Dipendenza contro dipendenza.

Dipendenza e contro dipendenza: due facce della stessa medaglia

la dipendenza e la contro dipendenza che apparentemente sembrano opposte, si rivelano intimamente collegate, come due modi per difendersi dall'abbandono.

La dipendenza tra mamma e bambino

L’essere umano è per alcuni aspetti, intrinsecamente legato all’altro in una prima forma di dipendenza: fin dalla nascita il bambino è in relazione alla madre, che percepisce nei primi mesi di vita come un’estensione del proprio corpo e del proprio sé. Solo successivamente, dopo diversi mesi, impara a distinguere il sé dal non sé, a partire dal riconoscimento di quanto è proprio, come il suo corpo e di quanto è dell’altro, come la madre, o dell’ambiente esterno.

La prima importante distinzione che il bambino apprende è quella tra sé e la madre, che dall’essere considerata parte di sé, comincia ad essere rappresentata come altro e di conseguenza situata fuori da lui, separata.

In un certo senso come osservava Winnicot il bambino non esiste senza la madre, in quanto data l’impossibilità per lo stesso di provvedere ai suoi stessi bisogni, senza le cure materne sarebbe destinato a morire. Tuttavia, la madre, oltre al nutrimento, alla protezione e all’accudimento, fornisce al figlio riconoscimento, cioè gli consente gradualmente di percepirsi come soggetto e accoglie dentro di sé i suoi bisogni, provvedendo al soddisfacimento degli stessi.

Inoltre, contiene emozioni e vissuti quali rabbia, frustrazione, paura, fragilità del bambino, causata da un apparato percettivo e sensitivo estremamente sensibile agli stimoli visivi e uditivi provenienti dall’ambiente circostante, restituendoglieli bonificati e quindi sopportabili per lui. Infatti, soprattutto nei primi mesi di vita, il bambino, in virtù della propria sensibilità corporea, percettiva ed emozionale, vive gli stimoli e le sollecitazioni provenienti dal suo interno e dall’esterno con grande intensità, un’intensità che mediante la sua forza in rapporto alla sensibilità dell’infante può rivelarsi violenta.

Il bambino non è in grado di pensarsi e di percepirsi come essere umano e tale processo viene favorito dalla madre, la quale pone le basi per lo strutturarsi del sé del proprio figlio e poi successivamente, della personalità e di tutte le capacità emotive e cognitive di quest’ultimo.

Attraverso l’amore, il calore, la dedizione, la sicurezza, la madre fornisce al bambino una stabile rappresentazione di sé, dell’altro e del legame, dando un senso al suo esistere. Se invece la madre avverte al suo interno un vissuto di inquietudine, ansia, insofferenza, l’infante può ritrovarsi travolto da tali esperienze interne materne che gli ritornano come qualcosa di intollerabile ed incontenibile.

La madre nel relazionarsi al proprio figlio, non è chiamata solo all’accudimento, ma anche al saper pensare ed amare, nello specifico, pensarlo ed amarlo.

Tale relazione è per il bambino un imprescindibile appagamento, un’illimitata possibilità di ricevere il tutto che la madre è in grado di offrirgli, a partire dal soddisfacimento dei bisogni primari, fino al calore, alla vicinanza emotiva, alla sicurezza. Tale relazione si inserisce in un’assoluta dipendenza del bambino dalla madre, non solo per l’impossibilità del primo di soddisfare i propri bisogni autonomamente e sostenersi da sé, ma anche perché non contempla la reciprocità.

La dipendenza in un certo senso è quindi l’unica condizione possibile che garantisce al bambino la sopravvivenza e lo sviluppo psico-fisico adeguato. Successivamente, negli anni, il bambino comincia ad acquisire gradualmente i requisiti che rendono possibile la separazione dalla madre e più in generale dai genitori, accostandosi ad una sempre maggiore autonomia.

Guarda il video: Dipendenza affettiva: 5 cose da sapere

Quali sono i rapporti con l'altro?

L’altro, in genere la madre, essendo colui che si occupa del bambino, che risponde alle sue urla e ai suoi bisogni offrendogli nutrimento, conforto, calore, lo introduce nella dimensione diadica. Lo introduce nel legame, ossia nel rapporto con l’altro, che si costituisce come un vincolo affettivo e al contempo una risorsa; come una legatura della propria persona ad un’altra.

L’altro viene sin da subito percepito e vissuto come naturalmente predisposto a nutrire la propria individualità, come colui che è indispensabile per rispondere ai propri bisogni e donare amore, sicurezza, apprezzamento. L’altro è vissuto come lo specchio nel quale si può riflettere la propria esistenza soggettiva.

Questo può nascondere due lati oscuri. Il primo, sul versante della dipendenza, rivela l’altro come un essere che in virtù della propria importanza strutturale nel donare amore, sicurezza, conforto, si manifesta come assolutamente necessario in tutto, introducendo una minaccia alla vita del soggetto in caso della sua assenza. L’altro è colui che non può mancare, da cui dipende la sicurezza del soggetto.

Il secondo lato oscuro, che si colloca sul versante della contro dipendenza, rivela l’altro come persona che mette in scacco l’autonomia del soggetto e attraverso il suo esserci gli comunica che non ci si può bastare da soli. Al contempo può essere vissuto come colui che non lascia vivere, che non lascia essere, che ha il potere di riportarlo a quella penosa condizione di dipendenza che vuole attentare la sicurezza della propria condizione di autonomia e di libertà.

Mentre il dipendente, quindi, cercherà di rinsaldare ulteriormente il suo legame con l’altro, il contro dipendente cercherà di svincolarvisi, ribellandosi ad esso, nel tentativo di ripristinare una logica che sostiene che può fare ed essere senza l’altro.

Il passaggio all'età adulta

Una volta divenuto adulto, l’individuo tendenzialmente ha raggiunto un’autonomia sufficiente per provvedere ai propri bisogni, inserirsi nella società, condurre la propria vita disponendo delle capacità di governarsi e reggersi da sé. Tuttavia, tale condizione di autosufficienza, tipica dell’adulto, non implica un totale svincolo dall’altro, che al di là di tutto resta una fonte essenziale di amore, affettività, condivisione, riconoscimento, validazione della propria immagine, sostegno emotivo.

Se il bambino ha ricevuto e percepito un accudimento adeguato e rispondente ai propri bisogni fisiologici, emotivi, sociali e psicologici, che si è tradotto in un legame affettivo che ha saputo alternare alla presenza amorevole, l’assenza, come condizione necessaria per lo svilupparsi di una propria individualità, tendenzialmente si svilupperà come adulto in grado di provvedere ai propri bisogni autonomamente.

Al tempo stesso, riuscirà a riferirsi all’altro e creare con questi un legame all’interno del quale coinvolgersi ma non al punto di annullarsi; amare e farsi amare, vivendo l’amore come un arricchimento e non come l’essenzialità della vita; fidarsi ed affidarsi, senza rifuggire dall’altro o consegnarglisi totalmente e senza resti; saper stare nel rapporto con un giusto coinvolgimento, che unisca all’amore per l’altro, quello per sé stesso, non vivendo il legame come un tutto o un niente.

In tali casi, generalmente l’individuo saprà collocarsi in una giusta posizione tra dipendenza ed indipendenza nel legame, trovando quindi la distanza confacente dall’altro: non troppo vicino da perdere sé stesso, annullandosi nell’intensità e totalità del legame; non troppo lontano da rimanervi inesorabilmente estraneo, irrimediabilmente disunito, intimamente separato.

La dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva è un modo di stare nel legame, percepirlo e viverlo come qualcosa di indispensabile e totalizzante; l’individuo dipendente si lega all’altro e non tollera il distacco, in quanto lo percepisce, in maniera più o meno consapevole, come un attentato al rapporto o una minaccia di separazione angosciante.

Sono soprattutto le donne, ma non solo, a sviluppare una dipendenza affettiva per differenti ragioni: una maggior emotività, una disposizione a sentirsi o pensarsi mancanti senza l’altro, una propensione a vedere o depositare nell’altro ciò di cui si sentono prive.

Spesso, sono attratte da uomini narcisisti, sfuggenti, che all’inizio attraverso la presenza e i gesti promettono loro un amore idilliaco e poi si dileguano, in modo palese o silenzioso, sottraendosi subito al legame, o restandovi e disinvestendo sempre più. Questi uomini sono spesso contro dipendenti; rifuggono dal legame o vi restano ai bordi, senza mai addentrarsi veramente.

Per approfondire:Come riconoscere un narcisista

La contro-dipendenza

La dipendenza e la contro dipendenza sembrano due modi opposti di vivere il legame, due modi assolutamente contrastanti e distanti di percepirsi con e senza l’altro. Tra esse, che appaiono a prima vista come due risposte estreme e in antitesi, vi è una continuità di fondo, un punto di giuntura che le unisce nella ferita profonda dell’individuo e nella sua fragile radicalità di vivere il legame, considerandolo nel caso della dipendenza così essenziale da non potersene privare, nel caso della contro dipendenza, così alieno e minaccioso da non poterlo sopportare, se non restandovi ai margini.

Vi è tra dipendenza e contro dipendenza quindi, un filo invisibile e altrettanto indissolubile che le lega l’una all’altra e origina sin dai primi legami, nella sola presenza o nella sola assenza, assenza intesa non necessariamente come assoluta deprivazione affettiva, ma anche come un velato distacco emotivo, uno sfondo di indisponibilità e di estraneità rispetto al bambino e al suo mondo interno, alla sua intimità.

Nella storia familiare del dipendente, generalmente ci sono stati i segni del troppo amore o di una stretta molto forte che ha inibito l’espressione della nascente individualità del bambino, oppure di uno sguardo sempre presente, che sono stati interpretati da egli come dei modi per colmare la sua incapacità, vulnerabilità, la sua mancanza sul registro dell’essere. Invece, nella storia familiare del contro dipendente vi è stato un vuoto difficilmente sanabile nato da una sensazione di troppo poco amore, o comunque da una percezione di indisponibilità da parte del genitore, di dare, di esserci.

Il contro dipendente tendenzialmente è un uomo, ma ci sono diverse donne che possono esserlo. Il motivo per cui le donne si legano a uomini contro dipendenti è riconducibile al fatto che essi emanano quella luce che a loro manca, quella sicurezza interna di cui loro si sentono prive, che però è in realtà una difesa dalla percezione che da bambini hanno ricevuto dell’indisponibilità dell’altro, dall’assenza e dalla minaccia dell’abbandono che incombe sul legame.

Il disturbo di personalità dipendente

È necessario distinguere la dipendenza affettiva dal Disturbo dipendente di personalità, che spesso però è concomitante con essa, in quanto il soggetto affetto da tale disturbo, manifesta una necessità eccessiva e pervasiva di essere accudito insieme al timore della separazione, come anche indicato dal DSM V (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).

Secondo il DSM V il Disturbo dipendente di personalità insorge più o meno entro la prima età adulta e nell’ambito clinico “è stato diagnosticato più frequentemente nelle femmine, sebbene alcuni studi riportino percentuali di prevalenza simili tra maschi e femmine”.

Per diagnosticare ad un soggetto il Disturbo dipendente di personalità, è necessario che questi soddisfi almeno cinque criteri degli otto elencati:

  • difficoltà a prendere decisioni quotidiane senza un’eccessiva quantità di rassicurazione e consigli da parte di altri,
  • bisogno che gli altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita,
  • difficoltà ad esprimere disaccordo rispetto agli altri per la paura di perdere il loro appoggio,
  • difficoltà di avviare progetti o essere autonomo, non riconducibile ad una mancanza di motivazione o energia, ma piuttosto ad una scarsa fiducia nelle proprie capacità,
  • disponibilità ad offrirsi per compiti spiacevoli pur di ottenere il supporto da parte degli altri,
  • sensazione di disagio quando si è soli, dovuta alla difficoltà di prendersi cura di sé,
  • ricerca di una persona con cui intraprendere una relazione in seguito alla rottura di un legame,
  • preoccupazione estrema di essere lasciato a prendersi cura di sé.

Il Disturbo dipendente di personalità e la dipendenza affettiva possono essere strettamente correlati e coesistere nello stesso individuo, infatti, quasi tutti i criteri del DSM V si riferiscono a comportamenti del soggetto in relazione all’altro.

Il soggetto affetto da tale disturbo, infatti, avverte dentro di sé la vitale necessità di relazioni accudenti, nelle quali si mette nella posizione dell’accudito, per poter recuperare la serenità interiore perduta e soprattutto una sicurezza che percepisce come proveniente solo dall’altro. La sua identità si struttura quindi, all’interno di una rappresentazione di sé stesso come di un essere incapace, fragile ed indegno.

Guarda il video: Quali sono i disturbi della personalità?

Le cause della dipendenza

È possibile rintracciare le origini della dipendenza affettiva, così come quelle del disturbo di personalità dipendente, nel rapporto tra bambino e genitori.

Infatti, le prime relazioni che il bambino instaura con i genitori e i primi scambi emotivi ne consentono lo sviluppo e la rappresentazione interna di sé stesso e dell’altro, determinando il modo in cui si inserirà nel legame anche in futuro.

La teoria dell’attaccamento, elaborata da Bowlby nel 1969 e ampliata successivamente da Mary Ainswarth nel 1978, offre una chiave di lettura abbastanza esaustiva e approfondita sul comportamento del bambino in relazione alla madre, all’estraneo e all’ambiente circostante, in grado di avanzare ipotesi e previsioni plausibili sul suo sviluppo futuro e sulle relazioni che instaurerà.

La teoria dell’attaccamento si riferisce alla relazione tra genitore (in genere la madre) e bambino, che si instaura nel primo anno di vita, in virtù dell’assoluta e fisiologica dipendenza dell’ultimo da parte del primo.

I principali tipi di attaccamento individuati da Bowlby e dalla Ainswarth sono quattro:

  • attaccamento insicuro evitante: il bambino percepisce la madre come insensibile o rifiutante nei propri confronti; non sviluppa una fiducia in lei e tende a distaccarsi per proteggersi a sua volta da un distacco avvertito;
  • attaccamento sicuro: il bambino percepisce la madre come sensibile nei propri confronti e attenta ai propri bisogni;
  • attaccamento insicuro ansioso ambivalente: il bambino vive la madre come contraddittoria e pertanto non è in grado di prevederne il comportamento; spesso, infatti, quest’ultima è rifiutante e oppositiva di fronte alle risposte del bambino, ma si rivela affettuosa per un proprio bisogno d’amore e riconoscimento;
  • attaccamento disorganizzato: il bambino mette in atto rispetto alla madre un comportamento stereotipato, in quanto ne è spaventato. Questo attaccamento è particolarmente disfunzionale in quanto svela il suo paradosso: la madre che dovrebbe essere per il bambino fonte di sicurezza è protezione, causa paura, con la propria presenza e i propri comportamenti contradditori.

L'attaccamento

L’attaccamento si riferisce alla vicinanza fisica ed emotiva tra genitore e bambino e si instaura nei primi mesi di vita, in seguito ai quali permette l’instaurarsi dei modelli operativi interni, che sono delle rappresentazioni che quest’ultimo interiorizza a seconda del tipo di attaccamento, rispetto ad aspettative e profonde concezioni su sé stesso, sull’altro e sul mondo circostante.

Un bambino con un attaccamento insicuro comincerà a maturare generalmente una concezione profonda su sé stesso come di una persona indegna di essere amata, incapace, fragile, dell’altro come rifiutante e indisponibile, del mondo circostante come di un posto forse poco accogliente e abitabile. Tale concezione potrebbe successivamente modificarsi con le successive esperienze ed interazioni che avverranno con i genitori e gli altri, le quali però, risentiranno molto dei primi scambi emotivi e comunicativi, oppure proprio in virtù di ciò, consolidarsi, cristallizzandosi attorno ad una convinzione radicata nel profondo.

Infatti, il bambino, a partire dalle aspettative che avrà maturato rispetto a sé stesso, all’altro e all’ambiente circostante, potrebbe essere indotto in futuro a vivere il legame in un modo o nell’altro, con fiducia, oppure polarizzandosi su uno dei due estremi tra la tendenza a rimettersi alla volontà dell’altro per la paura di subirne l’abbandono e quella di tenerlo a distanza, per la paura che la propria individualità venga dissolta, che la propria autonomia e libertà vengano minate. Tali paure generalmente celano la medesima paura del dipendente: essere abbandonato. Essere cioè lasciato miseramente a sé stesso, lasciato dall’altro proprio nel momento cruciale in cui questi si è rivelato importante.

In sostanza per il contro dipendente l’altro, se si rivela importante, inducendolo al tempo stesso a rinunciare a parte della sua autonomia e libertà e poi lo abbandona, gli infligge non solo la delusione della rottura del legame, ma la profonda ferita del doversi trovare a fare i conti con la consapevolezza del bisogno dell’altro che però è inaffidabile. Il contro dipendente si scoprirebbe drammaticamente assoggettato a un altro sul quale non può contare, e quindi nuovamente vulnerabile e inerme, come si è sentito da bambino nei confronti delle sue figure significative.

La relazione madre-figlio è estremamente cruciale, in quanto pone le basi sulle quali si poggerà l'intera struttura psicologica, affettiva, caratteriale e relazionale del bambino. 

La formazione dei modelli operativi interni sarà l’esito delle prime esperienze vissute, del primo legame instauratosi con la madre. Se il bambino ha fatto esperienza di una figura d’attaccamento responsiva, se ha trovato braccia che hanno saputo accoglierlo, se ha incontrato uno sguardo che non si è posato superficialmente su di lui, ma è stato capace di guardarlo a fondo, nella sua essenza e particolarità, egli interiorizzerà un’immagine di sé come soggetto amabile e in grado d’amare e tale rappresentazione, scolpita al suo interno, potrebbe indurlo ad avvicinarsi al legame con un senso di sicurezza interna. 

Se invece ha fatto esperienza di una madre rifiutante, indisponibile, potrebbe sviluppare, in accordo a ciò, una rappresentazione di sé stesso come di un soggetto indegno e dell’altro come indisponibile, restando al di qua del legame.

Come rilevato dal Elsa Coriat nel suo prezioso libro “Puoi perdermi?”, il bambino dentro di sé si domanda cos’è per il genitore. La domanda “puoi perdermi?” può condurre a due risposte: “io sono essenziale per i miei genitori” oppure “loro possono vivere bene anche senza di me, quindi non sono così importante”. Sono queste le due verità soggettive che il bambino, quando raggiunge una consapevolezza sufficiente, assume su di sé: “per l’altro sono importante”, “per l’altro non sono importante”.

L’adulto che da bambino ha assunto quest’ultima verità può cercare di proteggersi da essa e dai suoi strascichi dolorosi accontentandosi di briciole d’amore, soprattutto se è una donna, consegnandosi all’altro nella sua totalità senza osare chiedere nulla in cambio, sperare in un suo sguardo amorevole, in una sua parola gentile. Oppure, può sottrarsi all’altro, soprattutto se è un uomo, decidere che questi non occuperà un posto dentro di lui, relegarlo ai margini della sua affettività proprio per non dover più essere assoggettato a lui e rischiare di esserne ferito, deluso o abbandonato.

Uno sguardo nel mondo interno dei dipendenti e dei contro dipendenti

I dipendenti e i contro dipendenti diventano tali a causa di un vuoto profondo che si affaccia spesso su una voragine mal celata. Nel caso dei primi è il vuoto di una sicurezza interna mai creata, nel caso dei secondi è il vuoto di un incontro mancato e perduto con l’amore genitoriale unico, profondo, esclusivo, dedito. L’amore mancato non equivale necessariamente ad una deprivazione emotiva, ma può anche avere le sembianze dell’indisponibilità, della freddezza, del disinteresse verso la singolarità e l’unicità.

L’adulto dipendente sviluppa una tendenza fondamentale e in alcuni casi imprescindibile, che è quella dell’esserci per il legame. Questi cioè, a causa delle esperienze pregresse con le sue figure d’attaccamento nei cui occhi e comportamenti ha trovato i segni di una presenza eccessiva funzionale a colmare una propria insufficienza, sente di non poter esistere senza l’altro e al di là dell’altro.

Per il dipendente, l’altro è colui che lo sostiene, che lo ama, molto o poco, malgrado la sua scarsa amabilità e che, oltre a ciò, lo rassicura, fornendogli certezze sul legame e sulla sua persona. Tali certezze e tale amore, spesso oltrepassando la sensazione di essere un mero supporto, vengono vissute come qualcosa di essenziale, senza cui non poter vivere. Per alcuni dipendenti, le certezze e l’amore provenienti dall’altro, coprono un buco profondo e spaventoso che è l’angoscia di non esistenza. Non esistenza non va inteso in senso letterale, ma nel senso più profondo e simbolico di non essere niente senza l’altro, o comunque sentirsi cadere nel baratro della propria vulnerabilità o insufficienza.

Gli adulti contro dipendenti da bambini invece, non hanno trovato nel genitore la traccia profonda della loro esistenza. Cioè hanno percepito di non occupare un posto importante nella mente e nel cuore del genitore, di conseguenza, per difendersi da questa lacerante ferita, una volta divenuti adulti, rifuggono dal legame, si sottraggono all’altro nella paura che questi a causa della sua indisponibilità, li abbandoni miseramente, lasciandoli sprofondare in un baratro molto profondo che sconfinerebbe nell’abbandono originario che sentono di aver vissuto da piccoli.

I contro dipendenti avendo fatto l’esperienza del non essere importanti per i genitori, scelgono di non vivere l’altro come qualcosa di significativo, confinandolo nel ruolo marginale e periferico entro cui si sono sentiti confinati a loro volta. Al tempo stesso, in quello stesso ruolo confinano il legame, svuotandolo di importanza, per togliere ad esso la possibilità di nuocere, come una cornice superflua di una vita fin troppo piena. Un contorno quindi, un qualcosa di cui si può far a meno, senza cui si può vivere, proprio per non doversi più trovare a fare i conti con il dolore del rifiuto, dell’abbandono, con l’essenzialità che venendo a mancare può causare la voragine.

Mentre per i dipendenti l’altro e il legame sono essenziali perché senza essi non vivrebbero, essendo abbandonati non potrebbero andare avanti non percependosi niente senza l’altro e sentendosi insufficienti, per i contro dipendenti il legame e l’altro diventano, per difesa, quel niente o quel poco che si sono sentiti loro. Rendendoli niente o poco né il legame né l’altro potranno più ferirli.

I contro dipendenti cercano un modo per potersi bastare da soli, per reggersi e governarsi da sé, senza nessuno; quindi, cercano un modo per non far esistere l’altro, proprio perché se esistesse li abbandonerebbe o li respingerebbe. Al tempo stesso, rivendicano fortemente il diritto di esistere senza l’altro, avendo percepito di non essere esistiti per questi.

I dipendenti e i contro dipendenti, in un modo apparentemente opposto, ma intimamente simile, cercano di evitare l’abbandono dall’altro, nella paura di sprofondare in un dolore troppo grande e profondo da cui pensano che non saprebbero riemergere.

 

Bibliografia

  • Biondi Massimo, American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, QUINTA EDIZIONE DSM-5, Raffaello Cortina Editore, 2014, Milano.
  • Camaioni Luigia, Di Blasio Paola, Psicologia dello Sviluppo, Il Mulino, 2016, Bologna.
  • Di Maggio Giancarlo, Semerari Antonio, I Disturbi di Personalità Modelli e Trattamento. Stati mentali, rappresentazione, cicli interpersonali, Editori Latenza, 2020.
  • Hill Daniel, Tambelli Renata, Teoria della regolazione affettiva. Un modello clinico, Raffaello Cortina Editore, 2017.
Data pubblicazione: 20 aprile 2023

Guarda anche dipendenza 

Altro su "Dipendenza affettiva"