Epidurale… sì o no?
Negli scorsi giorni una nota rivista ha pubblicato la notizia riguardo alle scelte dell’attrice americana Mila Kunis per il parto: naturale e senza analgesia epidurale.
Leggiamo uno stralcio dell’articolo: “Mila non si adegua alla scelta di molte donne al mondo, pronte a ricorrere all’anestesia per partorire senza dolore. E non basta, l’attrice ha deciso con il suo Ashton di non medicalizzare in eccesso la dolce attesa e la nascita.”
A leggere così, sembra una scelta singolare e in controtendenza, ma da operatore garantisco che non è vero. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una maggiore richiesta per un parto e un percorso di gravidanza meno medicalizzati e più naturali. Molte donne richiedono di essere protagoniste delle scelte che riguardano il proprio corpo e la propria salute. Ogni gestante ha delle aspettative su un momento delicato come il parto: in quale ospedale avverrà, chi la accompagnerà in sala parto e quali cure desidera o non desidera ricevere.
Sicuramente la scelta se fare o no l’epidurale (negli ospedali che lo consentono) è una delle più importanti, e occorre valutare attentamente pro e contro.
L’analgesia epidurale consiste nella puntura della colonna vertebrale lombare, che consente l’accesso allo spazio sopra alla dura madre, una membrana che ricopre il midollo spinale. In questo spazio viene inserito un piccolo catetere, attraverso cui periodicamente vengono rilasciati dei farmaci, che bloccano la trasmissione degli impulsi dolorifici, ma non di quelli motori, relativi alla funzione muscolare. Infatti, la donna può muoversi liberamente durante il travaglio.
Il vantaggio più ovvio è quello di non sentire dolore, la contrazione viene avvertita solo come indurimento della pancia.
È importante però avere delle aspettative realistiche: l’epidurale non risolve il problema del dolore complessivamente. Infatti, il travaglio si compone di tre fasi: la prima fase è detta prodromi di travaglio, cioè di preparazione, la seconda è il periodo dilatante (si apre il collo dell’utero), la terza è il periodo espulsivo, al termine del quale avviene la nascita del bambino.
L’epidurale può essere eseguita solo a travaglio e dilatazione ben avviata (3-4 cm) e non prima, altrimenti si abbassa il livello di ossitocina e il travaglio non procede come dovrebbe. Il periodo prodromico può durare diverse ore nella nullipara (la donna al primo parto) e non è coperto dall’epidurale. La seconda fase (dilatante) può essere invece coperta dall’epidurale, ma non la terza fase, quella espulsiva. Infatti, soprattutto nella nullipara è richiesta una forza muscolare, che potrebbe non essere sufficiente in caso di analgesia epidurale.
In effetti, l’analgesia aumenta la probabilità di parto operativo, cioè con ventosa ostetrica (e relativa episiotomia), e può rendersi necessario l’uso di ossitocina sintetica per via endovenosa. Inoltre, un recente studio su oltre 42.000 donne evidenzia inoltre che il ricorso all’epidurale aumenta i tempi del travaglio, in media di due ore, per il prolungamento della fase dilatante.
Pertanto, vediamo che medicalizzare una fase del travaglio comporta l’aumento della probabilità di ulteriori atti di tipo medico, e, a mio parere, è importante essere consapevoli di questo aspetto nelle scelte che riguardano il parto.
Come ginecologa, consiglio sempre alle mie pazienti di fare la consulenza anestesiologica per la partoanalgesia, una visita da prenotare in ospedale un paio di mesi prima del parto. Questa è l'occasione per informare la donna e valutare eventuali controindicazioni alla procedura. Sarà poi la partoriente che sceglierà, una volta in sala parto, se vuole ricorrere all’epidurale, tenendo conto anche del consiglio dell’ostetrica (ad esempio, per un travaglio che procede molto velocemente, l’analgesia potrebbe non essere necessaria).
Riferimenti
Cheng YW, Shaffer BL, Nicholson JM, Caughey AB. Second stage of labor and epidural use: a larger effect than previously suggested. Obstet Gynecol. 2014 Mar; 123(3):527-35.