"E' un terremoto": il bambino con Disturbo da Deficit di Attenzione (ADHD)

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Dr.ssa Lucia Montesi Psicoterapeuta, Psicologo

L’ADHD è un disturbo dell’autocontrollo che colpisce i bambini e che include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività.

Non sta un attimo fermo, interrompe sempre quando si parla, comincia cento attività e non ne termina una, perde di continuo penne e colori. Spesso è semplice vivacità, ma a volte, quando i sintomi sono particolarmente intensi e invalidanti, si tratta di un vero disturbo: il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, o più semplicemente, ADHD.

L’ADHD è un disturbo dell’autocontrollo che colpisce i bambini e che include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Il bambino non è quindi capace di regolare il suo comportamento; questa difficoltà non dipende dalla più o meno “buona” volontà del bambino, né da errori educativi o disagi psicologici e non va neanche confusa con la normale vivacità infantile: si tratta invece di un vero disturbo , che ha origine biologica e genetica.

 

Come si manifesta

Inattenzione, impulsività e iperattività motoria sono le caratteristiche principali della sindrome; possono essere presenti tutte e tre contemporaneamente, oppure il bambino può presentarne solo una o due. Alcuni sintomi sono: facile distraibilità, difficoltà a concentrarsi su una cosa, difficoltà a seguire le istruzioni, tendenza a perdere gli oggetti, difficoltà a stare seduto; il bambino sembra non ascoltare, parla senza sosta, tocca tutto ciò che è a portata di mano, ha difficoltà ad attendere le gratificazioni ed è molto impaziente; risponde troppo velocemente, non riesce a stare in fila, intraprende azioni pericolose senza considerare le conseguenze. Nei bambini sotto i tre anni, si manifesta con disturbi del sonno, dell’alimentazione, difficoltà a fare giochi tranquilli.

Spesso, purtroppo, si associano anche altre disturbi: disturbi dell’apprendimento, disturbi d’ansia, ma soprattutto il disturbo della condotta e quello oppositivo-provocatorio, in cui il bambino ha comportamenti disfunzionali di ribellione, negativismo, aggressività verso gli adulti o i compagni. La differenza con la semplice irrequietezza sta nella disorganizzazione che caratterizza almeno due ambiti di vita: il bambino a scuola va male, ha un rapporto insoddisfacente con i coetanei, è incapace di pianificare da solo la sua giornata.

 

Le cause

Di fronte al comportamento fuori controllo del bambino, chi osserva dall’esterno può pensare che si tratti semplicemente di cattiva educazione, e che siano sufficienti una maggiore disciplina, maggiori limitazioni e qualche punizione; i genitori sono giudicati incapaci, troppo tolleranti e permissivi, e il figlio è visto come il risultato della loro incapacità educativa.

 In realtà, le difficoltà che possono riscontrarsi nei genitori di questi bambini sono spesso la conseguenza, più che la causa, delle difficoltà del figlio, che non sembra rispondere ai normali richiami a cui tutti gli altri bambini sono sensibili. Il disturbo ha invece un’origine neurobiologica ed un’alta ereditarietà; consiste in una alterazione dell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali.

 

Cosa fare

Qualora i genitori o gli insegnanti sospettino questo tipo di difficoltà, è importante rivolgersi a uno psicologo o neuropsichiatra infantile che potrà porre la diagnosi corretta. I metodi per trattare l’ADHD spesso coinvolgono una combinazione di fattori: terapie comportamentali, cambiamenti dello stile di vita, interventi psicologici e farmacologici.

 L’uso di farmaci nei bambini suscita spesso  polemiche, tuttavia può essere una scelta necessaria nei casi gravi in cui l’intensità del disturbo pregiudica fortemente lo sviluppo cognitivo e relazionale del bambino. Le terapie psicologiche possono essere di tipo diverso (ad esempio psico-educativo, cognitivo-comportamentale, familiare) e includere anche interventi di training rivolti ai genitori.

 

Il ruolo dei genitori

Anche se il disturbo è genetico, le variabili ambientali possono influire sul disturbo e l’atteggiamento dei genitori può essere determinante. Spesso i genitori si ritrovano a dare punizioni sempre più severe nel tentativo di modificare il comportamento del bambino, ma la punizione, in questi casi, è particolarmente controproducente. E’ molto più utile rinforzare i comportamenti positivi attraverso il premio, che non è necessariamente un regalo, ma anche un’attività gradita o una lode verbale. Quando invece il bambino emette i comportamenti disturbanti, la sanzione dovrebbe consistere nella perdita di questi privilegi, ad esempio della possibilità di guardare i cartoni preferiti o di giocare in giardino.

Si può elaborare un vero sistema a punti, in cui i comportamenti positivi permettono di acquisire punti, da convertire poi in premi, e quelli negativi determinano invece una perdita di punti. Si tratta di una strategia molto efficace, mentre tutte le altre forme di punizione si rivelano improduttive. E’ fondamentale la coerenza tra tutti gli adulti che si occupano del bambino: le regole devono essere condivise da tutti, altrimenti destabilizzano ulteriormente il bambino.

 Occorre dare al bambino istruzioni molto chiare quando gli si chiede di fare qualcosa, dopo essersi assicurati la sua attenzione attraverso il contatto visivo; è meglio usare frasi dirette del tipo”Metti in ordine i giochi”, piuttosto che espressioni retoriche ( “Non ti sembra che sia ora di mettere in ordine i giochi?”) che il bambino con ADHD rischia di non comprendere. Il comando va dato una sola volta, senza cadere in estenuanti bracci di ferro: se il bambino non ubbidisce, l’adulto deve avvertirlo del limite di tempo consentito e delle conseguenze stabilite. Se il bambino persiste a non ubbidire, si applica semplicemente la conseguenza prevista, senza arrabbiarsi né gridare ma mantenendosi irremovibili.

Molti pensano che i bambini dovrebbero comportarsi in un certo modo spontaneamente , e non per ricevere un premio: dovrebbero insomma avere una motivazione “intrinseca” piuttosto che “estrinseca”. Tuttavia, i bambini con ADHD spesso non hanno una motivazione intrinseca, a causa della loro bassa autostima e della difficoltà a mantenere in mente un obiettivo. E’ quindi necessario  aumentare la loro motivazione estrinseca quando si impegnano in un’attività sgradita, attraverso segni di affetto e stima e la possibilità di svolgere attività gradite. E’  dimostrato, inoltre, che i benefici ottenuti in questo modo permangono anche quando, gradatamente,  si eliminano i premi esterni.

Data pubblicazione: 07 marzo 2011