Tumore della mammella: un problema antico
I tumori non sono comparsi, come molti credono, con la civiltà moderna. Nei papiri egiziani di Smith (3000 a. C.) e di Ebers (1500 a. C.), come nei testi dell'antica medicina indiana e persiana, troviamo alcuni riferimenti alle malattie della mammella
Viaggio dall'antichità a oggi attraverso gli aspetti medici, culturali e artistici dei tumori della mammella, con la partecipazione di Alfonso Pluchinotta.
I tumori non sono comparsi, come molti credono, con la civiltà moderna. Nei papiri egiziani di Smith (3000 a. C.) e di Ebers (1500 a. C.), come nei testi dell'antica medicina indiana e persiana, troviamo alcuni riferimenti alle malattie della mammella. Altri riferimenti al trattamento chirurgico di questo organo si trovano nei palinsesti di Ninive (2250 a.C.).
Non è possibile sapere quanto frequenti fossero i tumori della mammella a quell'epoca tenendo soprattutto conto del fatto che l'età media delle donne era di circa trent'anni. Come è noto la malattia risulta eccezionale al di sotto dei 20 anni, rara tra i 20 e i 29 anni; a partire dai 30 anni è sempre più frequente per raggiungere un'acme di incidenza intorno ai 50 55 anni.
Le conoscenze sulle terapie e sull'arte chirurgica nell'antichità sono lacunose e incerte.
Risultano rare le segnalazioni di asportazione della mammella con intenti terapeutici: il più delle volte veniva praticata piuttosto come forma di punizione riservata alle prigioniere o alle adultere. Un discorso a parte meritano le Amazzoni che effettuavano l'asportazione della mammella destra alle loro figlie perché potessero meglio impugnare l'arco e la spada e potessero rivaleggiare con gli uomini per la forza ed il coraggio.
Per quanto riguarda invece la cura dei tumori, ai tempi di Ippocrate (460 a. C.) il bisturi e il fuoco venivano riservati ai casi più avanzati, mentre per quelli iniziali si ricorreva all'azione locale di sostanze emollienti quali il grasso d'oca o di maiale, oppure alle applicazioni di mirra o alla somministrazione di brodo di lenticchie.
Al periodo di Ippocrate seguì quello di Esculapio (350 a. C.) ricco di magia e di misticismo. I malati venivano curati nei templi con sortilegi, droghe soporifere e toccature di serpenti. Il pagamento veniva effettuato, a fine cura, con doni di materiale prezioso che raffiguravano l'organo che era stato curato.
Nel periodo romano Celso, operante al tempo di Augusto, per primo stabilì una classificazione clinica dei tumori distinguendoli in tumori iniziali e tumori avanzati.
Si deve a Galeno (130 a. C.) la prima vera descrizione di un tumore della mammella, da cui derivò la parola cancro, e del suo trattamento chirurgico. Stupefacente la precisione con la quale viene descritto l'intervento di asportazione della mammella da parte di Ezio, medico reale dell'imperatore bizantino Giustiniano, e dei medici greci Sorano e Leonida. Quest'ultimo, trasferitosi a Roma, attuava una chirurgia "radicale" dei tumori: "usque ad sanam partem".
Paolo Egineta, chirurgo del VII secolo che aveva compilato una storia completa della chirurgia della mammella fino ai suoi tempi, citò soprattutto quei chirurghi che si erano pronunciati contro il "trionfo della tecnica sopra la ragione" e che avevano diffidato i colleghi dall'operare i tumori troppo estesi per non accelerare la morte della paziente.
Nel Medioevo notevole fu il contributo degli arabi nell'aver conservato le più importanti opere greche e romane della medicina e nell'aver creato le condizioni per la nascita di nuove scienze quali l'astrologia, l'occultismo e l'alchimia.
Avicenna (980-1037) è certamente il medico più rappresentativo di quel mondo scientifico arabo, caratterizzato dalla fusione tra il principio ellenizzante naturale scientifico e l'elemento meraviglioso-fantastico. Le innovazioni tecniche della chirurgia araba si riferiscono all'uso del cauterio anche come tagliente per rispettare il comandamento islamico che proibiva di "sezionare la carne".
Il Medioevo, nonostante la maggioranza dei chirurgi appartenessero a quella categoria malvista di cialtroni vagabondi che esercitavano un'arte tramandata da padre in figlio, segnò tuttavia il costituirsi delle prime vere scuole chirurgiche italiane e delle prime università.
Con il Rinascimento vengono migliorate le conoscenze e perfezionate le tecniche chirurgiche; contemporaneamente si accentuano antichi dilemmi e si aprono nuove problematiche: interventi limitati oppure no, dissezione dei linfonodi ascellari oppure no, conservazione o no dei muscoli pettorali.
Nonostante l'opera di grandi chirurghi (Petit, Bell, Syme, Paget, Velpeu, Pancoast, Moore) il secolo XIX fu caratterizzato da un'ondata di pessimismo per quanto riguarda i risultati della chirurgia.
Senza alcun dubbio il più grande protagonista della chirurgia dei tumori della mammella deve essere considerato W. S. Halsted di Baltimora (1825 1925) che dal 1882 cominciò ad effettuare l'intervento di "mastectomia radicale". Questo tipo di intervento, in qualche caso anche senza indicazione, viene ancora eseguito ai nostri giorni e, tra l'alternarsi di interventi radicali e "super radicali"; è da considerarsi l'intervento più praticato nella prima metà del nostro secolo, sino all'affermarsi di alcune tecniche di "mastectomia modificata" (Patey, Auchincloss, Madden, Handley, Jeis, Jesnick). La tecnica di Patey ha lentamente conquistato buona parte della popolarità riservata alla mastectomia secondo Halsted, che sempre meno frequentemente trova indicazione ai nostri giorni, mentre per i tumori di piccole dimensioni, la quadrantectomia con dissezione dei linfonodi ascellari o del solo linfonodo sentinella seguito dalla radioterapia è divenuto uno dei trattamenti conservativi più utilizzati.
All’Istituto dei Tumori di Milano ed al suo direttore (attualmente dell’Istituto Oncologico Europeo) il merito di averlo imposto all’attenzione di tutto il mondo.
Senza voler entrare nel merito delle scelte terapeutiche, questa premessa ha il solo scopo di fornire alcune informazioni sulle principali tappe della chirurgia della mammella dall'antichità all'era moderna. Abbiamo coinvolto in questo breve viaggio attraverso aspetti medici, culturali e artistici meno conosciuti e attraverso curiosità e aneddoti storici sui tumori della mammella il dottor Alfonso Pluchinotta che ci ha anche fornito il materiale iconografico. Egli si interessa di chirurgia oncologica e ha pubblicato: Manuale di diagnostica e terapia del carcinoma mammario (1979), Conosci il tuo seno (1981), Piccolo Atlante di Patologia della mammella (1982), Un antico dilemma (1982), Senologia (1983), Iconographia senologica (1985), I secoli della senologia (1995), Incanto e anatomie del seno (1997).
Alfonso, come hai cominciato ad interessarti della storia della senologia?
"Inizialmente perché mi ero reso conto che la storia della medicina non è solamente la storia delle idee, dei pensieri e delle tecniche, ma anche la storia dell'umanità, delle persone. Sotto questo punto di vista ero attratto dallo stesso interesse che ho per la letteratura in genere.
Successivamente mi sono accorto che solo attraverso la conoscenza dei fatti del passato si potevano costruire le basi intellettuali della 'filosofia' terapeutica ossia di quegli atteggiamenti che giustificano le scelte terapeutiche, esigenza molto sentita in campo oncologico per controbattere i facili quanto fragili pragmatismi.
Infine per curiosità e anche per divertimento. Gli antichi non declamavano solo sentenze, ma anche esprimevano sensazioni, confessavano condizionamenti, avevano spesso visioni poetiche e immaginarie di non comune fantasia".
Puoi farci qualche esempio?
"Potrei farne parecchi. Parlando della diagnosi dei tumori Galeno scrive: '...allorché, tutti i sintomi sono violenti, nessuno esiterà circa il nome ch'egli dovrà dare a questo disordine, essendo tutti d'accordo di dargli il nome di cancro. Ma è ben naturale il credere che non è da tutti il riconoscere se si tratti di cancro quando il disordine è all'inizio; come nell'agricoltura, quando un germoglio spunta appena da terra, quei soli che hanno gran pratica di questa scienza, sono in grado di dare il nome alla specie nascente'.
Riconoscere i frutti dai germogli è una figurazione molto suggestiva. Sullo stesso argomento, con il linguaggio forbito del suo tempo, così si esprime nel 1750 anche Giovanni Maria Quadrio: 'Se egli è pur vero che nel picciol punto di una velenosa cosa la morte dell'uomo possa starsene appiattita e nascosta, egli è altresì per esperienza conosciuto e verissimo, che in una ghiandetta poco o nulla considerata stassene la malattia del canchero ristretta, e coperta, fin che crescendo, fiera guerra alla sanità e alla vita ne apporta. Per entro adunque di un picciol globo, che, quando divien sensibile, non ha maggior circonferenza di quella che abbiasi il legume, che pisello viene appellato, il mortal seme della malattia si chiude'".
Quali sono i protagonisti più significativi?
"Per quanto riguarda i tumori della mammella direi le pazienti alla stessa maniera dei medici, anzi si potrebbe scrivere una storia del tumore della mammella vista dalla parte delle donne. Questo anche perché spesso i casi clinici venivano ben delineati circa l'età, l'aspetto, il temperamento delle pazienti.
Si potrebbe citare la storia di Atossa, figlia di Ciro il Grande e moglie di Dario (VI sec. a.C.), che era affetta da un voluminoso tumore della mammella che era riuscita a nascondere per molto tempo, essendosene accorta già quando questo era abbastanza piccolo. La donna fu curata e guarita dal medico greco Democede, ma soprattutto l'episodio di Atossa è sintomatico del dramma e delle incertezze delle pazienti che vivono l'esperienza delle malattie della mammella con una complessa problematica psicologica.
C'è poi la storia di Fanny Barney, la novellista inglese autrice di Evelina, che fu sottoposta a mastectomia nel 1818 dal famoso chirurgo napoleonico Larrey. L'intervento avvenne a casa della paziente, senza anestesia e con vicissitudini di vario genere. La Barney ne parla con spirito garbato alcuni mesi dopo in una lettera alla sorella, descrivendo con profonda introspezione gli aspetti psicologici relativi alla comunicazione della diagnosi, all'ansietà per la mutilazione, all'attesa prima dell'intervento, alla diagnosi di una speranza più favorevole, al difficile periodo post-operatorio.
Dello stesso periodo la storia di Ailie, una donna molto dignitosa che accettò di farsi operare da sveglia. Rab, il suol cane fedele, la seguì in ospedale e fu ammesso nell'aula operatoria. Dopo l'intervento scese dal tavolo operatorio, fece con grazia e dignità una riverenza al chirurgo chiedendogli scusa di essere stata malata, e si allontanò appoggiata al marito e seguita dal suo cane che aveva assistito con molta apprensione al suo intervento.
Oltre a molte altre protagoniste, ci sono infine i personaggi storici e della cronaca che, un po' come la contemporanea Betty Ford, avevano suscitato a loro tempo interesse e curiosità. Margherita Luti, la modella preferita di Raffaello che nel quadro La fornarina cerca di coprire con la mano e con un velo la mammella sinistra affetta da tumore. La regina di Francia Anna d'Austria, che ebbe una lunga agonia per un tumore avanzato trattato con impiastri di cicuta ed altri stravaganti presidi dell'epoca. Paolina Bonaparte, morta per un tumore della mammella, come d'altra parte di tumore erano morti due suoi fratelli. E così via".
Secondo te, quale collegamento esiste oggi tra la medicina e la cultura?
Più precisamente, ha ancora senso per il medico la cultura umanistica che faceva parte della sua formazione nel passato?
"Parlare di cultura umanistica del medico o di 'arte medica' è indubbiamente fuori moda. Anch'io sono d'accordo nel rifiutare queste immagini stereotipate del medico del passato, e ritengo che la cultura sia un fatto personale che ognuno deve costruirsi come meglio crede.
Una cultura deve comunque essere coltivata perché rappresenta un vero e proprio strumento di lavoro, indispensabile per avere quella apertura mentale che si richiede a chiunque tratta problematiche complesse con persone molto eterogenee.
Spesso si dimentica che una buona parte della nostra prestazione professionale riguarda il dialogo con la paziente. Soprattutto in certe situazioni difficili (in cui magari sei a disagio e vorresti... fuggire) devi invece capire, trovare le parole giuste, essere dall'altra parte; in quei momenti non hai tempo per consultare il manuale di psicologia, e ti mostri per quello che sei e che vali. Novalis afferma che 'il seno è il petto della donna elevato a mistero'.
Su tutti i misteri si fanno grandi discussioni, si scrivono bei libri, ma sempre con la sensazione di non avere chiarito molto. Anche nel nostro campo qualcosa è scritto nei libri di medicina, qualcosa si impara dal rapporti con la paziente (talora fatti anche solo di sguardi, di gesti, di semplici frasi), ma altro ancora deve essere recepito indirettamente dalle manifestazioni sociali e culturali.
Per cogliere queste sfumature bisogna però essere educati a farlo, ecco quindi che la cultura non è quella informazione di cui la nostra società fa un mito, ma l'educazione a elaborare in proprio. Partendo da questo atteggiamento, anche le cose più semplici diventano insegnamento.
Royer è come se avesse scritto un trattato sui vantaggi dell'allattamento quando con poche parole ha affermato che 'il latte materno possiede contemporaneamente tre qualità che lo rendono l'alimento ideale: il prezzo più conveniente, la qualità migliore e la confezione più attraente'.
Plutarco ha anticipato di duemila anni Freud quando ha affermato che 'nell'uomo la natura ha posto le mammelle in maniera che la madre possa tenere il bambino e sorridergli e parlargli'. Concetto che in altri termini fu ripreso anche dal (simpatico) chirurgo Oliver Holmes che nel 1867 ha affermato che 'un paio di sostanziose ghiandole mammarie ha qualche vantaggio in più rispetto ai due emisferi cerebrali del più edotto dei professori nell'arte di realizzare un fluido nutrizionale per il bambino'.
Tutte le espressioni intelligenti (non solo artistiche, ma anche della moda, del cinema...) aiutano a capire se si ha attenzione e senso critico. Per esempio, sempre in campo senologico, nella letteratura non si trova solamente l'esaltazione dei seni rigogliosi, ma c'è anche chi trova più fantasia.ed immaginazione nei 'piccoli seni sul davanzale di una finestra aperta sopra la vita' (O'Neill). Un buon argomento per tante donne complessate. C'è anche una poesia di L. Bouhilhet, un poeta del secolo scorso, che mi piace immaginare come una poesia d'amore rivolta ad una mastectomizzata (non credo che l'autore si rivolterebbe nella tomba): 'Che m'importa del tuo seno vuoto, o mia amatasi è più vicini al cuore quando il petto è scarno/ed io vedo, come un merlo chiuso nella sua gabbia, /l'amore che si risveglia cantando tra le tue ossa'".
Parlavi prima di filosofia terapeutica, in che cosa consiste?
"Certo non si può esprimere in poche parole. Il padre della senologia Charles Gros, quello cioè che ha creato una specialità a parte circa 25 anni fa, credeva in questa scienza proprio come approccio globale della paziente in tutte le sue componenti fisiologiche, diagnostiche, terapeutiche, oncologiche, psicologiche, intimmente collegate tra loro in un insieme indissociabile.
Un approccio globale, quindi, in cui il medico ha precise responsabilità scientifiche (deve cioè sapere ciò che è rationale ossia ragionevole) ma anche psicoterapeutiche. Lériche, un famoso chirurgo che ha scritto una Filosofia della Chirurgia, circa quarant'anni fa affermava: 'Lo spirito di carità, lo spirito taumaturgico, sono in via di estinzione, respinti dalla dittatura amministrativa e dalla preoccupazione tecnica; la medicina è destinata a perdere la sua anima: meccanicismo dei trattamenti, tariffazione delle prestazioni, consulenze specialistiche in serie senza una mente responsabile, dilagare abusivo dell'arte per l'arte, attrazione incondizionata per uno spirito scientifico o ritenuto tale. Le facoltà di medicina non insegnano più la scienza dell'uomo in toto'.
Visione forse un po' pessimistica, considerando che sono indubbiamente migliorate le conoscenze e la qualità delle prestazioni, ma non lontana da alcune realtà dell'assistenza sanitaria di oggi.
Un bell'esempio di filosofia terapeutica relativa al cancro della mammella è quello espresso dal famoso chirurgo William Sampson Handley nel 1922: 'Io non sono l'unico a credere che la quantità della vita sia il solo obiettivo su cui giudicare i risultati. La qualità della vita è egualmente importante'".
Bisognerebbe quindi modificare alcuni atteggiamenti dei medici?
"A dire il vero ci sono già i fermenti di una medicina più professionale e, soprattutto, più a misura d'uomo. Abbiamo vari 'profeti' che esaltano questi valori con convinzioni talora sinceramente personali ma, più spesso, purtroppo, solo politiche. Tuttavia non sempre l'evoluzione esterna, culturale e di costume, corrisponde poi di fatto a una evoluzione interiore altrettanto sentita, la quale passa invece sempre attraverso una difficile e profonda conquista individuale.
Per quanto riguarda la valutazione clinica personalizzata, inoltre, la situazione è forse peggiorata perché, come dice lo storico Bilancioni, 'nel passato moltissimi degli antichi (chirurghi), raffinati nei loro sensi dalla lunga consuetudine al letto del malato, ebbero delle intuizioni profonde, poiché in esso l'assenza del sussidio della tecnica e della suppellettile scientifica moderna era compensata dall'acutezza dello spirito di osservazione'.
Il problema degli atteggiamenti sbagliati dei medici c'era, comunque, anche nel passato. Per esempio, per quanto riguarda il problema della comunicazione della verità ai pazienti, alcuni medici dell'antichità ammonivano i loro colleghi di dire agli interessati delle cose inesatte finendo talora con il convincere se stessi che le cose sarebbero andate in quel modo.
Sul tema della verità gli antichi erano comunque più corretti di alcuni medici moderni che riescono a delegare questo compito ad altri medici successivi, il che era più difficile nel passato. Inoltre, avendo un rapporto più personale, gli antichi erano in grado di attuare meglio quello che io ritengo il giusto atteggiamento: dire al paziente quella verità che egli è in grado di comprendere".
Oltre che per un diverso rapporto con il medico, per i pazienti in che maniera è cambiata l'assistenza sanitaria nel tempo?
"Il primo ospedale per i malati di cancro fu fondato nel 1740 dal canonico Jean Godinot che, allontanato dall'Università di Reims per le sue idee (che forse non erano poi tanto sbagliate), si rifugiò nelle campagne vicine dove fece una fortuna con lo... champagne. 'Sponsorizzato' anche da Don Perignon in persona, fondò il primo 'ospedale per i malati di cancro per sollevare i loro dolori fisici e morali'.
Anche nei secoli precedenti (e per molto tempo dopo) l'ospedale era prevalentemente una struttura umanitaria, gestita dal clero, che raccoglieva i pazienti poveri; per quanto riguarda le malattie tumorali, le prime associazioni di assistenza si chiamavano 'Cancer Charity' o 'Dame del Calvariò'. Nel XVII secolo l'olandese Tulp fece in un suo testo l'affermazione, non sufficientemente dimostrata, che il cancro era contagioso; di conseguenza i pazienti furono per qualche tempo mantenuti in isolamento e non era amrriesso il loro ricovero in ospedale. Il rischio del contagio fu (quasi) subito smentito, ma poiché i libri erano pochi e rari e venivano utilizzati per tanto tempo, ci vollero molti anni prima che il testo di Tulp venisse considerato superato.
Nello stesso periodo, la maggior parte degli interventi veniva effettuata in casa dei pazienti. Un quadro realistico della situazione si ha in un'incisione olandese del XVII secolo che raffigura un intervento di mastectomia effettuato nella camera da letto della paziente, in presenza del marito e di due serve. La donna è seduta e il chirurgo effettua l'operazione mentre un suo assistente sostiene il braccio della paziente. Un medico scrive a tavolino alcune ricette, mentre (forse) un farmacista sulla sinistra tiene in mano un bicchiere con qualche tonico o droga soporifera; c'è anche un cagnolino che disturba visibilmente gli operatori.
Sarebbe lungo analizzare tutte le modificazioni dell'assistenza sanitaria nel tempo, comunque la situazione attuale, nel bene o nel male, è sotto gli occhi di tutti. Adesso, la struttura è molto più complessa ed efficiente (o efficientistica?) e funziona meglio al servizio della popolazione, anche se talora prevarica il singolo individuo. Le strutture organizzate offrono ai pazienti la possibilità di utilizzare consulenze pluridisciplinari e migliori strumenti diagnostici e terapeutici. Nondimeno tali strutture, che pure offrono una maggiore sicurezza, possono in alcuni casi determinare uno spiacevole impatto psicologico, manifestare il carattere alienante e impersonale della organizzazione programmata, imporre diagnostiche e terapie non sempre giustificate (quello che viene definito 'accanimento' diagnostico e/o terapeutico)".
In che misura si teneva conto, nel passato, delle problematiche psicologiche?
"Sempre in campo oncologico, le valutazioni psicologiche erano abbastanza considerate. Per esempio era ben stabilita la relazione tra cancro e psiche. Ippocrate sosteneva genericamente che si ammalavano di cancro le persone melanconiche, constatazione sostenuta anche da Galeno che più specificatamente affermava anche che raramente ammalavano di cancro alla mammella le donne vivaci.
'L'origine melanconica (del cancro) attizzata dalla malinconia e dalla bile nera' era pure sostenuta da Avicenna (XI sec.), ma una maggiore chiarificazione venne da Ruggero da Parma (XII sec.) che suppose per il cancro una combinazione di cause interne e esterne di cui i nervi erano la fonte principale.
Henry de Mondeville (XIV sec.) sosteneva che i tumori guarivano meglio se la paziente 'desiderava vivamente la guarigione'.
A partire dal XVII secolo la correlazione fra cancro e melanconia fu ampiamente acquisita e furono avanzate alcune ipotesi per dare una spiegazione all'azione del temperamento melanconico sullo sviluppo del cancro. In generale si riteneva che la tristezza determinava una costrizione dei vasi più piccoli che intrappolavano e coagulavano gli umori.
Herman Boerhaave osservava che il cancro era 'difficilissimo da trattare nella donna melanconica' ed anche Lorenz Heister era della stessa opinione tanto da sconsigliare l'intervento chirurgico alle pazienti melanconiche".
Per concludere, quali considerazioni si possono trarre dall'analisi storica relativa alle malattie della mammella nel passato?
"Non mi ritengo un vero storico e quindi posso farti solo alcune considerazioni di ordine pratico.
In generale, per prima cosa, sono d'accordo con quanto dice Augusto Comte che 'non si conosce completamente una scienza se non se ne conosce la storia'. Sempre in generale, bisogna rifuggire da qualsiasi dogmatismo, riconoscere quanto di vero c'è o ci potrebbe essere nelle opinioni, ma soprattutto non confondere le opinioni con i fatti.
In particolare, per quanto riguarda le malattie della mammella, bisogna continuamente meditare su questo semplice assioma: 'le malattie della mammella sono un gruppo eterogeneo di malattie che si manifesta in un gruppo eterogeneo di pazienti'. Questa è una regola da applicare in tutti gli aspetti della malattia tumorale. Poi mi piace ricordare quanto dice Veronesi che nei trattamenti bisogna cercare di ottentere 'il massimo del controllo della malattia, il massimo delle informazioni, il minimo della mutilazione'.
Infine, per quanto riguarda l'atteggiamento personale del medico, vorrei ricordare una sintesi che ho fatto parafrasando altre frasi: il medico dovrebbe 'conservare le cose dimostratesi utili, riflettere con spirito aperto sulle quelle nuove, riconoscere il merito delle originali, provare con giudizio quelle ragionevoli e, soprattutto, agire con umanità'. Charles Gros nelle sue lezioni di senologia amava spesso ripetere una frase di Stotzel che dice: 'l'uomo che guarisce è ben altra cosa dall'uomo che possiede il sapere'. Guarire non è tutto, anche senza dare la guarigione il medico può dare di più, se ha lui stesso qualcosa di più rispetto agli altri".