Il disturbo borderline di personalità. Piccola guida per pazienti e familiari
Cos’è il disturbo bordeline di personalità?Come si manifesta?Quali sono le caratteristiche salienti del disturbo e quali le strategie migliori per affrontarlo se ad esserne affetto è un nostro familiare?
Tra i disturbi di personalità, il disturbo borderline è quello che più di frequente arriva all’osservazione clinica. Colpisce il 2% della popolazione, più frequentemente il sesso femminile. L’esordio avviene in adolescenza o nella prima età adulta.
Per comprendere meglio la natura e le caratteristiche fondamentali del disturbo borderline di personalità è necessario fare un passo indietro partendo proprio dal concetto di personalità.
Che cos’è la personalità?
Le persone mostrano configurazioni di esperienza e di azione stabili che le distinguono l'una dall'altra. La personalità rappresenta quindi il modo più o meno costante che ciascuno di noi si è costruito nel corso della sua vita di dare significato alle cose, di rapportarsi con gli altri e con il mondo.
Per usare una metafora, la personalità rappresenta le “lenti” che utilizziamo per guardare il mondo e per guardarci dentro. A seconda dello spessore e delle caratteristiche delle lenti che indossiamo il mondo ci apparirà in un modo piuttosto che in un altro.
Ognuno di noi indossa le sue “lenti” e ha dunque uno stile di rapporto con gli altri che è caratterizzato da determinati tratti: così esiste ad esempio il tratto della sospettosità, quello dell’ amore di sè oppure quello della passività e della dipendenza dagli altri.
Normalmente questi tratti sono sufficientemente flessibili a seconda delle circostanze: così in alcuni momenti sarà utile essere più dipendenti o passivi del solito, mentre in altri sarà più funzionale esserlo meno.
Accade però che in alcuni individui questi tratti di personalità siano rigidi, pervasivi e indipendenti dal contesto tanto da generare molta sofferenza nella persona stessa ma anche in chi gli sta intorno. Ad esempio, alcune persone tendono costantemente a sospettare che gli altri, comprese le persone che gli vogliono bene, possano volergli del male e si comportano di conseguenza, allontanando di fatto da sé tutte le persone potenzialmente in grado di dare loro affetto e dalle quali riceverlo.
Alcune persone, invece, hanno costante bisogno di rassicurazioni e di qualcuno che li aiuti a prendere decisioni che da soli temono di non riuscire a prendere e questo può generare sofferenza sia in loro che nelle persone che gli stanno vicino.
Di solito i tratti sono così consueti e stabili che le persone stesse non si accorgono di mettere in atto comportamenti rigidi e inadeguati che suscitano le reazioni negative degli altri. Al contrario, si sentono sempre le vittime della situazione e alimentano il proprio disturbo. In altre parole, queste persone non si rendono conto di indossare le lenti che indossano e sono spesso convinte che il problema sia “fuori” di sé.
Cos’è il disturbo borderline di personalità?
Il disturbo borderline di personalità è essenzialmente un disturbo della regolazione delle emozioni (Linehan M., 2001). Le persone borderline possono oscillare rapidamente, ad esempio, tra la serenità e la forte tristezza, tra l’intensa rabbia e il senso di colpa. A volte emozioni differenti sono presenti nello stesso momento, tanto da creare caos nel soggetto e nelle persone a lui vicine.
Le persone che hanno questo disturbo fanno fatica a stabilire rapporti di amicizia, affetto o amore stabili nel tempo, vivono con estrema intensità dei rapporti che quasi sempre falliscono o risultano emotivamente distruttivi. Le persone affette da questo disturbo trascinano altri, familiari e partners in un vortice di emotività, dal quale spesso è difficile uscire.
Questi soggetti, infatti, sperimentano emozioni intense e devastanti e le manifestano in modo molto drammatico. Proiettano spesso le loro inadempienze sugli altri, sembrano vittime degli altri quando ne sono spesso i carnefici e si comportano in modo diverso nel giro di qualche minuto o ora.
L'aspetto più evidente e preoccupante del disturbo borderline è che presenta sintomi potenzialmente dannosi per il soggetto (abbuffate, uso e abuso di sostanze, guida spericolata, sessualità promiscua, condotte antisociali, tentativi di suicidio, ecc.) e si associa a scoppi improvvisi di rabbia intensa.
Vediamo gli elementi salienti del disturbo uno per uno:
Labilità affettiva. Il disturbo borderline è caratterizzato da una disregolazione emotiva pervasiva e da oscillazioni dell’umore dipendenti dal contesto, in particolare dall’andamento delle relazioni interpersonali. Spesso, però, riuscire a collegare umore, pensieri e fatti accaduti non è immediato e semplice per questi pazienti ed è necessario lavorare molto in terapia per aiutarli a capire come mai stanno male.
Problemi con la rabbia. Essere emotivamente disregolati vuol dire non riuscire a tollerare e modulare le proprie emozioni. A volte questi pazienti non sono nemmeno in grado di riconoscere le proprie emozioni. E’ come se i soggetti borderline avessero imparato ad evitare gli stimoli emotivi negativi, sviluppando, per così dire, una sorta di “fobia delle emozioni negative”. Questi pazienti, dunque, nel tentativo di controllare i propri picchi emotivi, ricorrono all’azione impulsivamente, agiscono senza riflettere. L’impulsività si può esprimere con esplosioni di rabbia e litigi anche molto violenti.
Relazioni caotiche. Per allacciare e mantenere relazioni affettive significative è necessario possedere uno stabile senso della propria identità e la capacità di esprimere spontaneamente le prorie emozioni. I rapporti interpersonali richiedono anche la capacità di autoregolare le proprie risposte emotive in maniera appropriata, di controllare i comportamenti impulsivi e di tollerare, entro certi limiti, le situazioni che generano stati di disagio. In mancanza di queste capacità il paziente borderline manifesta comprensibili difficoltà nei rapporti interpersonali. In particolare, la sua incapacità di contenere la rabbia, nonché di limitarne le espressioni manifeste, gli preclude ogni possibilità di mantenere rapporti affettivi stabili (Linehan, 2001). Capita molto di frequente che le persone più vicine ai pazienti borderline, di fronte alle espressioni emotive esasperate, violente del proprio familiare, oscillino in maniera inconstante tra l’accettazione e il rifiuto. Questo perché, spesso e comprensibilmente, non riescono a “entrare nella mente” del proprio caro e capire quale sia la cosa più opportuna da fare in quel momento.
Paura dell’abbandono. I pazienti borderline hanno sviluppato nel corso della propria storia un concetto di sé in quanto esseri indegni, cattivi, difettosi e si aspettano che, nel momento in cui gli altri si saranno accorti di questa loro indegnità, inevitabilmente li abbandoneranno. Ai loro occhi ogni allontanamento, ogni assenza, ogni distacco temporaneo e anche le piccole divergenze quotidiane rappresentano un potenziale pericolo che quello che loro si aspettano, ovvero di essere abbandonati, stia per accadere. L’abbandono confermerebbe la loro credenza di essere indegni e non meritevoli di essere amati. Per questo motivo, i pazienti borderline cercano di evitare con tutte le forze di essere abbandonati e lo fanno adottando comportamenti spesso eccessivi, drammatici, esasperati. L’abbandono li farebbe precipitare nella disperazione, quella disperazione di chi teme che la sua paura più profonda, ovvero quella di non poter essere amato in quanto cattivo, difettoso e indegno, abbia un fondamento.
Disturbi dell’identità con mancanza di senso di sé e senso di vuoto. Il paziente borderline ha spesso la percezione di essere “diverso”, di essere quasi un'altra persona a seconda della situazione e del contesto. Spesso, questa è la stessa percezione che hanno le persone che vivono e sono vicine ad un paziente borderline. A volte hanno la sensazione di avere a che fare con persone differenti a seconda della situazione.
Generalmente le persone acquisiscono il senso della propria identità non solo attraverso l’autosservazione ma anche sulla base delle risposte e delle reazioni degli altri. La coerenza, la continuità e la prevedibilità nel tempo delle nostre risposte emotive è fondamentale per capire chi siamo e per percepirci come esseri “integri”.
Il senso della nostra identità dipende, tra l’altro, anche dalla possibilità di preferire o amare qualcosa in maniera stabile. Ad esempio, una persona che ami molto disegnare potrà sviluppare nel tempo un’immagine di sé che includa alcuni aspetti di un’ “identità d’artista”. Se, però, io non ho accesso alle mie emozioni e non sono dunque capace di identificare cosa mi piace, cosa amo, cosa mi fa paura, cosa mi provoca vergogna, come farò a capire chi sono e a percepire me stesso in maniera stabile e continua nel tempo?
I pazienti borderline spesso ci raccontano di “sentirsi vuoti”. E’ qualcosa di apparentemente molti simile alla noia ma, in realtà, si tratta di uno stato mentale tipico durante il quale questi pazienti si sentono come “anestetizzati”, distaccati dalla realtà.
Comportamenti suicidari. Accade spesso che i pazienti borderline tentino il suicidio, pensino al suicidio o siano convinti che il suicidio sia la migliore soluzione ai propri problemi. Questo accade perché, ai loro occhi, la loro vita è realmente intollerabile.
Proviamo a metterci nei loro panni.
Questi pazienti attraversano crisi dolorosissime, sono molto più vulnerabili ad esperienze stressanti, vivono relazioni spesso problematiche, sono sottoposti a situazioni lavorative insopportabili e tutte queste cose insieme sono davvero troppe perché possano trovare un senso alla propria esistenza. Dunque l’idea di potersi togliere la vita, per queste persone, rappresenta una sorta di “via d’uscita”, un sollievo da stati emotivi negativi molto intensi.
E’ evidente che questa è una delle tante manifestazioni del problema di fondo che, come abbiamo visto, è dato dalla incapacità di tollerare e regolare le emozioni, anche quelle di panico e di tristezza.
Sembra che anche i gesti autolesivi e impulsivi, in generale, assolvano più o meno alla stessa funzione. Servono, cioè, a dare sollievo nei momenti di disperazione. Un’overdose, ad esempio, determina generalmente un’ipersonnia che ha importanti effetti sulla regolazione dell’emotività. Questi pazienti ci raccontano spesso che provano una piacevole sensazione di sollievo e di liberazione dall’ansia e da molti altri stati dolorosi dopo essersi procurati ferite da taglio.
Non dobbiamo tralasciare il fatto che atti autolesivi e minacce di suicidio spesso comprensibilmente generano risposte di sostegno da parte di chi sta vicino al soggetto e questo spesso ha l’effetto di contenere il suo malessere.
Risposte dissociative. In momenti di estremo stress, i pazienti borderline possono manifestare sintomi di dissociazione durante i quali hanno la sensazione di non essere “presenti a sé stessi” e dei quali, a posteriori, non ricordano nulla.
Anche i sintomi dissociativi, come i gesti automutilanti e impulsivi, rappresentano un tentativo di “regolare” un’emozione troppo intensa che non può essere gestita altrimenti. E’ come se il soggetto borderline, in maniera del tutto automatica e inconsapevole, “staccasse la spina” nel momento in cui le emozioni che prova sono troppo intense per essere esperite.
Gli aspetti sintomatici più salienti e tipici del disturbo borderline di personalità non sono altro, in definitiva, che tentativi disfunzionali di “regolare” emozioni troppo intense (ad esempio, ingurgito notevoli quantità di cibo o assumo droghe perché questo è l’unico modo che conosco e che ho imparato di gestire un’emozione di tristezza, di rabbia o di paura molto intensa).
E’ molto importante, dunque, per chi vive a contatto con pazienti borderline comprendere che anche comportamenti eccessivi, autodistruttivi e apparentemente senza senso, in realtà, un senso e una funzione per questi soggetti ce l’hanno eccome, ed è appunto quella di regolare nel breve termine le emozioni.
Cosa fare e cosa non fare se si è familiari di pazienti borderline
Nella mia esperienza come conduttrice di gruppi di sostegno per genitori di pazienti borderline, sono entrata in contatto con persone estremamente interessate e motivate a ricevere indicazioni pratiche su cosa fare e cosa non fare quando un proprio caro soffre di disturbo borderline di personalità. Chiunque abbia vissuto e abbia voluto bene ad un soggetto affetto da questo disturbo sa perfettamente che riuscire a individuare la modalità migliore per gestire le crisi, risolvere problemi o semplicemente essere d’aiuto è enormemente difficile.
Vorrei comunque provare a fornire qualche piccola indicazione basata sia sull’esperienza clinica con questi pazienti che sulle indicazioni fornite dalla letteratura.
Per prima cosa è necessario Validare gli stati d’animo di questi pazienti. Validare significa comunicare ad una persona che le sue emozioni e le sue reazioni hanno un senso anche se questo senso non lo condividiamo, anche se al loro posto probabilmente ci sentiremmo in una maniera diversa, anche se le loro reazioni ci sembrano spropositate. Validare vuol dire “capisco che tu stia male, il tuo stare male ha una sua legittimità”.
Come abbiamo indicato in precedenza, i pazienti borderline hanno costruito nel corso del tempo un’idea di sé stessi in quanto esseri indegni, difettosi, inetti. Validare il loro mondo interno vuol dire accettarlo così com’è pur non condividendolo.
Un ambiente validante permette di:
- riconoscere le proprie emozioni come legittime e appropriate e, di conseguenza, gestibili.
- percepire come condivisa la propria rappresentazione di sé e del mondo
- trovare modalità di comportamento adeguate a migliorare lo stato emotivo di sofferenza.
Cosa, al contrario, non è validante?
- Attribuire all’individuo sentimenti e sensazioni che afferma di non provare (“sei arrabbiato ma certamente non vuoi ammetterlo!”)
- Ricondurre l’espressione di stati interni dolorosi a una presunta iperattività o ipersensibilità, a una sua tendenza a distorcere il significato delle situazioni (“fai così perché sei ipersensibile, è colpa tua!”)
- Ricondurre a presunte intenzioni ostili o manipolative comportamenti che hanno involontarie conseguenze negative sugli altri. Accade spesso che i familiari (e anche i terapeuti) di pazienti borderline si sentano manipolati dai pazienti e di conseguenza arrabbiati con essi e gli attribuiscano intenzioni manipolatorie, aggressive o vendicative. Ebbene, spesso non è così. Spesso, nonostante l’effetto sugli altri sia quello di farli sentire manipolati e arrabbiati, l’intenzione del paziente era di tutt’altra natura. A volte l’intenzione nascosta dietro un gesto aggressivo o minaccioso è quella di chiedere semplicemente un po’ di attenzione.
- Interpretare i fallimenti come le naturali conseguenze della scarsa motivazione dell’individuo, della sua mancanza di disciplina e di volontà di affermarsi.
Lo sforzo di comprendere che le reazioni dell’individuo sono valide consente di affrontare gli aspetti disfunzionali che devono essere modificati. In altri termini, se il paziente borderline non “valida” e dunque accetta il proprio mondo interno, difficilmente riuscirà a modificare parti di esso.
A volte accade che i familiari di pazienti borderline in trattamento manifestino rispetto alla terapia aspettative di cambiamento veloce e “guarigione” quasi immediata. E’ molto importante ricordare che qualsiasi cambiamento, specie se così radicale e importante, è carico di paure e proprio per questo è necessario procedere con molta cautela. Evitiamo, dunque, di suggerire ai pazienti affetti da DBP di compiere un “grande passo”(Gunderson, J.G.,2003), ridimensioniamo le nostre aspettative e ragioniamo su obiettivi realistici e a breve termine.
Lo sforzo più doloroso e difficile che un familiare di un paziente borderline deve compiere è, a mio avviso, quello di accettare di essere ferito. E’ fondamentale, a questo proposito, ricordare sempre che l’esplosione di rabbia e di aggressività rivolta verso i familiari non significa una reale e autentica messa in discussione del legame affettivo ma, a volte, anche se non sempre, può rappresentare al contrario una richiesta disfunzionale di accudimento.
Un ulteriore suggerimento. Quando si ha a che fare con i problemi di un membro della famiglia, in tutti i casi è importante:
- Coinvolgere la persona nell’individuazione di quanto si deve fare
- Chiedere se la persona è in grado di fare ciò che è necessario per la soluzione
- Chiedere se vuole che facciamo quanto è necessario
In altri termini, è quasi sempre sconsigliabile “sostituirci” al nostro familiare nella risoluzione dei suoi problemi. In questo modo, infatti, gli veicoleremmo il messaggio che lui o lei da solo non ce la fa e non ce la può fare. Comunichiamogli invece che siamo pronti ad aiutarlo se lui ha bisogno e che gli siamo vicini. In questo modo gli rimanderemo un immagine di sé come competente ed efficace.
Per finire, un suggerimento importante, ovvero quello di accettare i propri limiti.
I familiari dei pazienti borderline spesso compiono sforzi immani per tentare di individuare la modalità di interazione più corretta con il proprio caro, per trovare le parole più appropriate, nella speranza che questo sia sufficiente a “cambiare le cose”. Ebbene, non è così.
L’ambiente familiare è certamente un elemento importantissimo per favorire il cambiamento ma, da solo, non può determinarlo.
Il paziente borderline è un paziente che necessità di un trattamento mirato effettuato secondo protocolli specifici che, in molti casi, prevedono l’abbinamento di una psicoterapia individuale ad una psicoterapia di gruppo ad un costante monitoraggio farmacologico effettuato da professionisti che abbiano ricevuto un training specifico.
Per i familiari di questi pazienti, accettare i propri limiti vuol dire, inoltre, accettare di poter sbagliare e capire che a volte dire qualcosa di sbagliato e innescare spirali di violenza e aggressività nonostante si sia animati dalle migliori intenzioni è parte del gioco e non lo si può evitare.
Riferimenti bibliografici
- Gunderson J.G. La personalità borderline. Una guida clinica. Raffaello Cortina, 2003.
- Gunderson J.G., Hoffman Perry G. Disturbo di personalità Borderline – una guida per professionisti e familiari. Springer Verlag Italia, 2010.
- Kreger R., Mason P. T. Stop walking on eggshells. Taking your life back when someone you care about has a borderline personality disorder. Airlift Book Company, 1998.
- Linehan M., Trattamento cognitivo comportamentale del disturbo borderline. Il modello Dialettico. Raffaello Cortina, 2001.