Andare dal dottore è come un appuntamento galante: il fenomeno del "doctor-shopping"
Il titolo di questo post è la traduzione più o meno letterale del titolo di un articolo recentemente comparso sulla rivista BMC Family Practice: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24502367.
L'articolo (e non è certo il primo nel suo genere) pone l'accento sul cosiddetto fenomeno del "doctor shopping" fra i pazienti di Hong Kong, specificamente tra quelli affetti da una particolare patologia vescicale.
Il senso del titolo è da ricercarsi nel fatto che (forse per la particolare natura della patologia di cui sono affetti) questi pazienti tendono a ricercare un medico "anima gemella", con cui condividano un "feeling", oltre che convinzioni culturali.
E questo è solo uno dei motivi che spingerebbero questi pazienti a cercare e cercare, rivolgendosi a medici sempre diversi nella speranza di coronare il loro sogno d'amore e trovare "il medico della propria vita".
Questo fenomeno è un nuovo modo di descrivere il cosiddetto "doctor shopping". Anzi, forse è un fenomeno similare e parallelo, che potremmo qui definire "doctor dating".
Classicamente, invece, il "doctor shopping" è definito come l'abitudine a rivolgersi a più figure professionali diverse per il medesimo problema di salute, molto spesso per poter ottenere illecite prescrizioni multiple del farmaco di cui il paziente è dipendente (vedasi http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3552465/).
Questo è particolarmente evidente in quei sistemi sanitari in cui le prescrizioni sono più rigide e restrittive che non in Italia, e la quantità di farmaco dispensata dal farmacista è tassativamente quella necessaria per coprire la prescrizione del medico, non una compressa di più;
Le proporzioni di questo fenomeno possono diventare preoccupanti, tanto che addirittura il "doctor shopping", in alcune realtà, è considerato reato:
- http://www.tn.gov/tnoig/#
- https://www.legislature.mi.gov/documents/2011-2012/billanalysis/House/htm/2011-HLA-4369-3.htm
Il fenomeno è stato spesso affrontato dai media americani, che non mancano di informare dei singoli arresti per "doctor shopping", pubblicando addirittura volti e nomi delle persone coinvolte.
Un altro fenomeno preoccupante è il cosiddetto "doctor shopping per procura", fenomeno in cui i genitori proiettano sul figlio (o meno frequentemente, su di un altro famigliare) le loro ansie ipocondriache.
Ma nella mia esperienza personale, la forma più comune di "doctor shopping" è quella che spinge il paziente a girare di medico in medico perché spera di trovare un dottore che gli dica esattamente quello che il paziente vorrebbe sentirsi dire: "lei ha questa diagnosi", "lei deve fare questo esame", "lei deve prendere questo farmaco", finanche "lei deve fare questo intervento".
Ed è innegabile che il fenomeno della ricerca delle informazioni medico-sanitarie su internet possa amplificare il problema: capita spesso che, indagando sui propri sintomi, un paziente si convinca infatti di avere una determinata malattia, oppure di necessitare di un determinato trattamento. E così il paziente va alla visita pieno di aspettative, che -qualora deluse- spesso gettano il paziente nello sconforto, e lo inducono a sentire un altro parere. E poi un altro, un altro, un altro ancora.
Una volta un paziente è entrato nel mio studio appoggiandomi sulla scrivania una stampata di una pagina internet tratta dal sito di una nota azienda che produce dispositivi medicali impiantabili. Il foglio ritraeva un particolare modello di protesi dell'anca, adatto solo in alcuni casi particolari.
C'è rimasto un po' male quando gli ho detto che non lo ritenevo indicato nel suo caso. Forse però devo avergli ispirato simpatia, perché mi ha detto: "la prego dottore, mi aiuti, perché Lei è il quarto da cui vado, e nessuno me la vuole mettere… non conosce un ortopedico che mi farebbe questo intervento?"
Già anni fa, stavo visitando con il mio Maestro, egli mi diede un insegnamento: mandammo via un paziente dopo più di un'ora di colloquio, senza prescrivergli l'intervento che il paziente voleva ad ogni costo, e di cui non aveva alcun bisogno.
Quando il paziente se ne andò, era piuttosto arrabbiato. Il mio Maestro era amareggiato. Mi disse:
"Questo povero signore se ne va convinto che gli abbiamo fatto perdere tempo e denaro, e invece noi ce l'abbiamo messa tutta per cercare di consigliarlo. Il guaio è che girerà da un medico all'altro finché non troverà l'incauto che lo opera. A quel punto saranno guai per entrambi, medico e paziente".
C'è un fenomeno di "doctor shopping" molto frequente non legato direttamente alle aspettative del paziente, bensì alla natura del disturbo. Vi sono disturbi vaghi o che hanno una presentazione atipica che possono rappresentare una difficoltà diagnostica. Quando il primo medico non riesce a fare diagnosi (o fa diagnosi errata), si chiede una seconda opinione (addirittura dovrebbe essere il medico stesso a farlo). A volte è necessaria addirittura una terza opinione, oppure un consulto collegiale, in cui diversi medici confrontano i loro punti di vista sul caso.
Se anche questo non funziona è facile, per il paziente, entrare nella spirale del "doctor shopping": si visitano moltissimi professionisti, spesso non informandoli del fatto che si sono effettuati altri consulti. E questo peggiora le cose, perché spesso si ottengono pareri discordanti, dispersivi, ed ogni volta si deve ricominciare daccapo l'iter diagnostico-terapeutico, con perdita di tempo e denaro.
Come si fa quindi a creare con il proprio medico un rapporto proficuo di rispettiva fiducia?
E' innegabile che il "feeling", che menzionavo all'inizio, abbia la sua importanza.
Il paziente ed il medico devono trovare un'intesa, motivata dall'obiettivo comune (far star bene il paziente). Ma l'obiettivo comune non è sufficiente. Medico e paziente devono trovare un canale comunicativo efficace e comune, e condividere culturalmente l'approccio al problema, nonché le modalità, nel tempo, per affrontarlo. Se vi sono difficoltà diagnostiche, il paziente lo deve capire, e deve accettare la difficoltà del proprio "caso". Se una malattia è difficile da diagnosticare e curare, è più facile che sia la malattia ad essere "carogna", e non per forza il medico.
Nei casi difficili, quando usato con intelligenza, lo strumento della cosiddetta "second opinion" è sacrosanto. Ma ci vuole tanta onestà, sia da parte del paziente (che non deve nascondere al curante eventuali altri approcci diagnostico-terapeutici paralleli) sia da parte del medico (che deve essere in grado di conoscere i propri limiti diretti e saper essere consulente fino in fondo, consigliando, se necessario, il collega più indicato per il caso specifico, rinunciando a trattare il paziente in prima persona).
Il consiglio che posso dare a tutti quelli che si trovano nel dilemma di una difficile scelta diagnostico-terapeutica: ascoltate sì più pareri, ma mai più di tre.
Ragionate attentamente, rivolgete al medico tutte le domande che vi vengono in mente, infomratevi su conseguenze ed alternative di tutte le procedure.
E ricordate sempre che di norma, le procedure più invasive vanno lasciate per ultime, e se così non è, il medico vi deve dare una valida ragione.
Terminata questa fase, abbandonate ogni indugio, e affidatevi completamente a colui il quale vi ha ispirato più fiducia. Lasciatevi curare secondo i suoi metodi, e dedicatevi anima e corpo alla vostra guarigione e non ad alimentare le vostre ansie cercando di scoprire se magari esiste al mondo qualcuno di più bravo o autorevole di chi magari vi sta curando con dedizione e passione.
Cari pazienti, cari colleghi, mi raccomando! comportatevi saggiamente. E in bocca al lupo a tutti.