (un operatore sanitario o uno psicologo) che guida il gruppo con le tecniche proprie della sua professione, pur lasciando ampia libertà di espressione a tutti i membri.
Nel secondo modello, come l’AMA(v)MI, il gruppo è composto da “pari” (pazienti e familiari) che condividono le loro esperienze e soluzioni adottate per far fronte ai vari problemi. In questo secondo modello è prevista la figura di un “facilitatore” (cui si affiancano altre figure multidisciplinari) che aggrega il gruppo e crea il “contesto” in cui la discussione fluisce tra i “pari”, spogliandosi della sua tecnologia (vedi metodo “dottore si spogli”).
Il gruppo AMA(v)MI non è nato casualmente anche se si è dimostrato molto più efficace rispetto ad ogni aspettativa. E ancora ne vedremo delle belle!
All’inizio del 2013 mi sono reso conto delle difficoltà oggettive a gestire i consulti online con le pazienti oncologiche che presentavano una prognosi non certo favorevole.
Per non essere ripetitivo ed avendo trovato molti temi in comune, ho cominciato ad indirizzare tutti questi consulti di particolare delicatezza nel mio blog ed in particolare alla discussione "Come si calcola il rischio reale per il tumore al seno".
La svolta è arrivata ai primi di febbraio 2013 con l’ingresso nel blog di Francesca (alcuni di questi “personaggi” sono ripresi nelle conclusioni di un mio articolo sugli errori medici)
Francesca, trentenne emiliana, presenta un rischio di tumore al seno da fare invidia ad Angelina Jolie: mi scrive “mi hanno sospeso i controlli senologici durante la gravidanza, perché mi hanno spiegato che la gravidanza protegge”.
Francesca presenta una mutazione genetica. Invitata a riprendere immediatamente i controlli, scopre di avere (ecografia) un tumore maligno di 2,6 cm. Inizia la chemioterapia neoadiuvante nel mese di marzo e “accompagnata” giorno per giorno dalla assistenza virtuale delle compagne di avventura, subisce una mastectomia liberatoria con ricostruzione il 27 giugno del 2013. Francesca si descrive come “riservata e pudica” (sic!) nella sua vita reale, ma nel gruppo irrompe con il suo grido di battaglia come uno tsunami “A staccato Fanculo!”. Strada facendo non solo abbiamo sdoganato l’espressione che non avendo altri sinonimi, è diventata il grido di battaglia anche delle altre compagne di avventura del gruppo.
Non sto ad elencare tutti i personaggi che sono entrati nel blog perché secondo me il più bravo sceneggiatore di un film e con la più fertile fantasia non sarebbe stato in grado di poterli immaginare così diversi, ma con tante cose in comune da condividere.
Singolare il caso della nostra Annarita, anche lei emiliana (nodulo presente da 3 anni C3 e rivelatosi poi tumore maligno) che spinta da noi ad un approfondimento diagnostico richiede una biopsia il cui referto Le viene comunicato alla vigilia del terremoto e si mantiene in contatto durante il decorso post-operatorio “ricoverata in una tenda di sfollati” nella zona dell’epicentro del terremoto.
Non c’è spazio qui per elencare tutte le partecipanti al blog, tra cui Patrizia, che non ha un tumore, ma nell’attesa dell’intervento è come se l’avesse.
Piano piano ho cominciato a rendermi conto nel forum che grazie al contributo dei “pari” il focus della discussione si spostava dalla malattia alla “paura della paura”, la malattia più grave. Molto importante il contributo di tutte: dalla entusiastica freschezza di Lori nonostante l’età anagrafica e la consapevolezza delle sue metastasi; dalla saggezza di Laura 1 al grido disperato di Mery “ci risiamo una altra volta”. Dall’età di 30 anni ai 70 e geograficamente dalle Alpi alle Piramidi: Lombardia, Emilia, Veneto, Piemonte, Valle D’Aosta, Calabria, Sicilia ecc.
Da quel momento mi sono imposto di “eludere” volutamente tutte le domande tecniche, invitando a partecipare anche alcune mie pazienti che incontravo nella mia pratica professionale quotidiana, come Elisa (+marito) e Fiorella, medico-paziente, e che io avevo operato mentre era in corso la discussione sul blog.
Nel frattempo sono riuscito a coinvolgere altre figure professionali del sito ed in particolare alcuni psicologi, tra cui il dr. Calì ed il dr. Bellizzi, ai quali ho affidato il compito di allestire un “empa-test conoscitivo”. Nulla di impegnativo dal punto di vista scientifico anche per la non significatività del campione, ma con l’unico obiettivo appunto conoscitivo. In questa pagina c’è il questionario da compilare PRIMA dell’incontro di novembre e poi ci sarà un “empatest conoscitivo” quando ci incontreremo.
Per esempio sarebbe interessante verificare se ad un alto livello di empatia online corrisponda poi effettivamente un altrettanto elevato livello di empatia nell’incontro reale. Io mi aspetto che l’incontro reale determini, per diverse ragioni, in alcuni pazienti un “disagio” percepito come basso livello di empatia intorno a sé, perché nella mia esperienza, paradossalmente, il virtuale sembra incoraggiare ad esprimere meglio le proprie emozioni ed in modo più completo, specie se si è coperti dall’anonimato, e soprattutto quanto più ci si allontana della fase iniziale della relazione. Nel nostro gruppo infatti gradualmente le pazienti sono state “obbligate” a presentarsi con un nome, seppur fittizio. Non è mai stato utilizzato un nome fittizio a riprova che ormai, rispetto al passato, non c'è traccia del "pudore", sentimento molto comune tra i pazienti nel secolo scorso in cui il cancro era una malattia di cui ci si doveva vergognare e quindi nascondere.
Dopo l’intervento di Francesca, volutamente mi sono allontanato, si fa per dire perché ho continuato a leggere ogni giorno, dalla discussione per valutare l’autonomia del gruppo, che infatti è andato avanti da solo. Oggi il cancro nel forum resta sempre la cornice in cui si muove la discussione, ma non viene più neanche nominato e non certo perché sia stato rimosso, ma perché il “granchio”, il fantasma che ci perseguita e ci rincorre è stato, non solo accettato, ma addirittura esorcizzato e soppiantato dalle... emozioni.
Incontro del 21 Novembre a Milano
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Tanta, ma veramente tanta carne al fuoco:
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Premesso che non ci interessa più discutere se esista o meno l’empatia virtuale ma sarà veramente interessante, e tra l’altro inedito a livello mondiale, verificare cosa possa accadere a livello empatico quando una relazione nata virtualmente si confronta con l’impatto reale (non ci siamo, tranne qualche caso, mai incontrati “vis a vis”).
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Rapporto medico paziente e responsabilità del medico, del paziente e dei media con il contributo di medici-pazienti, psicologi-pazienti, giornalisti-pazienti.
Toccherà a me per indirizzare il tema della discussione, illustrare il metodo “dottore si spogli” (della sua tecnologia) frutto di 37 anni di frequentazione dell’Associazione Attivecomeprima, fondata nel 1973 e che il 5 Novembre festeggia a Milano il quarantesimo compleanno dalla sua fondazione.
Il programma non prevede relazioni ma esperienze. Non solo dei medici ma soprattutto di medici-pazienti, psicologi-pazienti, giornalisti pazienti.
Che c’entrano i giornalisti? C’entrano e come!
Gli ostacoli alla comunicazione derivano da:-
fattori sociali: inferiore considerazione del malato coerentemente all’assunto ippocratico che esistesse una identificazione tra salute, bellezza e moralità che ritroviamo anche nell’era moderna, il malato veniva considerato non solo brutto, ma sminuito della sua capacità di potersi prendere cura di sé stesso.
I media sono responsabili di continuare a mantenere questi valori nella società alimentando una cultura da “Grande Fratello”.
Nella giornata del 21 Novembre ho coinvolto Michela Mantovan che è anche ex-paziente, caporedattore del Corriere della Sera e che mi aveva fatto leggere un bellissimo libro, "Tumorrow" scritto da lei, ma mai pubblicato e che non aveva alcuna intenzione di farlo.
Quando le ho chiesto perché (tutti, proprio tutti soprattutto se hanno facilità a scrivere hanno scritto almeno un libro dopo l’esperienza del cancro) non l’avesse fatto, mi ha risposto che avrebbe risposto alla mia domanda pubblicamente nel corso dell’incontro di Novembre.
L’aspettiamo.
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fattori relativi al paziente: non credo che si possano considerare esagerate le aspettative dei pazienti, mentre occorre fare i conti con i loro pregiudizi e paure.
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fattori relativi al medico: non basterebbe un intero Convegno di una settimana per discuterne, perchè sono fattori legati alle paure personali del medico ed al suo training professionale.
Ad esempio durante la nostra formazione noi siamo stati educati a lenire efficacemente il dolore o annullarlo del tutto con l’uso di anestetici, mentre non siamo preparati affatto all’idea di generare dolore somministrando cattive notizie o peggio sentenze di morte.
Ma la ragione principale del nostro imbarazzo o inadeguatezza deriva dal fatto che noi siamo stati rigorosamente educati ad avere e seguire linee guida, per cui nell’evenienza in cui non ve ne siano, è comprensibile il disagio e la tendenza ad evadere se non proprio ad evitare completamente il compito che pur fa parte del ruolo professionale.
Ad esempio ci mancano linee guida per rispondere alle reazioni del paziente anche quando queste sono adattive e quindi non dovrebbero essere valutate negativamente, poiché l’adattività è l’unica risorsa in situazioni estreme che aiuta il paziente ad adattarsi a situazioni sfavorevoli, mentre noi la vediamo come un intralcio alla relazione.
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Riappacificazione tra medici e pazienti
Questo è un altro tasto molto dolente della relazione medico-paziente e sul quale anche i media non possono chiamarsi fuori causa perché responsabili di una altissima percezione dei casi presunti di “malasanità”, che ci sono senza dubbio, ma che non vengono mai messi in relazione ai tanti milioni di atti invasivi che vengono eseguiti ogni anno in Italia e che passano inosservati perché evidentemente gli esiti sono da considerare soddisfacenti.
Se vogliamo scomodare i numeri, indubbiamente gli errori dei medici ci sono perché il medico non è infallibile ed è dovere del medico ammetterli con l’umiltà di spiegarli sempre al paziente.
Le reazioni dei pazienti in alcuni casi sono prevedibili e giustificabili anche perché i medici hanno creato aspettative che solo il Padre Eterno potrebbe promettere.
Ad esempio nel mio settore della senologia oncologica per quanto non vi siano evidenze che un ritardo diagnostico di un tumore anche di 9-12 mesi abbia qualche ripercussione negativa sulla sopravvivenza, tuttavia va rilevato il paradosso che proprio i senologi abbiano abbinato sistematicamente la diagnosi precoce a una prognosi migliore e ne hanno diffuso il concetto attraverso i media come verbo sacro. Nessuna meraviglia quindi se un giudice “ingiustamente” possa essere motivato a colpevolizzare un ritardo diagnostico denunciato da un paziente, così come la percezione collettiva, enfatizzata dai media, tende a considerare questo tipo di errori come una anomalia dell’organizzazione sanitaria.
Quanto sia enfatizzata questa anomalia lo dimostra il fatto che oltre l’85% delle cause di risarcimento intentate ai medici non hanno avuto alcun esito perché il medico è stato assolto. Vuol dire allora che nell’85% dei casi migliaia di cittadini, talvolta vittime di sciatterie inaccettabili, ma non di rado eccitati da avvocati spregiudicati intentano cause non sempre sensate. Indimenticabile un manifesto con la radiografia di un torace dove spiccava nei polmoni una forbice con la scritta “sei proprio sicuro che ti abbiano curato bene “?
Tutto ciò ha alimentato una sorta di medicina, cosiddetta difensiva, dagli effetti devastanti per tutti i cittadini.
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Le ammissioni alle Scuole di Specializzazione delle specialità ad alto rischio vanno deserte, tant’è che ormai è difficilissimo trovare giovani chirurghi disponibili ad abbracciare questo tipo di professione perché i rischi ed i costi imposti dalle Assicurazioni risultano insostenibili.
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Molti medici cominciano a cautelarsi richiedendo un numero esagerato di indagini diagnostiche per non essere accusati di “negligenza”. Gli effetti sono disastrosi per i costi della collettività ed in primo luogo sugli stessi pazienti per l’allungamento dei tempi diagnostici necessari per espletare gli esami richiesti.
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Si sta riducendo drasticamente il numero di chirurghi disponibili ad eseguire interventi ad altissimo rischio.
Queste considerazioni sono agghiaccianti perché l’obiettivo di molti medici resta ancora quello di poter curare i propri pazienti come i propri familiari, animati da Scienza e Coscienza. Se costretti ad essere attenti ai dettami giudiziari, diversamente da come si curerebbe un familiare, il rischio concreto è quello di educare una categoria professionale a curare in modo “accuratamente eccessivo” (altro che Slow Medicine !) prescrivendo ai pazienti più esami e terapie, non certo per superficialità o convincimento scientifico, ma solo per evitare che il verificarsi di una patologia improbabile, lo esponga al vaglio giudiziario e magari alla graticola mediatica.
Con il risultato che “siamo così curati che ci sentiamo tutti malati” (Too Much Medicine).
P.S.
E' molto attiva la campagna lanciata dal British Medical Journal TOO MUCH MEDICINE sul sovratrattamento diagnostico e terapeutico , perchè pubblicità e media hanno fatto credere alla gente che "di più" sia meglio.
http://www.bmj.com/too-much-medicine
Così i medici,presi fra l'incudine del poco tempo, ed il martello delle richieste pressanti dei pazienti e soprattutto il timore di essere accusati di non avere fatto abbastanza , prescrivono valanghe di esami e terapie, anche se spesso risultano inutili, e secondo alcuni talvolta pericolosi. Anche in Italia è stato pubblicato un altro libro (Slow Medicine) di Giorgio Bert su questi temi mentre a Torino a fine Novembre ci sarà un Convegno Internazionale sulle terapie di dubbia utilità.
Mentre un sondaggio lanciato tra gli stessi medici è impietoso : Quando ad essere malati sono i medici o i loro familiari, la media di interventi terapeutici di dubbia utilità scende a meno della metà.
Il 21 Novembre parleremo di
J U S T M E D I C I N E
- 9,00 Salvo Catania, “Presentazione dell’incontro”
- 9,10 Ada Burrone, Direttore Generale di ACP, “Saluto di Benvenuto”
- 9,30 Gianluca Calì, psicologo, “Risultati sondaggio Empatest virtuale”
- 9,45 Michela Mantovan, Caporedattore Corriere della Sera,“Tumorrow”
- 10,00 Daniela Condorelli, giornalista gruppo Repubblica Espresso“Responsabilità dei media”
- 10,30 Lucia Giudetti Quarta, Presidente Fondazione Quarta,“Progetto Ippocrates”
- 10,45 Coffe-break
- 11,00 Salvo Catania, “Dottore si spogli”: la responsabilità dei medici, dei pazienti, dei familiari, dei media e la comunicazione non convenzionale.
- 13,00 Lunch
- 14,30 Discussione aperta a tutti i partecipanti
- Partecipazione alla discussione delle pazienti nel ruolo di I-PATIENT [ I= INTERACTIVE PATIENT, paziente che interagisce con i medici piuttosto che e-patient (consumatore passivo di informazioni sulla salute da parte di utenti che utilizzano mezzi di comunicazione elettronici)].
- 18,00-18,30 Fine dei lavori