Donne lavoratrici alzheimer.

Alzheimer nelle donne: le lavoratrici hanno minori probabilità di sviluppare la malattia

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Dr. Mauro Colangelo Neurologo, Neurochirurgo

L’epidemiologa Elizabeth Rose Mayeda della University of California, Los Angeles Fielding School of Public Health, ha presentato alla recente AAIC 2019 (Alzheimer’s Association International Conference) tenutasi in Los Angeles (14-18 Luglio), i risultati di una nuova ricerca, tuttora in corso di stampa, che indica che il lavoro retribuito protegge le donne dal declino cognitivo e riduce il rischio di demenza.

alzheimer incidenza donne

Il lavoro migliora il benessere cognitivo

Secondo i dati statistici rilasciati dal U.S. Department of Labor, le donne rappresentano circa il 47% della forza lavoro negli Stati Uniti. Se per una donna aver svolto nel corso della vita un lavoro pagato ha rappresentato un evidente beneficio sotto il profilo sociale, in termini dì disponibilità economica, indipendenza e benessere complessivo, da questa nuova ricerca emerge il conseguimento di un ulteriore beneficio nell’età avanzata, costituito da una migliore salute cognitiva. 

Mayeda e il suo team di ricercatori hanno studiato oltre 6.000 donne, nate fra il 1935 ed il 1956, raccogliendo l’anamnesi familiare e lavorativa fino all’età di 50 anni. Dal 1995 al 2016, i soggetti sono stati regolarmente sottoposti a indagini neuro-psicologiche di ordine cognitivo, costituite dai test di memoria e dai questionari utilizzati di routine per l’accertamento del declino cognitivo.

I risultati hanno mostrato che il tasso di declino della capacità mnemonica era sovrapponibile in donne che avessero o non avuto figli, ma il declino cognitivo era più rapido nelle donne che non avevano mai svolto un lavoro esterno.

Donne sposate e donne single

Infatti, nelle donne coniugate e con figli che non avevano lavorato, il decadimento di memoria è apparso per il 61% più rapido, nell’ambito di 10 anni, quando posto a confronto con quello di donne di analoga condizione familiare che erano state impiegate in un’attività lavorativa retribuita.

Il tasso di declino cognitivo è risultato poi significativamente più alto nelle donne single con figli, ma che non avevano svolto un lavoro pagato e, se non avevano mai lavorato, il declino cognitivo era per l’83% più rapido.

Rebecca EdelmayerDirector of Scientific Engagement, della Alzheimer’s Association, commenta la ricerca della Mayeda sottolineando che i ruoli delle donne nella forza lavoro e nella famiglia, nel corso degli anni, sono cambiati in maniera imponente, per cui è estremamente importante continuare a studiare il rapporto di queste modifiche sul rischio delle donne relativo alla malattia di Alzheimer.

Nel complesso, come è naturale quanto inevitabile, il declino cognitivo dopo l’età di 60 anni è evidenziabile in ciascuna delle categorie esaminate in questa ricerca, sia che fossero coniugate o single e che lavorassero oppure casalinghe con o senza figli, ma è rimarchevole che ai test cognitivi una donna di 70 anni che aveva lavorato fuori casa è risultata come una donna di 65 che non aveva lavorato.

La funzione "protettiva" di un impiego fuori casa

Nei soggetti dello studio non sono state individuate donne con demenza clinicamente conclamata, ma è stata incontrovertibilmente rilevata una elasticità cognitiva nelle donne di età più avanzata e che avevano svolto un lavoro fuori casa. 

Al riguardo Mayeda ha enfatizzato che non è necessario che una donna svolga in maniera continuativa un lavoro retribuito, come ad esempio per interruzioni temporanee promosse da necessità familiari, per conseguire i benefici cognitivi nell’età senile.

In altri termini, non è l’ininterrotta continuità lavorativa quanto l’esserne state coinvolte per un periodo di tempo significativo che contribuisce al rallentamento del declino cognitivo.

Ciò sta ad indicare che un lavoro svolto nella metà della vita riveste una funzione “protettiva” sulla prevenzione della demenza ed inoltre che la “resilienza” cognitiva può essere incrementata, come attestato da studi precedenti, attraverso un continuo processo di apprendimento.

Il Dr. Joan Rowe della Columbia’s Mailman School of Public Health sostiene che anche un lavoro su base di volontariato contribuisce a rallentare il declino cognitivo.

In conclusione, quando si visita un paziente si deve essere motivati a chiedere, oltre ai meri dati clinico-anamnestici, anche in che modo ha fino ad allora speso la sua vita.

Data pubblicazione: 12 settembre 2019 Ultimo aggiornamento: 03 dicembre 2020

2 commenti

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Dr. Mauro Colangelo

Grazie Carla del tuo cortese appprezzamento.
Cordiali saluti

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