Prevenzione tumori: la vita moderna nemica del seno
Tumore al seno: tra i fattori di rischio le abitudini della vita moderna, l'età, la costituzione, la dieta e la vita riproduttiva. Le azioni da intraprendere per la prevenzione.
Abitudini, storia personale e genetica, l'età della prima mestruazione, l'allattamento, l'età della menopausa, l'uso di ormoni e la terapia ormonale sostitutiva, sono fattori molto importanti, alcuni amici e altri nemici del tumore al seno.
Indice
Tumore al seno e stile di vita
Lo stile di vita occidentale e il tumore del seno, secondo i più recenti studi, sembrano essere sempre più in stretta relazione: sicuramente quanto e cosa mangiamo ha un notevole impatto sul rischio di cancro al seno.
A Los Angeles al congresso annuale di Ricerca sul cancro (aprile 2005) è emersa l'ultima certezza: gli acidi grassi Omega 3 proteggono non solo la donna che li assume ma, secondo studi sperimentali, anche la prole (trasmissione del feto in gravidanza e al bambino in allattamento).
Fattori di rischio del tumore al seno
I mutamenti nella vita della donna occidentale, la sua vita riproduttiva e la dieta sono state messe sotto accusa tra le cause del tumore al seno. In particolare fra queste: la dieta, la costituzione fisica, la comparsa precoce della prima mestruazione, il lungo intervallo di tempo tra la prima mestruazione e la prima gravidanza, l'interruzione della gravidanza stessa, l'elevato numero di ovulazioni e il basso numero di gravidanze.
Obesità e sovrappeso
Tra i fattori di rischio dei tumori alla mammella vi sono, senza dubbio, il sovrappeso e l'obesità. Contro il 30% di obesi degli Stati Uniti, in Italia siamo sotto il 10% e, infatti, nel nostro paese il numero di donne che muoiono a causa di questo tipo di tumore è inferiore rispetto alle morti che si verificano fra le donne negli Stati Uniti.
Oltre cento studi hanno esaminato l'associazione del tumore del seno con l'altezza, il peso, l'indice di massa corporea, l'incremento di peso in età adulta e la distribuzione del grasso corporeo.
Studi di correlazione hanno suggerito una relazione tra dieta ricca occidentale e rischio di sviluppare un carcinoma mammario. L'ipotesi più accreditata (per ora a livello teorico) è che l'elevato rischio di tumore al seno sia correlato ad una cosiddetta "sindrome metabolica", caratterizzata da una dieta con elevati consumi di carboidrati raffinati e grassi saturi e da stili di vita sedentari. Il rischio deriva dal fatto che la classica sindrome metabolica che si presenta con alti valori di pressione arteriosa, ipertrigliceridemia, iperglicemia, bassi valori di colesterolo HDL, e circonferenza della vita ampia, è associata ad alti livelli di insulina e ormoni sessuali (1).
Familiarità
La moderna ricerca molecolare ha portato a significativi progressi per quel che riguarda la familiarità. Molto si sa ora sulle funzioni dei geni BRCA1 e BRCA2 che possono indicare le probabilità di sviluppare un carcinoma mammario e per i quali esistono affidabili test genetici.
I risultati di importanti studi avviati negli anni Ottanta, ora disponibili, hanno progressivamente individuato il "pattern" degli ormoni sessuali e le condizioni dismetaboliche come fattori che favoriscono l'insorgenza del tumore mammario. Queste evidenze si affiancano ai fattori di classico rischio, quelli costituzionali e quelli legati alla vita riproduttiva, il cui ruolo nell'eziologia del tumore del seno è confermato da studi più recenti.
Condizioni socioeconomiche
La dimostrazione di tutto ciò è confermata da un maggior numero di tumori nelle donne occidentali rispetto a quello delle civiltà agricole che seguono abitudini e ritmi di vita di un tempo.
Un esempio è l'incidenza del tumore del seno nelle donne cinesi che risulta essere 80 volte più bassa rispetto a quello delle donne cinesi che vivono a Boston: queste ultime presentano infatti la stessa incidenza delle donne americane di Boston.
La frequenza della malattia presenta una ampia variabilità geografica: l'incidenza più elevata si osserva nei paesi occidentali economicamente più sviluppati rispetto all'incidenza 10 volte inferiore che si riscontra nei paesi più poveri del Terzo mondo.
I dati in Europa e in Italia: incidenza più elevata al nord
Anche in Europa e nella stessa Italia la variabilità della incidenza è molto alta, con un gradiente di rischio Nord-Sud: a Varese, Torino, Biella e Genova l'incidenza è di circa 150 casi per 100.000 donne per anno, mentre a Sassari, Ragusa e Napoli i tassi di incidenza sono inferiori ai 100 casi per 100.000 donne per anno.
Tuttavia negli ultimi anni l'aumento di incidenza della malattia è stato più significativo nel Sud per cui le differenze si stanno gradualmente attenuando. Negli anni Ottanta si registravano 20.000 casi per anno, negli anni 90 oltre 30.000 casi e circa 45.000 casi negli anni 2000.
Nonostante però questo incremento della incidenza, i tassi di mortalità per cancro al seno negli anni Novanta stanno diminuendo, soprattutto nelle classi di età in cui vengono offerti programmi di screening mammografici.
Incidenza dell'età sul tumore al seno
Come accade per gran parte dei tumori epiteliali, l'incidenza della malattia aumenta con il crescere dell'età. Tuttavia per il tumore del seno l'andamento descritto non segue quello di altri tumori nei quali il rischio aumenta progressivamente con l'età secondo una curva esponenziale.
Per il tumore del seno invece la curva è esponenziale sino alla menopausa, poi rallenta decisamente negli anni della menopausa nel corso dei quali si può avere addirittura una flessione, per poi riprendere a crescere all'aumentare dell'età con una curva esponenziale.
Questo andamento così specifico rispetto agli altri tumori epiteliali con netta riduzione della curva esponenziale in corrispondenza dell'evento menopausa, ha dato supporto alle ipotesi epidemiologiche correlate alla storia endocrinologia della donna e cioè che il rischio del cancro al seno fosse associato alla vita riproduttiva della donna e in generale al pattern ormonale.
Vita riproduttiva e cicli mestruali
Uno dei primi effetti della civiltà industrializzata occidentale sull'organismo femminile è il menarca (la prima mestruazione) precoce: l'età media della prima mestruazione in Nuova Guinea è di 18,4 anni, mentre negli Stati Uniti e a Hong Kong è di 12,5 anni.
L'apporto calorico eccessivo, non bilanciato da un adeguato dispendio energetico, nelle bambine (o nelle madri durante la gravidanza, che consumano una quantità di cibo superiore al necessario) provocherebbe una maturazione accelerata delle adolescenti da cui la prima mestruazione in età precoce.
Alcuni studi recenti hanno suggerito anche una associazione con brevi cicli mestruali e lunghi periodi di irregolarità mestruale dopo la prima mestruazione. L'insorgenza di un menarca precoce comporta un numero più elevato di ovulazioni con un maggior numero, rispetto a chi ha un menarca in età più tardiva, di stimolazioni ormonali sulla ghiandola mammaria e da qui l'aumento del rischio di tumore.
Poiché un elevato numero di ovulazioni rappresenta un rischio più elevato di tumore al seno, ne consegue che se la donna, come accade nei Paesi del Terzo mondo e nelle società agricole, va avanti ad allattare al seno il suo bambino per almeno 1-2 anni, si produce una soppressione della ovulazione per circa 12-24 mesi, dando riposo a tutto il sistema riproduttivo della mammella con drastica riduzione del rischio.
Gravidanza fattore protettivo del tumore al seno
La gravidanza in sé è un fattore di protezione definitivo a lungo termine, ma nel corso della gestazione e nel periodo immediatamente successivo le donne presentano un più alto rischio di tumore mammario che le loro coetanee non gravide.
La ipotesi più accettata è che l'ambiente ormonale durante la gravidanza possa promuovere la proliferazione di cellule tumorali "silenti" e già presenti in giovane età. Sicuramente però l 'azione protettiva sulla ghiandola mammaria durante la gestazione consiste nella differenziazione cioè nella maturazione delle cellule epiteliali mammarie che è un evento protettivo nei confronti del tumore del seno.
Durante la gravidanza i lobuli, strutture ghiandolari presenti all'interno del seno, maturano: in particolare nella fase finale della gestazione, i lobuli di tipo I maturano in lobi di tipo II e tipo III. Questa maturazione è cruciale perché i tumori si sviluppano nei lobi di tipo I.
Questo fatto dà ragione del perché si continua a raccomandare di anticipare quanto più è possibile la prima gravidanza perché quanto prima avviene tanto prima si ha la maturazione dei lobuli con il conseguente effetto protettivo.
Nel mondo occidentale invece l'età della prima gravidanza è molto elevata per motivi di lavoro, studio o scelta di vita, rispetto alle società agricole.
L'interruzione di gravidanza va considerata invece un fattore in grado di aumentare il rischio di tumore perché, da un lato, viene a mancare la maturazione dei lobuli della fase finale della gestazione, e dall'altro si hanno livelli elevati di estrogeni e di progesterone in grado di provocare un ricambio cellulare all'interno del seno che favorisce la formazione di cloni di cellule con elevata possibilità di mutazioni tumorali.
Fattori ormonali
Insulina e ormoni della crescita
Estrogeni e il sistema cosiddetto Igf-1 (Insulin-like Growth Factor and Igf Binding Proteins) cooperano per stimolare la crescita delle cellule epiteliali. I livelli plasmatici e la biodisponibilità degli ormoni sessuali dipendono dall'insulina, che favorisce la sintesi degli androgeni nell'ovaio e l'espressione dei recettori degli ormoni della crescita (Igf è l'effettore).
Infatti una dieta che abbassa l'insulina consente anche di ridurre i livelli degli ormoni sessuali e di aumentare quelli delle proteine leganti. I livelli plasmatici di insulina dipendono dalla dieta ricca di zuccheri semplici e grassi saturi e in definitiva dal peso corporeo. I livelli di Igf-1 dipendono dalle calorie totali e dall'apporto proteico della dieta in particolare dalle proteine del latte.
Ormoni endogeni ed esogeni
Numerose ricerche e studi osservazionali hanno formulato contrastanti ipotesi eziologiche sulla relazione tra ormoni e insorgenza di tumore mammario. Studi recenti hanno dimostrato che le terapie ormonali sostitutive per il trattamento dei disturbi della menopausa, soprattutto se gli estrogeni sono associati ai progestinici di sintesi, aumentano il rischio di carcinoma mammario. Il rischio è tanto più forte in relazione alla durata della somministrazione e quanto maggiore è l'attività androgenica dei progestinici sintetici utilizzati.
Infatti recenti studi hanno mostrato che trattamenti estrogenaci associati con progesterone naturale che, a differenza di quello sintetico, non possiede attività androgenica, non sono associati ad aumenti significativi del rischio di tumore.
L'azione degli androgeni spiega il fatto che le donne in menopausa presentano una incidenza di carcinoma più elevata per via della più alta concentrazione sierica di androgeni (in particolare testosterone) e estrogeni (in particolare estradiolo e strone).
Prevenzione del tumore al seno
Anche se non si può parlare ancora di raccomandazioni finalizzate a una prevenzione primaria del tumore al seno, i recenti studi ci autorizzano tuttavia a delineare una strategia preventiva che prevede:
- evitare il sovrappeso
- praticare tutti i giorni almeno mezz'ora di attività fisica
- privilegiare i cibi a basso contenuto di grassi saturi
- evitare i trattamenti ormonali in menopausa, soprattutto le associazioni con progestinici di sintesi e per lunghi periodi.
In questi ultimi anni numerosi studi (2) hanno evidenziato il ruolo protettivo dell'attività fisica sia in menopausa che prima. Ovviamente si tratta di studi con differenti metodi di valutazione, ma i risultati autorizzano a supporre che una regolare attività fisica, anche di breve durata (mezz'ora al giorno) possa conferire una protezione del rischio di tumore di circa 30-40%.
L'ipotesi più accettata è che l'attività fisica possa diminuire i livelli ormonali diminuendo la funzione ovarica. È di osservazione comune che giovani donne impegnate in attività sportive agonistiche presentino quadri di amenorrea o cicli anovulatori e pertanto più bassi livelli di ormoni sessuali.
Quando parliamo di ormoni sessuali ci si riferisce anche agli androgeni, che in uno studio randomizzato, sono stati significativamente ridotti a seguito di un programma che prevedeva 12 mesi di attività fisica regolare in un gruppo di donne soprappeso.