Radioterapia post-operatoria del carcinoma della prostata: cosa e' certo e cosa e' da chiarire
La radioterapia post-prostatectomia radicale ha un ruolo ormai ben definito nel trattamento del tumore della prostata localizzato
Introduzione
Circa 1/3 dei pazienti sottoposti ad intervento di prostatectomia radicale, in caso di adenocarcinoma prostatico, è destinato ad incorrere in una recidiva biochimica entro i 10 anni dall’ intervento. La radioterapia post-prostatectomia radicale ha un ruolo ormai ben definito nel trattamento del tumore della prostata localizzato. Recenti risultati, di diversi studi retrospettivi e di tre importanti studi prospettici randomizzati, di cui uno con lungo follow-up, hanno evidenziato l’impatto clinico della terapia radiante di completamento “precoce”, in presenza di fattori di rischio patologici come margini chirurgici positivi, extracapsularità ed infiltrazione delle vescicole seminali. Il vantaggio clinico è stato evidente anche in presenza di rialzo biochimico, in fase più “tardiva”, con intento di salvataggio.
Ma chi si avvantaggia di più dell’uso della radioterapia post-operatoria?
Il rischio di recidiva per pazienti con uno solo dei fattori patologici “sfavorevoli”, come infiltrazione extracapsulare, compromissione delle vescicole seminali e margini di resezione infiltrati, varia dal 30% al 68%. Gli studi randomizzati, con più di 1000 pazienti arruolati, hanno dimostrato che la radioterapia diminuisce significativamente il rischio di malattia clinica evidente, di ricaduta biochimica e di necessità di successiva terapia ormonale, quest’ultima oltretutto gravata da una morbidità non trascurabile. Si suggerisce che la terapia adiuvante dovrebbe essere considerata in tutti i pazienti in cui l’esito isto-patologico della prostatectomia dimostra un alto rischio di recidiva locale; attendere un rialzo del PSA, prima di considerare la radioterapia, è considerato secondo autorevoli autori, un approccio senza supporto dalla letteratura .
Anche sulla variabile “tempo”, relativa alla distanza tra la prostatectomia radicale e l’inizio della radioterapia, sono in corso diverse discussioni scientifiche. Starebbe emergendo, da alcune serie, un possibile effetto meno vantaggioso quando la radioterapia è prescritta nell’immediato post-operatorio(entro i primi 60-90gg): la causa potrebbe essere un ridotto tempo a disposizione per il recupero funzionale-anatomico, immediatamente dopo la violazione chirurgica, con possibili correlazioni dirette con la minore tolleranza dei tessuti sani pelvici al trattamento radiante .
Una importante questione ancora aperta rimane il ruolo della “terapia ormonale” e le modalità di combinazione con la radioterapia post-operatoria. Il contributo clinico della terapia di deprivazione androgenica dopo o insieme alla radioterapia adiuvante, pur considerando gli sforzi di ricerca, è comunque ancora da chiarire.
Abbastanza recentemente è emerso inoltre come il rischio di ricaduta, in pazienti sottoposti a prostatectomia radicale e non sottoposti a terapia radiante adiuvante, è prevalentemente locale con un sorprendente basso tasso di metastasi a distanza. Questa osservazione contribuisce a focalizzare l’interesse sulla “dose terapeutica ottimale” sul letto operatorio: da più ricerche è emerso chiaramente il rapporto di stretta correlazione tra dose di radioterapia ed efficacia del trattamento. Ciò nonostante, la dose normalmente consigliata nelle serie post-operatorie è 20-25% più bassa rispetto a quella adottata per l’irradiazione a scopo radicale(60-64 Gy versus 74-81 Gy). Alla base di queste scelte terapeutiche c’è, oltre al timore della tossicità attesa con dosi più alte sui tessuti sani, la considerazione che la quantità di malattia sub-microscopica residua è considerata, dopo la prostatectomia radicale, molti logaritmi inferiore, dal punto di vista numerico cellulare. Infatti, i due grandi studi randomizzati, EORTC 22911 e SWOG 8794, hanno investigato sul beneficio della radioterapia post-operatoria adottando dosi di 60-64 Gy. Solo pochi studi retrospettivi hanno riportato dosi maggiori nella serie adiuvante.
Il ruolo della “irradiazione della pelvi”, coinvolgente le aree dei linfonodi di drenaggio è ancora oggetto di dibattito, soprattutto nelle serie post-operatorie. Il razionale della indicazione è quello di sterilizzare micrometastasi occulte, così come avviene per altre patologie neoplastiche a rischio di diffusione linfonodale. Lo studio RTOG 9413 ha evidenziato un beneficio clinico in termini di sopravvivenza, libera da malattia e assoluta, nelle serie di radioterapia radicale associata a terapia ormonale neoadiuvante. Questa evidenza ha indotto molti radioterapisti a considerare il rapporto rischio/beneficio dell’introduzione della irradiazione precauzionale della pelvi in pazienti con malattia prostatica localmente avanzata. Una possibilità sarebbe quella di considerare selettivamente l’irradiazione della pelvi anche in fase post-operatoria, in pazienti candidati a radioterapia, adiuvante o di salvataggio, in caso di linfoadenectomia limitata e in presenza di fattori patologici di alto rischio di colonizzazione linfatica regionale. Dalla serie post-operatoria mono-istitutuzionale dell’Istituto San Raffaele, l’uso routinario di tecniche ad intensità modulata risulterebbe in una riduzione della incidenza cruda della tossicità acuta genito-urinaria, gastrointestinale alta e rettale; il maggiore vantaggio in termini di riduzione di tossicità intestinale è risultato soprattutto in caso di comparazione tra la Tomoterapia elicale (IMRT-IGRT) e la serie con tecnica tridimensionale (3DCRT). La riduzione drastica della tossicità è da addebitare, molto probabilmente, alla capacità della Tomoterapia, maggiore della IMRT statica con acceleratore lineare e ancora di più rispetto alla 3DCRT, nel risparmiare il retto e le anse intestinali dalle alte dosi.
L’uso clinico in aumento di “nuove tecnologie” di radioterapia, come “la radioterapia ad intensità modulata” (IMRT), ha migliorato, in alcune serie, i dati di tossicità riportati. Non c’è comunque ancora dimostrazione di un beneficio in termini clinici, rispetto alle tecniche standard. L’ingresso della radioterapia a guida di immagine (IGRT), relativamente al possibile miglioramento sulla precisione della ripetitività del trattamento, ha conseguito una riduzione al minimo dei margini di set-up, come dimostrato da vari studi.
In conclusione, mentre ormai è acclarato il ruolo della radioterapia adiuvante in caso di fattori prognostici “sfavorevoli” come margini positivi, extracapsularità, infiltrazione delle vescicole, margini positivi e rialzo del PSA, rimangono ancora da definire importanti questioni come la giusta “dose”, il “timing” più corretto per minimizzare gli effetti collaterali in fase adiuvante, i volumi da irradiare, la associazione con la terapia ormonale. Sebbene tecniche e tecnologie innovative quali l’IMRT e L’IGRT, nelle loro varie declinazioni (Tomoterapia, Linac, ecc), avrebbero dimostrato un miglioramento della tossicità acuta al trattamento, rimane ad oggi non definibile l’impatto sull’incremento di efficacia, rispetto alle tecniche convenzionali.
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