La ricerca empirica nella terapia strategico-paradossale
Sul finire egli anni sessanta una nuova concezione di fare psicoterapia si fece strada grazie all’opera di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto in California . Questi, partendo da una serie di ricerche antropologiche sulla comunicazione e dallo studio degli effetti rapidi nella risoluzione di sindromi patologiche di Milton Erickson
Introduzione
Sul finire egli anni sessanta una nuova concezione di fare psicoterapia si fece strada grazie all’opera di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto in California.
Questi, partendo da una serie di ricerche antropologiche sulla comunicazione e dallo studio degli effetti rapidi nella risoluzione di sindromi patologiche di Milton Erickson, un giovane psichiatra che utilizzava il metodo ipnotico con una modalità piuttosto creativa attraverso l’utilizzo di metodi suggestivi indiretti, paradossali e metafore, diedero il via alla strutturazione di una modalità terapeutica rivolta a cercare soluzioni immediate indipendentemente dalle cause di queste.
Misero a punto una modalità terapeutica definita strategico-paradossale volta a modificare le modalità di perpetuazione di una sintomatologia patologica intervenendo solo sui suoi processi pragmatici immediati.
Il principio di base era quella della cosiddetta prescrizione del sintomo, ossia rendere intenzionale una sintomatologia che si voleva eliminare cambiandone quindi il suo significato originario qualunque esso fosse, ristrutturandone la sua consistenza epistemologica con aspetti non più negativi e permettendone un maggior controllo da parte dei pazienti (*).
Numerose scuole , soprattutto di stampo sistemico, oggi adottano gran parte di questa logica nella loro pratica clinica e numerosa è la produzione di documentazione su tale modello. Questo lavoro vuole passare in rassegna gli studi empirici più significativi con il tentativo di far luce sulla validità di questo approccio.
La ricerca
La maggior parte di questi studi fa riferimento ad una varietà di tecniche che, seppur differenti, hanno in comune la medesima logica epistemologica basata sulla prescrizione paradossale del sintomo stesso anche se definita in modo differenziato da autori diversi (prescrizione del sintomo, connotazione positiva, intenzione paradossale) e che possiamo riassumere sotto la denominazione di terapia paradossale, oggi utilizzata come sinonimo di terapia breve strategica a seconda delle scuole.
Nel 1962 Gerz utilizza la tecnica dell’intenzione paradossale del sintomo (ossia imponendo di esasperare e/o compiere intenzionalmente le manifestazione sintomatiche della patologia trattata) su pazienti fobici e ossessivo compulsivi riportando una guarigione completa di 22 pazienti su 29 con disturbo fobico di cui 5 in modo significativo, mentre 2 non mostravano alcun miglioramento, invece su 6 pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo segnalò 4 guarigioni totali e 2 guarigioni significative intese come la capacità di un ritorno dei pazienti a lavoro (1).
nel 1966 ancora Gerz tratta 51 casi, senza tuttavia alcuna selezione del campione utilizzato, mediante l’utilizzo dell’intenzione paradossale del sintomo. Egli riporta una percentuale di successo del 75,8% nei disturbi di tipo fobico, un 66,7% per i disturbi ossessivo-compulsivi ed un 68,8% per disturbi gravi che l’autore definisce pseudo nevrotici-schizofrenici. (2)
Nel 1972 Solyman e colleghi addestrarono ad un esercizio di prescrizione volontaria di pensieri disturbanti 10 soggetti con disturbi ossessivi senza però alcun gruppo d controllo. Dei dieci 8 eseguirono gli esercizi secondo l’addestramento, 5 di questi ottennero un miglioramento e 3 nessuno (3).
Sul trattamento sintomatico della fobia di urinare nel 1979 Ascher riporta i dati di un lavoro di prescrizione paradossale su 5 soggetti . Dopo aver valutato il grado di gravità ed un precedente trattamento di desensibilizzazione sistematica senza risultati furono eseguite 5 sedute in cui ai soggetti si chiedeva di astenersi volontariamente dall’urinare. Tutti mostrarono un miglioramento nell’arco di poco tempo in termini di riduzione dell’ansia durante la minzione e la persistenza dei risultati ad un follow up di 6 mesi (4).
Sempre nel 1979 questa volta però mediante la presenza di gruppi di controllo e distribuzione randomizzata, Ascher e colleghi utilizzarono la tecnica dell’intenzione paradossale nella terapia dell’insonnia. 5 soggetti vennero assegnati a 5 gruppi ognuno rispettivamente trattato con rilassamento progressivo, controllo degli stimoli, intenzione paradossale, un gruppo placebo ed un gruppo di controllo senza alcun trattamento.
Dopo un trattamento di 4 incontri settimanali vennero raccolti , mediante questionario, una serie di dati riguardanti l’insonnia e risultò che i tre gruppi trattati ebbero un miglioramento significativo rispetto al placebo e al controllo ma senza alcuna differenza tra i tre trattamenti diversi.
Una riedizione del lavoro fu effettuata dagli stessi autori su 25 pazienti affetti da problemi di insonnia distribuiti in modo randomizzato rispettivamente ad un gruppo trattato con intenzione paradossale, un gruppo placebo e d un gruppo di controllo, i risultati della ricerca evidenziarono che la procedura con intenzione paradossale determinò un significativo miglioramento rispetto al placebo e al controllo.(5)
Ancora nel 1980 Gli stessi autori scelsero 50 soggetti con insonnia cronicizzata da almeno nove anni. I soggetti furono assegnati in modo casuale a 4 gruppi, due di questi trattati con intenzione paradossale di cui uno con istruzioni riguardanti la scelta di non dormire per evitare l’ansia e la preoccupazione di non dormire mentre all’altro si chiedeva di non dormire solo per concentrarsi su quei pensieri che generavano angoscia per meglio inquadrarli per un prossimo trattamento.
Ad un terzo gruppo, utilizzato come placebo, fu chiesto di elaborare una lista di azioni che in genere si fanno prima di andare a letto ed un quarto gruppo in lista d’attesa come controllo. L’unico Gruppo che evidenziò un miglioramento significativo fu quello trattato con l’intenzione di non dormire per evitare il rapporto tra preoccupazione e incapacità di addormentarsi (6).
Ed infine, in uno studio sull’intenzione paradossale per trattare l’evitamento nei soggetti con disturbi agorafobici, vennero formati due gruppi, l’uno trattato con sei settimane di esposizione graduale seguito da prescrizione con intenzione paradossale e l’altro solo con intenzione paradossale.
I risultati hanno evidenziato come il gruppo con intenzione paradossale ha ottenuto un miglioramento significativo rispetto al gruppo precedente in seguito allo stesso periodo di esposizione graduale (7).
Una ricerca empirica di Watzlawick e colleghi del Brief Therapy Center fu effettuata per determinare la validità di diverse tecniche di tipo paradossale, i risultati furono suddivisi all’interno di una serie di criteri oggettivi che permisero di classificare i dati in successo, miglioramento significativo e insuccesso con una valutazione da parte di un operatore rimasto estraneo al processo terapeutico.
Furono trattati 236 soggetti senza tuttavia alcuna suddivisione del tipo di problema trattato. Gli autori riportarono un miglioramento globale del 72% Suddiviso in 40% di successi, 32% di miglioramento significativo e 28% di insuccessi (8).
Un lavoro di ricerca sul singolo caso sul modello sperimentale A B A B ossia A (valutazione del livello di partenza del comportamento bersaglio variabile dipendente) , B (somministrazione del trattamento, variabile indipendente) A (sottrazione del trattamento) e ancora B (somministrazione del trattamento). Si tratta di un modello di ricerca accettato con lo scopo di avere un relativo controllo sulle variabili pur sul singolo caso.
Tale disegno fu quindi effettuato su un bambino di 9 anni con diagnosi di encopresi al quale furono date istruzioni con prescrizioni paradossali. Nell’arco di un anno fu evidenziato un costante miglioramento del disturbo (9).
Un ulteriore lavoro di confronto con trattamento paradossale rispetto ad un trattamento di esposizione in vivo fu effettuato su soggetti con fobia di parlare in pubblico divisi tra soggetti con una fobia semplice e soggetti con un ulteriore livello di gravità della fobia, ossia il timore di avere paura. Il trattamento paradossale rivelò un miglioramento significativo in soggetti con la cosiddetta paura della paura (10)
Una serie di studi sulla terapia breve strategica sono stati effettuati sul trattamento di adolescenti con disturbi della condotta e/o abuso di sostanze stupefacenti.
42 soggetti ospiti di una clinica psichiatrica infantile sono stati intervistati in un arco di tempo percorso tra i 6 e 18 mesi dall’interruzione del trattamento di terapia breve strategica evidenziando una soluzione duratura dei problemi in una elevata percentuale di casi senza ricadute e senza alcuna richiesta di interventi successivi (11) Presso il Center for Family Studies dell’Università di Miami sono stati condotti rigorosi studi sul trattamento terapeutico, mediante approcci sistemico paradossali sul modello strategico di Jai Haley e Salvador Minuchin, su adolescenti con diagnosi di disturbi della condotta e abuso di sostanze.
Tali studi effettuati nell’arco di tre decenni hanno confermato sia la loro efficacia sia la loro efficienza, quest’ultima intesa come velocità nell’ottenimento dei risultati. (12).
Joel Katz, dell’Università del Canada, ha effettuato una revisione della letteratura sulle tecniche terapeutiche con prescrizione paradossale del sintomo ed ha concluso che esse possono essere considerate come un trattamento elettivo per l’insonnia e per tutti quei casi particolarmente resistenti che comprendono una elevata quota d’ansia come i disturbi ossessivi, agorafobici, fobia di urinare e disturbi psicosomatici intestinali ed, infine, esamina una serie di ipotesi che sono alla base della relazione tra prescrizione del sintomo e cambiamento terapeutico (13).
La ricerca indiretta (la Scuola sistemica)
Ulteriori studi empirici sulle tecniche di terapia paradossale possono essere presi in considerazione attraverso lo studio dell’efficacia delle terapie sistemico-relazionali sui disturbi psicotici. Lo spunto di partenza di un trial italiano è stato lo studio clinico della Selvini Palazzoli con il suo gruppo di ricerca della Scuola di terapia famigliare di Milano ed il loro approccio basato sulla connotazione positiva e prescrizione del sintomo.
La loro ricerca clinica, che va distinta dalla ricerca empirica, può essere considerata uno stadio preliminare i cui risultati osservati in ambito prettamente clinico possono essere sottoposti a verifica empirico-sperimentale.
Di recente, infatti, autori italiani hanno effettuato uno studio prospettico longitudinale della terapia sistemica, basata sul modello della Selvini Palazzoli, sulla schizofrenia. Lo studio ha preso in considerazione 40 pazienti con le rispettive famiglie divise a caso in due gruppi, 20 sottoposte a terapia sistemica associata a trattamento rutinario della schizofrenia consistente in colloqui psichiatrici per le valutazioni farmacologiche e 20 sottoposte al solo trattamento rutinario. Ed un follow up di 12 mesi.
I risultati emersi hanno evidenziato un miglior andamento clinico della malattia ed una migliore compliance farmacologica nei pazienti trattati con terapia sitemico-famigliare.
Solo 3 pazienti (15%) avevano ottenuto delle ricadute rispetto a 13 (65%) dei pazienti di controllo mentre la compliance farmacologica nel gruppo sperimentale fu del 100% rispetto al 65% dei soggetti di controllo. Gli autori concludono che questi risultati significativi incoraggiano l’utilizzo di questo approccio nell’intervento integrato dei disturbi schizofrenici.(14)
I modelli psicoterapici di tipo sistemico relazionale, pur essendo sostenute dai principi epistemologici della teoria dei sistemi di Ludwig Von Bertalanffy e dell’interazione degli individui, sotto l’aspetto squisitamente clinico utilizzano interventi derivati dal modello strategico della Scuola di Palo Alto e che ha ispirato , a sua volta, i principi clinici della Scuola di Milano. Essi possono essere così riassunti:
Reframing, (ristrutturazione e alterazione dell’interazione famigliare modificando punteggiature nella comunicazione dispiegando e favorendo i processi circolari anzichè lineari).
Connotazione positiva (rivalutando in positivo l’interazione sintomatica e/o la sintomatologia presentata invece dai pazienti in termini negativi e/o squalificanti, è il preludio della prescrizione del sintomo).
Prescrizione del sintomo (si investe il sintomo di un nuovo significato epistemologico, lo si impone modificandone la sua valenza originaria).
Metacomunicazione (si dispiegano i significati relazionali presenti nella comunicazione distinguendoli dal loro contenuto) (15).
Per tanto, avendo i modelli sistemici una base epistemologica comune alle scuole citate appare concettualmente corretto, per valutare la forza degli interventi strategico-paradossali, prendere in considerazione una recentissima meta-analisi apparsa su Family Process che analizza l’efficacia della terapia sistemica per il trattamento dei disturbi mentali.
Essa prende in considerazione 38 studi effettuati in modo randomizzato e controllato in cui sono stati trattati pazienti con diagnosi di depressione, schizofrenia, disturbi del comportamento alimentare, disturbi d’ansia e abuso di sostanze.
I risultati sono stati stabiliti con dei follow up delle durata massima di 5 anni. Gli autori concludono, sulla base di 34 studi positivi, che la terapia sistemica è supportata da prove di efficacia per il trattamento di almeno cinque gruppi diagnostici sui disturbi citati (16).
La ricerca-intervento (la Scuola di Arezzo)
Un ulteriore filone di ricerca si è andato costituendo a partire dal 1989 in Italia ad opera di Giorgio Nardone nello studio e valutazione della terapia strategica sia a livello di efficacia sia a livello di efficienza (rapidità dei risultati) mediante l’utilizzo di un modello preso in prestito dalla ricerca sociale, ossia il modello di ricerca intervento concettualizzata da Kurt Lewin negli anni 50 il cui scopo era quello di intervenire all’interno di un gruppo, una comunità, un sistema sociale con lo scopo di conoscere i processi modificandoli. (17) i principi ad essa ispirata nella ricerca di Nardone possono essere così definiti:
Simultaneità (nel momento in cui si cerca di comprendere un fenomeno si opera un cambiamento nello stesso)
Modificazione del Campo (obiettivo della ricerca è il cambiamento)
Riproducibilità (il processo che induce il cambiamento deve essere riproducibile) (18)
Con tale modalità di ricerca i dati raccolti vengono divisi per patologia e valutati in base a casi risolti, migliorati, parziali, immutati, drop-out, prendendo in considerazione non solo le percentuali di efficacia ma anche i relativi tempi di risoluzione.
La ricerca intervento, pur senza un gruppo di controllo, ha permesso di verificare come stimoli inadeguati non ottenevano i risultati ipotizzati e come stimoli specifici ottenevano reazioni specifiche permettendo di avere un “relativo” controllo sul rapporto causa-effetto tra stimolo e risposta.
La tecnica A funziona per la patologia A, la stessa tecnica non da risultati per la patologia B, conferendo informazioni sul funzionamento della patologia trattata e quindi la rivalutazione dei protocolli di intervento.
Tale modalità ha addirittura permesso di classificare e descrivere, secondo gli autori, nuove forme evolute nella diagnosi del disturbo del comportamento alimentare (19) la cui trattazione esula dagli intenti di questo lavoro.
Gli autori raccolgono i risultati dei trattamenti effettuati nell’arco di 2 anni su un totale 2281 soggetti tra il 2000 ed il 2002 riportando un tasso di miglioramento totale dell’80% con una media di 11 sedute. (20) Tali risultati, ovviamente, vanno considerati con tutti i limiti di un lavoro effettuato senza gruppi di controllo e la necessità di conferme mediante disegni sperimentali di tipo empirico. Seppur degna di considerazione scientifica la ricerca intervento di questi autori, a mio avviso, va considerata più sul versante clinico che empirico.
Conclusioni ed osservazioni
Dall’osservazione della letteratura esistente sembra che i dati abbiano una discreta consistenza per affermare che la terapia strategico-paradossale può essere considerata come intervento d'elezione per quei disturbi in cui una certa quota di ansia necessiti di un contenimento immediato, o in cui la sintomatologia è particolarmente invalidante come nei disturbi fobici e ossessivi e in quei soggetti con una certa resistenza al cambiamento.
Di particolare efficacia appare l’utilizzo delle strategie paradossali quando vengono applicate all’intero sistema famigliare anche in psicopatologie particolarmente gravi . In quest'ultimo, modificandone la sua epistemologia, gli interventi sembrano permettere una maggiore compliance terapeutica ed una marcata adesione ad altre forme di trattamento integrato.
Tuttavia la ricerca appare particolarmente complicata poiché alcune tecniche paradossali sono poco distinguibili dalle tecniche classiche utilizzate in ambito comportamentale o, per lo meno, si fondano sugli stessi principi fisiologici.
L’ordalia di Haley (21), che consiste nel far seguire un comportamento indesiderato da compiti sgradevoli e/o eseguirli in condizioni frustranti, può essere paragonata al condizionamento avversivo dei comportamentisti così come l’utilizzo di strategie di distrazione degli strategici somigliano, sotto certi aspetti, alla desensibilizzazione sistematica di Wolpe (22) e ancora l’intenzione paradossale, nella cura delle ossessioni, è paragonabile alle tecniche di immersione e flooding nel momento in cui i comportamentisti chiedono ai paziente di rievocare i pensieri disturbanti allo scopo di esporsi ad essi ed immergersi (23).
Potremmo affermare che lo studio di determinati interventi comportamentali confermi, indirettamente, l’efficacia di specifici interventi di tipo paradossale così come avviene per la ricerca sistemico-relazionale che, seppur lavorando sui sistemi e le loro interazioni , applicano concetti e metodi di stampo strategico-paradossale.
Un ulteriore difficoltà è che la pratica clinica assume forme diverse rispetto a quella empirico-sperimentale in virtù dell’infiltrazione di diverse tecniche appartenenti ai modelli più diversi nell’ambito dello stesso terapeuta, per tanto non è difficile che tecniche comportamentali e strategiche possano essere applicate volontariamente o meno, seppur con intenti epistemologici diversi, ma con gli stessi processi operativi da terapeuti che appartengano a tutt’altro modello, così come non è raro che uno strategico possa esprimere interpretazioni di tipo analitico.
L’abate e Weeks evidenziano come già nel 1914 Alfred Adler ,nella sua pratica clinica, utilizzava modalità praticamente identiche a quelle paradossali quali richiedere al paziente di esercitarsi nel comportamento sintomatico con il tentativo di migliorarlo o di profetizzargli una ricaduta , così come Fritz Perls chiedeva di esagerare alcuni comportamenti sintomatici con l’idea che fossero celate e/o alterate comunicazioni sottostanti (24).
Vi è sempre celato il rischio che all’interno di un protocollo sperimentale un operatore utilizzi metodi e tecniche “pure” che un paziente non incontrerà mai in un contesto prettamente clinico. Il mezzo terapeutico è mediato dalla comunicazione umana dell’operatore anch’egli portatore della propria esperienza personale e dalla quale non può in nessun modo separarsi.
Riferimenti e note
(*) per una presentazione dettagliata dell’opera del Mental Research Institute di Palo Alto si vedano l’opera di Watzlawick P.et al, pragmatica della comunicazione umana; 1967. e Change,sulla formazione e soluzione dei problemi, 1974, Haley J. Terapie non comuni, 1976.
(1) Gerz H. The treatment of the probi and obsessive-compulsive patient using paradoxical intention. Journal Neuropsychiatry, 1962, 3, 375-387
(2) Gerz H. Experience with the logotherapeutic technique of paradoxical intention in the treatment of phobic and obsessive-compulsive patients. American Journal of Psychiatry, 1966, 123 548-553
(3) Solyman et. al. Paradoxical intention in the treatment of obsessive thoughts: a pilot study. Comprehensive Psychiatry .13, 291-297.
(4) Ascher L. Paradoxical intention in the treatment of urinary retention. Behavior Research and Therapy, 1979, 17, 267-270.
(5) Ascher L. Turner R. Paradoxical intention and insomnia: an experimental investigation.Behavior Research and Therapy, 1979, 17, 408-411
(6) Ascher L. Turner R. A comparision of two methods for the administration of paradoxal intention. Behavior Research and Therapy, 1980, 18, 121-126.
(7) Ascher L. Employing paradoxical intention in the treatment of agoraphobia. Behavior Research and Therapy, 1981, 19, 533-542.
(8) Watzlawick et . al. A Brief therapy: focused problem, resolution, Famly Process, 1974, 13, 141-168.
(9) Philip H. Bornstein . Paradoxical instruction in the treatment of encopresis and chronic constipation: An experimental analysis. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry. 1981, 2, 167-170.
(10) David E. Schotte et. al. Paradoxical intention and recursive anxiety Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry.1999, 30, 71-79.
(11) Eisenberg J, Wahrman O. Brief strategic therapy in a child community clinic. A follow-up report. The Israel Journal of Psichyatry ad related scienzes 1994;31(1):37-40.
(12) Robbins. M., Horigian, VE., Brief strategic family therapy: an empirically-validated intervention for reducing adolescent behavior problems. Praxis der Kinderpsycholegie und Kinderpsychiatrye . 2008;57(5):381-400.
(13) Joel Katz ., Symptom prescription: A review of the clinical outcome literature Clinical Psychology Review. 1984, 6. 707-711.
(14) Bressi C., Lo Baido R., et al. Schizophrenia and the clinical efficacy of the systemic family therapy: a prospectic longitudinal study, Rivista di psichiatria, 2004, 39, 3 197.
(15) Watzlawick P.et al, pragmatica della comunicazione umana; New York , 1967.
(16) Von Sydow K. et al The efficacy of systemic therapy with adult patients: a meta-content analysis of 38 randomized controlled trials. Family Process, 2010 . 49(4):457-85.
(17) Lewin, K. . Field theory in social science; selected theoretical papers. New York, 1951.
(18) Paganucci C., La terapia nella ricerca,la ricerca nella terapia, Rivista Europea di Terapia Breve Strategica e Sistemica N. 1 – 2004.
(19) Nardone G. Verbitz, Milanese R., Le prigioni del cibo . Milano 1999.
(20) Nardone G. Aloe G. Rivista Europea di Terapia Breve Strategica e Sistemica N. 1 – 2004.
(21) Haley J. Il terapeuta e la sua vittima, Roma ,1985.
(22) Wolpe J. Tecniche di terapia del comportamento, 1984
(23) Parkinson L. Rachman S. are intrusive thoughts subject to Habituation? Behavior Research and terapy, 18 409-418.
(24) L’Abate L., Weeks G., psicoterapia paradossale 1982