Il sintomo e la sua funzione in psicologia
il sintomo, in psicologia, assume varie forme di comunicazione leggibili mediante specifici codici di lettura.
Nel campo della salute il termine “sintomo” che dal greco significa “circostanza” è ormai consolidato nel sapere comune come l’espressione o il segnale di un’anomalia o, meglio, di un diverso funzionamento di un organo, di un apparato o di un sistema di comportamenti. Esso, seppur spesso confuso con il “segno” che rappresenta l’evidenza tangibile di un evento patologico, è la conseguenza di una serie di processi normali o alterati che ne sono alla base.
In campo psicopatologico il sintomo assume significati differenti e con letture che possono cambiare a seconda dei diversi codici teorici di un modello di intervento. Al di là di questi, esso ha un ruolo estremamente importante perché è un alleato del clinico che permette a quest’ultimo di sapersi orientare nelle scelte terapeutiche , di formulare una diagnosi e di comprendere quale processo alterato il sintomo sta comunicando.
Nelle sue varie cornici teoriche il sintomo ha una funzione comunicativa e , il più delle volte, è esso stesso la comunicazione e/o il portavoce di un determinato malessere che richiama l’attenzione verso la sua esistenza, oppure, è la comunicazione di una modalità di pensiero che ha smesso di adattarsi, o la conseguenza di un processo che sta evidenziando la sua incapacità di portare adeguatamente a termine il proprio compito evolutivo e, ancora, il campanello di allarme di un meccanismo psicologico che si è semplicemente inceppato.
Qualunque sia la lettura che se ne voglia fare e qualunque significato gli si voglia attribuire , il sintomo è una comunicazione dell’organismo che si esprime principalmente attraverso la sofferenza di chi lo ospita. Quando in psicopatologia un sintomo, qualunque esso sia (una compulsione, un’ossessione, un attacco di panico, un’attacco bulimico, una difficoltà sessuale, una fobia e così via..),fa il suo esordio, l’approccio terapeutico verso quest’ultimo cambia a seconda del codice di lettura che, a sua volta, decide come interpretare il tipo di comunicazione che il sintomo sta evidenziando e quindi come curare la sofferenza di cui si fa portatore.
Vi sono codici di lettura che considerano il sintomo stesso la malattia che comunica esclusivamente la sua presenza. Ogni approccio psicoterapico, a seconda del codice di cui è dotato, tende ad ascoltarlo, a ricercarne i suoi significati, a modificarne la sua funzione, o semplicemente a stroncarlo. Tuttavia ,tutti si pongono l’obiettivo di abbassare o eliminare l’espressione che assume in chi lo ospita, ossia la sofferenza.
Ma cosa comunica esattamente, seppur nelle sue diverse espressioni patologiche, un sintomo? Vediamo in dettaglio mediante quali codici è possibile comprendere il significato della sua forma comunicativa.
Il sintomo come soluzione inadeguata di un problema
Tale codice vede nel sintomo la comunicazione di una capacità errata e poco funzionale di risolvere un problema, spingendo il portatore di questo in una sorta di trappola che si rinforza nel tentativo, sbagliato, di ottenere un risultato. Un individuo, per risolvere un problema, non si accorge del fatto che sta attuando delle soluzioni non solo inadeguate ma che addirittura lo alimentano. Es. in una coppia, uno dei membri, nel tentativo di tenere quanto più possibile legato a sé l’altro, mette in atto atteggiamenti sempre più repressivi che non fanno altro che spingerlo ad allontanarsi di più, incrementando il conflitto. Oppure, il tentativo di evitare un attacco di panico spinge un soggetto a condotte di evitamento che ne aumentano la paura peggiorando il problema. (1)
Come vedremo , la tentata soluzione è la caratteristica che mantiene in vita il sintomo sotto ogni sua espressione.
Il sintomo come funzione di compromesso.
La funzione di compromesso è un codice di derivazione psicoanalitica, esso vede il sintomo come l’espressione di una doppia tendenza (un compromesso) tra un desiderio o una tendenza a compiere un’azione e la sua castrazione perché inacettata. Un soggetto, da un lato, è spinto da una forte pulsione a commettere una determinata azione e, dall’altro, attuerà inconsciamente una serie di manovre (meccanismi di difesa) che cercheranno di tenere a bada questa azione ritenuta sgradevole e la cui espressione creerebbe più sofferenza del sintomo stesso che ne scaturisce da questo conflitto. In questi termini il sintomo sta comunicando un compromesso, un conflitto tra due tendenze opposte, il più delle volte a discapito della prima. Es . una donna è inibita sessualmente perché è spinta verso comportamenti perversi che per cultura o educazione ritiene inaccettabili. L’inibizione rappresenta una soluzione di compromesso che va a discapito delle sue voglie pusionali. (2)
Il sintomo come equilibrio
All’interno di un sistema in cui più membri interagiscono, i tentativi di mantenere un equilibrio spingono questi membri ad attuare manovre tese a castrare o impedire comportamenti che possano alterare questo equilibrio, determinandone la relativa sofferenza che ne consegue. Es. Una coppia impedisce i tentativi di autonomia del figlio adulto trattandolo come se fosse ancora piccolo per mantenere quell’equilibrio che regge , in quel determinato sistema, solo sulla loro capacità di accudire il figlio, e questo perché l'autonomia è vissuta come una spinta verso un nuovo equilibrio basato su altri presupposti difficilmente accettabili. I comportamenti coercitivi stanno comunicando la loro difficoltà di raggiungere un altro equilibrio. (3)
Il sintomo come mantenimento di un mito o credenza irrazionale.
La difficoltà di abbandonare una convinzione particolarmente radicata o un mito crea uno stato di sofferenza poiché va ad interferire con l’economia mentale di un individuo. Es. Un uomo si deprime dal momento in cui il figlio assume comportamenti che sono in netto contrasto con le convinzioni che lo hanno accompagnato nella sua vita. Il sintomo sta comunicando la sua difficoltà ad accettare nuove convinzioni o comunica la pretesa di adattare quelle del figlio alle sue.(4)
Il sintomo come capro espiatorio.
All’interno di un sistema famigliare può esserci un solo membro che , attraverso il sintomo, sta comunicando una sofferenza che appartiene all’intero sistema in cui è inserito. Una sofferenza collettiva che viene espressa dal soggetto più debole che si assume ( suo malgrado) il compito di evidenziarla.(5)
Il sintomo come errata elaborazione della realtà.
Determinati stili cognitivi, nella maggior parte appresi, tendono a far interpretare gli eventi in modo distorto spingendo un soggetto a trarre conclusioni errate che inevitabilmente inducono sofferenza. La tendenza ad ingigantire, sminuire, estrapolare solo le cose negative ecc., creano uno stato di disagio . Questo non sta facendo altro che comunicare un'errata o inadeguata elaborazione di determinate informazioni. (6)
Il sintomo come beneficio secondario.
Qualunque sia la comunicazione del sintomo , quest’ultimo è mantenuto in vita da un’ulteriore comunicazione, ossia quella del beneficio (o del tentativo inadeguato di ottenerlo) che ne scaturisce dalla condizione di sofferenza. Un aumento dell’attenzione, l’accondiscendenza verso certe pretese creano una condizione che rendono il mantenimento del sintomo, sotto certi aspetti, necessario e/o conveniente.(7)
Il sintomo come condizionamento.
Un malessere psicologico può evidenziarsi, in un determinato contesto, in modo del tutto casuale e si ripresenta tutte le volte che si creano quelle condizioni, fisiche o psicologiche, che rievocano il momento in cui tale malessere si è presentato. Un malessere avvenuto in ascensore crea le basi per temere che la cosa possa ripresentarsi. L’ascensore ricrea le condizioni fisiche e psicologiche che possono ripristinare tale malessere dando quindi origine a sintomi di tipo fobico e/o ansioso.(8)
I sintomi possono essere determinati da più funzioni l’una conseguenza dell’altra e che ne determinano l’aggravamento della sua espressione mediante una comunicazione a più livelli, il più delle volte, incosapevoli. Un sintomo depressivo può nascere dalla conseguenza di un’errata convinzione aggravato dai tentativi maldestri di mantenerla e/o di imporla.Un disturbo fobico, nato come semplice condizionamento, è mantenuto in vita dai tentativi inadeguati di affrontare il disagio che ne consegue, mettendo quindi in atto soluzioni inadeguate come l’evitamento.
Qualunque sia la dinamica del sintomo e la sua diversa comunicazione ciò che lo amplifica e lo tiene in vita è sempre quel tentativo maldestro e poco funzionale di risolverlo che , a sua volta ,diventa sintomo esso stesso a tal punto da sommergere addirittura la funzione comunicativa primaria del sintomo. I meccanismi di difesa, l’evitamento, l’irrigidirsi sugli stessi comportamenti , l’idea di ottenere benefici secondari e ogni comportamento che induce una sofferenza è espressione di una tentata soluzione inadeguata che, messa in atto allo scopo di tener lontano il disagio o risolvere un problema, non fa altro che incrementarlo e proungarlo.
Spesso, spezzare il circolo vizioso di una tentata soluzione , con il benessere che ne consegue, fornisce quell’esperienza correttiva necessaria da stroncare anche la comunicazione sintomatica iniziale che, in molte occasioni, ha perso, nel tempo, la sua valenza primaria, ma si protrae in modo automatico come un software inceppato ed il tutto, ovviamente, incarnato in processi biochimico-cerebrali specifici la cui trattazione esula dagli intenti di questo scritto.
Note
1) Chanche, sulla formazione e soluzione dei problemi, Watzlawuick et al. Ubaldini, 1974
2) I meccanismi di difesa, B. White, R. Gilliland, Ubaldini 1977.
3) Dall’individuo al sistema, T. Malagoli, Boringhieri , 1991.
4) La terapia rational emotiva, E. Ellis, Erikson, 1993.
5) ibid. Dall’individuo al sistema
6) La terapia cognitiva della depressione A.Beck, Bornghieri, 1987.
7) ibid. I meccanismi di difesa
8) Psicologia Clinica, G. Davison, Zanichelli 1990.