Una nuova speranza per la terapia della cefalea a grappolo
Il padre degli Dei, Zeus, decise di farsi spaccare la testa con un’ascia da Prometeo, non riuscendo più a tollerare la straziante cefalea che lo affliggeva: ne venne fuori Minerva, già adulta e fornita di armatura.
Analoga tentazione di suicidio deve provare chi soffre un attacco di cefalea a grappolo, che è stata così denominata per il suo carattere periodico, con fasi attive alternate a fasi di remissione spontanea, caratterizzata secondo Peter Goadsby, (University College, Londra), ricercatore all’avanguardia in questa patologia, dal dolore più grave che un uomo possa provare.
Anche se nel 1672 il grande anatomico del cervello Thomas Willis descrisse il caso di una donna, che per molti giorni consecutivi, sempre alle ore 16, presentava violenti attacchi di mal di testa, fu nel 1936 che il neurologo statunitense Bayard Taylor Horton inquadrò in maniera rigorosamente scientifica la cefalea a grappolo, che denominò cluster headache, che è nota anche con l’eponimo di cefalea di Horton (CH).
Bayard Taylor Horton (1895–1980)
Il trattamento preventivo long-term con verapamil, litio e topiramato realizza un risultato efficace per molti pazienti affetti da cefalea a grappolo, ma un rilevante numero di casi non presenta una risposta soddisfacente oppure non riesce ad essere aderente alla terapia per intolleranza ai farmaci.
Un gruppo di ricercatori della Ludwig Maximilians Universität (Monaco di Baviera), diretti da Ruth Ruscheweyh, ha pubblicato il 17 Agosto 2020 su Cephalalgia, rivista della International Headache Society, il lavoro Effect of calcitonin gene-related peptide (-receptor) antibodies in chronic cluster headache: Results from a retrospective case series support individual treatment attempts (https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/0333102420949866), che mostra come l’uso degli anticorpi monoclonali anti-CGRP, adoperati nell’emicrania cronica, riduca del 50% la frequenza degli attacchi nel 55% dei pazienti con CH Cronica (durata: ≥1 anno, intervallo libero: <3 mesi) con risposta inadeguata alla terapia preventiva.
Per valutare i benefici nella pratica clinica, i ricercatori hanno monitorato con diario della cefalea la frequenza e l’intensità degli attacchi, per un periodo di baseline di 4 settimane ed un follow-up di 3 mesi, in 22 soggetti trattati con anticorpi anti-CGRP (galcanezumab).
I pazienti avevano un’età media di 46,6 anni, 15 donne e 7 uomini; la durata media della CH era di 12,4 anni e la forma cronica (CHC) di 6,6 anni.
Il numero medio di 23,3 attacchi/settimana, registrato al baseline, nel primo mese di trattamento è diminuito a 14,2 e conseguentemente l’utilizzo di farmaci per l’attacco è calato da 16,2 a 6,4.
L’intensità del dolore, misurata su una scala di rating numerico a 10 punti, è diminuita da 9,5 a 8,3.
Nel corso delle successive quattro settimane è stato registrato un decremento del 50% in 12 pazienti e del 75% in 8, sia nel numero degli attacchi che dei farmaci per l’attacco, trend che si è mantenuto nel 2° e 3° mese di follow-up.
Ruscheweyh è incerta se questo risultato sia da attribuire ad un effetto terapeutico indipendente degli anticorpi anti-CGRP o complementare alla terapia preventiva tradizionale, il cui reale meccanismo d’azione non è stato del tutto compreso, ma è significativo che questo loro utilizzo off-label risulti efficace nei pazienti refrattari al trattamento profilattico.
Brian E. McGeeney, esperto di Cefalee al Brigham and Women's Faulkner Hospital, Boston, Massachusetts (USA), reputa che questo studio osservazionale retrospettivo consenta solo di postulare ipotesi ma non fornisce ancora una guida clinica e che si dovranno attivare successivi trial controllati e randomizzati con definiti endpoints, anche per identificare nella meta-analisi quel 30% di pazienti che, in pratica, non beneficia dell’utilizzo degli agenti CGRP, per evitare un ingiustificato onere economico.
Per la CCH, che è la forma peggiore di cefalea, purtroppo esistono poche ricerche e personalmente ritengo meritevole questo studio della Ruscheweyh, auspicando che i suoi successivi approfondimenti migliorino la terapia di questo flagello persino per Giove!