“Mio figlio non mi ascolta”: alcune indicazioni psico-educative
Dire di "No" è una prova per ogni genitore. Ma perchè non dire sempre "Sì"?
“La mia bambina è proprio terribile: continua a piangere finchè non ottiene quello che vuole!”
“Lo so che rientrare alle 2 di notte a 13 anni è sbagliato, ma come glielo vieto?”
“Guardi, provi lei a dirle di no: mette su una scenata, ed io sono troppo stanco per darle retta!”
Quante volte ci è capitato di dire frasi come queste, o di sentirle da un amico, un parente, un vicino di casa?
Sono piccoli/grandi difficoltà che i genitori, prima o poi, si trovano costretti ad affrontare, e testimoniano una delle maggiori criticità connesse all’educare: quella di aiutare i figli a tollerare le piccole e grandi frustrazioni della vita.
Perché dire “NO”?
E’ una buona domanda. Dire “no” ha delle conseguenze immediate che risultano spiacevoli per tutti.
Ai genitori impone il dolore di rifiutare qualcosa ai loro figli, di vedere la delusione, la rabbia o la tristezza sul loro volto, di stare in contatto con le sensazioni spiacevoli che questo può indurre in loro stessi. E’ certamente più difficile, e molto meno gratificante, che dire “sì”.
Nei figli, l’effetto è abbastanza differente, e varia di persona in persona.
Vi sono bambini e ragazzi che fanno spallucce, magari tengono un po’ il broncio, ma poi, per amore o per forza, accettano la limitazione imposta. Altri intavolano estenuanti trattative, cosa in cui sono particolarmente abili gli adolescenti. Una volta accettato il gioco, per i genitori si prospettano lunghe discussioni, al confronto delle quali gli scontri sindacali appaiono delle amene chiacchierate!
In questi casi, una strategia utile è chiedersi: “Ma perché sto contrattando?”: se un genitore è profondamente convinto della bontà della sua indicazione, non è necessario sottoporla al vaglio del figlio prima di "renderla esecutiva".
In altri casi, si assiste a vere e proprie “escalation” di rabbia da parte dei figli, che non vogliono accettare alcuna limitazione alle loro richieste di gratificazione immediata. Tutto ciò che fanno (e non è poco!) è allora punire efficacemente e sistematicamente i genitori con grida, piccoli “scioperi”, reazioni più o meno aggressive.
Indietreggiare comporta un fallimento educativo. Se ci pensiamo bene, significa dir loro:
“Bravo, la prossima volta, se vuoi ottenere qualcosa, grida, strepita e l’avrai di certo!”.
Poco conta che la strategia funzioni una volta su tre, o una su dieci: quando giochiamo alla lotteria, o acquistiamo un “gratta e vinci” la probabilità di vincere è bassa, ma il premio è altamente desiderabile; ma se fossimo certi di non vincere?
Il “Principio di Autorità”
Una domanda frequentemente posta dai genitori alle prese con queste difficoltà è: “Ma come posso far valere la mia autorità?”.
Il “principio di autorità”, tradotto in parole semplici, significa:
“fai/non fare questo perché lo dico io, e non discutere”.
Noi saremmo disposti ad accettarlo? E se anche riuscissimo a farlo valere (il che implica un lungo e difficile “addestramento alla disciplina” sul modello dell’Esercito!), siamo certi che è questo il rapporto che vogliamo con i nostri figli?
L'autorevolezza
Forse, è più utile riferirsi al “principio di autorevolezza”: è più sfumato, e richiede che l’educatore (in questo caso, il genitore) si comporti in modo (il più possibile!) fermo, coerente, equo, commisurato, credibile.
"Fermo" implica il fatto che il pianto frustrato di un bambino che fa i capricci (che, ricordiamo, sono il loro mestiere!) non induce il genitore a recedere da una decisione. Rispettare un impegno educativo anche quando al bambino questo non piace è compito proprio dei genitori!
"Coerente" vuol dire che le regole sono chiare e stabili: se un comportamento è censurato un giorno, non può essere premiato il successivo! Un esempio classico è quello dei bimbi che strepitano al supermarket per avere dolciumi o giocattoli. Se abbiamo detto loro che non li possono avere, questo varrà anche tra 5 minuti; se una regola vale con mamma, vale anche con papà (e viceversa…).
"Equo", cioè quanto più possibile bilanciato ed equilibrato per tutti i figli (se l'orario di rientro della figlia 15enne è mezzanotte, non può esserlo anche per la figlia di 13 anni!).
"Commisurato" indica la proporzione tra il comportamento e la sanzione o il premio. Una dimenticanza (come lasciare ad esempio la tavoletta del water alzata) non può essere punita con 15 giorni di castighi, così come una pagella molto scadente non può essere premiata con il motorino nuovo! Ricordiamo anche che premiare un comportamento desiderabile è molto più efficace (e a sua volta desiderabile!) che punirne uno indesiderabile. Un esempio: il papà che, a fronte di un buon volto a scuola, in base al principio “E’ tuo dovere!” non elogia il figlio (mancato premio), ma lo rimprovera aspramente se prende un cattivo voto (punizione). Secondo voi, funziona?
"Credibile" è la più difficile. Se preannunciamo una punizione o un premio, allora li elargiremo; altrimenti risulteremo poco credibili. E fin qui, tutto ok.
Ma siamo noi stessi in grado di fare quello che chiediamo ai nostri figli? Quante volte abbiamo assistito a genitori che urlano ai figli di abbassare il tono di voce? Quanti genitori sovrappeso o con abitudini dannose (es., il fumo) pretendono dai figli condotte esemplari?
Essere modelli (im)perfetti
E’ molto importante ricordare che lo strumento di apprendimento più potente per i figli è riferirsi ai genitori come modelli: anche se inconsapevolmente, in modo conflittuale ed a volte apertamente oppositivo, siamo punti di riferimento per le generazioni successive, proprio come i nostri genitori lo furono per noi (nel bene e nel male!).
Non serve essere "perfetti": un genitore "perfetto" è solo un modello irragiungibile! Man mano che cresceranno, confrontandosi con le stesse difficoltà che quotidianamente gestiamo noi, i nostri figli comprenderanno il valore delle scelte che facciamo (anche quando non sono "perfette!); ed, anche se non dovessero comprenderle, potranno accettare il fatto che ci siamo assunti la responsabilità di mostrar loro che le scelte implicano delle conseguenze, e pretendere si scegliere senza pagarne i costi non è una strategia efficace, a lungo termine!
Saper dire “no” quando serve è il modo più amorevole per insegnare ai futuri adulti di domani a conquistare ciò che desiderano, ed a rinunciare a ciò che non possono avere; a dare il giusto valore alle cose; a rispettare sé stessi e gli altri, anche se non sempre saranno rispettati; ad accettare le inevitabili limitazioni e frustrazioni che la vita opporrà loro, anche quando non ci saranno più Mamma e Papà a proteggerli e sostenerli.
Per ulteriori approfondimenti:
- Muzzolotto, Pasqualon (a cura di), "100 risposte sull'educazione dei figli. I migliori pareri degli esperti del sito www.educare.it", Edizioni Erickson
- Phillip Asha, "I No che aiutano a crescere", Universale Economica Feltrinelli
- "Children See, Chilren Do": a volte, le immagini spiegano meglio delle parole