Reflusso gastroesofageo: cosa fare quando la terapia non funziona
Ben un terzo dei pazienti con presunto reflusso gastroesofageo non rispondono o rispondono in modo insoddisfacente alla terapia. Questi pazienti, se non adeguatamente indagati e curati precipitano in un vortice di accertamenti spesso inappropriati e terapie mal gestite che oltre a non risolvere il loro problema sono costose e richiedono tempo ai pazienti stessi e al sistema sanitario.
Perché la cura del reflusso non funziona?
Un inquadramento preciso del problema arriva da una ricerca britannica appena pubblicata.
Per risposta insoddisfacente alla terapia si intende la persistenza di almeno il 50% del sintomo più invalidante dopo almeno 12 settimane di terapia con inibitore di pompa due volte al giorno. La maggior parte di questo paziente appartengono al gruppo della malattia da reflusso non erosiva ovvero pazienti con gastroscopia normale senza lesioni mucose ma ph-metria patologica. Il secondo gruppo è invece costituito da pazienti con cosiddetta pirosi funzionale ovvero con sintomi ma gastroscopia e ph-metria nella norma.
Vediamo nel dettaglio le situazioni possibili:
- Persistenza del reflusso acido: un’errata assunzione della terapia a orari o dosaggi incorretti, la mancata assunzione della terapia, una secrezione acida eccessiva, un rapido metabolismo del farmaco, un’alterazione anatomica significativa come una voluminosa ernia iatale sono le situazioni più comuni.
- Reflusso debolmente acido: questa è una situazione ancora poco definita dove probabilmente una ipersensibilità all’acido da parte della mucosa esofagea gioca un ruolo determinante
- Reflusso non acido: a questo gruppo appartengono i pazienti affetti da reflusso biliare duodeno gastro esofageo e reflusso alcalino gastrico non biliare
- Lesioni mucose esofagee persistenti: in questi pazienti, dopo adeguata terapia la mucosa non guarisce del tutto e microlesioni persistenti sono sensibili a episodi minori di reflusso che diventano però sintomatici
- Ipersensibilità esofagea: sono quei casi con gastroscopia e ph-metria normale che presentano però sintomi importanti correlati agli episodi di reflusso. È la cosiddetta pirosi funzionale.
- Psicopatologia associata: in alcuni pazienti con scarsa correlazione tra sintomi ed episodi di reflusso un livello di ansia, depressione o patologie di interesse psichiatrico superiore alla media è comune. Il meccanismo è ancora poco noto ed in studio ma l’associazione è frequente.
Guarda il video: Reflusso gastroesofageo: 5 domande e risposte
Come trovare la giusta terapia per il reflusso gastroesofageo
Se la cura non funziona bisogna allora capire cosa succede e curarsi meglio, ecco cosa fare:
- Un’accurata valutazione dei sintomi: distinguere pirosi da rigurgito e individuare sintomi dispeptici di varia natura attribuibili ad altre patologie è essenziale così come l’inquadramento psicopatologico.
- Endoscopia: nei pazienti con sintomi refrattari alla terapia la gastroscopia, magari eseguita per via trans-nasale, è essenziale innanzitutto per escludere altre diagnosi, poi per verificare la presenza e il grado di esofagite o eventuale Barrett e le eventuali patologie associate correlate quali l’ernia iatale. In questi casi andrebbero sempre eseguite biopsie anche su mucosa esofagea endoscopicamente normale per escludere l’esofagite eosinofila.
- Manometria esofagea: andrebbe eseguita prima della ph-metria per escludere alterazioni motorie quali l’acalasia le discinesie esofagee.
- Ph-metria esofagea delle 24 ore: eseguita in assenza di terapia per documentare i reflussi patologici e assegnare il paziente ad una delle categorie. Durante la terapia invece andrebbe eseguita la ph-impedenziometria per stabilire una correlazione tra i sintomi e gli episodi di reflusso
Quale terapia scegliere
Le note indicazioni dietetico comportamentali nei pazienti refrattari sono raramente utili.
La terapia con inibitore di pompa può prevedere una modifica del farmaco, del dosaggio o dell’orario di somministrazione in base all’esito degli accertamenti sopra descritti. In alcuni casi possono essere indicati in aggiunta o sostituzione i derivati della cimetidina, i procinetici, i protettori della mucosa, gli acidi biliari o il baclofen in casi selezionati. L’utilizzo di farmaci antidepressivi o di area psichiatrica ha un ruolo nei pazienti con una componente psicosomatica importante.
La terapia endoscopica ha al momento in esame due procedure, la cosiddetta Stretta e la fundoplicatio transorale Esophyx. In entrambi i casi i dati a disposizione non sono sufficienti per considerarle procedure consigliabili. La chirurgia antireflusso, ovvero la fundoplicatio laparoscopica è molto efficace soprattutto nei pazienti che rispondono agli inibitori di pompa ma anche in una certa quota di non responder.
In conclusione un corretto iter diagnostico e un inquadramento preciso permettono di trovare una soluzione adeguata anche in quel gruppo di pazienti che non rispondono a una terapia classica.
Fonte
- D.Sifrim et al.,Gut 2012; 61 (9):1340.1354