La prima impressione e i suoi fattori d'influenza
Un decimo di secondo è il tempo che si impiega in media per farsi un’impressione di una persona, catalogarla in un determinato modo ed esprimere un giudizio di massima. Una valutazione che poi non si modifica facilmente. Un processo di “etichettamento” del tutto umano che è oggetto di studio da molti anni, sia da parte di scienziati, che di professionisti (manager, imprenditori, etc.) ma anche di persone comuni. Attraverso l’analisi degli studi di settore, in particolare quelli condotti dal professore di psicologia Alexander Todorov (New Jersey) , si è cercato di accompagnare il lettore in un percorso seppur parziale di approfondimento dei meccanismi psicologici che stanno alla base della formulazione delle prime impressioni sull’altro
1) Verso una definizione del tema
Tutti sanno quanto sia importante fare una buona prima impressione, quel primo momento cruciale secondo in cui talvolta ci si aggiudica o si perde per sempre un affare, un lavoro oppure un possibile partner amoroso.
Quello che gli altri pensano quando vedono la nostra faccia per la prima volta può rivelarsi dunque un’occasione importante di cambiamento di vita.
Che si tratti di decidere con chi si vuole entrare in contatto oppure il modo in cui rapportarsi con chi potrebbe dare una svolta al decorso della propria esistenza, si è chiamati sempre a valutare in breve tempo se investire o meno le proprie risorse interne.
Per affrontare questo compito ci si serve primariamente di "indizi" dell'altro che provengono dall’esterno.
Basta tuttavia solo un’occhiata superficiale per crearsi una prima impressione sull'altro?
Il punto è che la formulazione di un primo giudizio sul nostro interlocutore, e con essa il modo successivo di raccolta ed elaborazione di informazioni, non è mai esclusa di schemi mentali, aspettative, esperienze passate e stati emozionali di chi giudica.
Inoltre la prima valutazione della controparte non è mai immune da condizionamenti dovuti al suo aspetto fisico, al suo abbigliamento e alle modalità espressive del “giudicato” nelle sue ampie possibilità di profilarsi. Se uno o più di questi fattori giocano a sfavore della nuova conoscenza, saranno anche maggiori le probabilità di emettere un’opinione negativa. Questo può avvenire, paradossalmente, ancor prima di aver avuto una possibilità effettiva di interazione con lui.
Non solo: nell’uomo è presente la tendenza a processare gli input che gli giungono dall'esterno in modo rapido, sistematico e spesso semplicistico.
Una volta “catalogata” l'informazione percettiva risulterà difficile rivedere (ed eventualmente rimaneggiare) le sue rappresentazioni iniziali sulla persona. La spiegazione di ciò risiede in differenti fenomeni cognitivi, il più importante dei quali è l’effetto primacy.
L’ordine temporale con cui si ricevono le informazioni influenza la percezione e la valutazione dell’altro.
In altre parole siamo portati a credere che le prime cose che veniamo a sapere siano vere. Se nella fase iniziale di un incontro l’interlocutore ci appare, per esempio, simpatico ed estroverso, interpreteremo tutti gli indizi successivi in modo da confermare questa prima valutazione.
Oltre a ciò, anche tutte le informazioni che non sono in linea con lo schema iniziale o non vengono prese in considerazione o vengono giustificate in modo che appaiano accettabili. Dunque se la prima impressione è positiva, tutte le nuove informazioni verranno percepite in modo positivo.
Lo stesso vale per le impressioni di tipo negativo.
2) La prima impressione ed i suoi fattori di influenza
Un tempo non era molto frequente imbattersi in persone sconosciute e l’arrivo di una persona "forestiera" non passava inosservato. Il paese diventava improvvisamente un luogo di tumulto: appena la notizia faceva il giro del quartiere quasi tutti accorrevano sul posto per scrutare il nuovo volto. Si parlottava e si mormorava in modo così forte che il neo arrivato poteva difficilmente far finta di non sentire.
Oggi le cose sono decisamente cambiate. La maggior parte di noi entra in contatto con diverse persone anche sconosciute nell’ambito della vita quotidiana. Ad esempio, quando esce da lavoro ma anche corso della sua giornata.
a) Gli studi sulla presentazione dei volti
Quello che gli altri pensano quando vedono la nostra faccia per la prima volta può rivelarsi l’occasione di un cambiamentoimportante per la nostra vita. Partendo da questa idea molto diffusa nel senso comune, Alex Todorov - professore di psicologia a Princeton (New Jersey) e autore del libro “Face Value: The Irresistible Influence of First Impressions” - ha approfondito il tema delle interazioni umane e in particolare il modo in cui giudichiamo se possiamo fidarci o meno di qualcuno.
Coadiuvato da un team di assistenti Todorov sottopose a dei volontari delle foto di volti, nei quali erano stati manipolati al computer alcuni particolari (altezza delle sopracciglia e l’angolo della bocca).
Ai volontari fu chiesto di stimare il grado di fiducia percepita dal volto.
Le persone che presentavano sopracciglia più sottili erano valutate come irritabili e richiamavano un sentimento di diffidenza “dettagli negativi”). Profili rotondi richiamavano al contrario la gentilezza e per certi versi sicurezza.
Agli stessi soggetti fu chiesto poi di concentrarsi esclusivamente su una delle due parti del volto e poi di emettere il loro giudizio finale sulla persona.
Lo studio sui volti di Todorov ha permesso di offrire spunti interessanti sul modo in cui le persone caratterizzano i tratti facciali per ricavarne delle impressioni.
Di seguito riportiamo alcune considerazioni:
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Le persone si affidano soprattutto alle percezioni suscitate dal viso complessivamente rispetto che al singolo dettaglio.
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I “dettagli negativi” del viso attirano l’attenzione in modo maggiore rispetto a quelli positivi (e associati a sentimenti di fiducia) e vanno ad influenzare la decisione finale.
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Quando si tratta di osservare facce armoniose i soggetti presentano tempi di risposta più veloci.
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Per volti che contengono caratteristiche “contraddittorie” (esempio sopracciglia sottili e viso rotondo)i soggetti hanno bisogno di più tempo.
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Se ai soggetti era dato un tempo superiore a 100 millisecondi riuscivano meglio nel loro compito di valutazione dei volti.
Che aspetto fisico deve avere un individuo per essere stimato come affidabile, competente oppure capace di impressionare?
Prima di porsi questa domanda bisognerebbe tuttavia chiedersi se è possibile conoscere i tratti caratteriali di una persona partendo, ad esempio, dai suoi lineamenti facciali.
L’ipotesi di una possibile correlazione tra queste due dimensioni è oggetto di studi da molto tempo.
Già nel XVIII secolo Johann Kaspar Lavater esplorava le particolarità del volto umano in grado di rivelare peculiarità caratteriali (fisiognomica). Nel XIX secolo il criminologo italiano Cesare Lombroso pretendeva perfino di dedurre il carattere morale (“potenziale delinquenziale”) di una persona soprattutto dai tratti e dalle espressioni del volto.
Anche se queste teorie, che sostengono una correlazione assoluta tra caratteristiche del viso e i tratti caratteriali, hanno perso nel tempo credito scientifico, lo studio della fisiognomica non ha mai spesso di esercitare il suo carisma.
Questa disciplina inoltre ha conosciuto diffusione nel Rinascimento ed è risaputo che tanto Leonardo quanto Michelangelo ne erano appassionati. Il trattato di Pomponio Gaurico intitolato De Sculptura, pubblicato a Firenze nel 1504, presenta questo tipo di conoscenza nei termini seguenti:
«La fisiognomica è un tipo di osservazione, grazie alla quale dalle caratteristiche del corpo rileviamo anche le qualità dell'animo.[...]
Se [gli occhi] saranno piuttosto grandi e con uno sguardo un po' umido, mostreranno un grande spirito, un'anima eccelsa e capace di grandissime cose, ma anche l'iracondo, l'amante del vino e il superbo senza misura: così dicono che fosse Alessandro il Macedone. [...]
Se vedrai un naso pieno, solido e tozzo, come quello dei leoni e dei molossi, lo considererai segno di forza e arroganza. [...]
La fronte quadrata, che ha la lunghezza quanto l'altezza, è indice evidentissimo di prudenza, saggezza, intelligenza, animo splendido»
Alla base dell’interesse per la disciplina fisiognomica vi è probabilmente il fatto “banale” di fidarsi della prima impressione perché sembra giusta. Per quanto rudimentale ed incerto possa sembrare il fatto di farsi impressioni sul volto attraverso il mezzo “ottico”, l’uomo utilizza volentieri questo metodo, soprattutto quando non ha altri mezzi che lo informino sulla persona che vuole “indagare”.
Quali sono i volti che piacciono di più?
In generale le persone tendono a giudicare più positivamente volti che somigliano al proprio, come dimostrano gli esperimenti di Todorov nei quali si chiedeva a dei volontari di valutare il grado di affidabilità di facce che contenevano una percentuale più o meno alta di tratti riconoscibili del proprio viso.
Le persone cercherebbero nell’altro un rispecchiamento che riguarda non solo caratteristiche di tipo fisico ma anche “qualità” interiori. Ad esempio si tende a considerare più onesti e sinceri i volti che somigliano alla faccia "tipica" dell'area in cui si vive.
Anche l’ età dell’osservatore influenza la formulazione di un impressione sull’altra persona. Si tende a preferire il volti dei nostri coetanei rispetto ai volti di persona più mature o più giovani di noi.
Chi ha un viso proporzionato con occhi grandi e un mento più piccolo rispetto al cranio può vantare la cosiddetta "babyface", un viso che sembra sempre giovane.
Se da un lato questa tipologia di volti presenta un aspetto attrattivo dall’altro verrà percepita non sempre come segnale di competenza della persona (si veda paragrafo successivo).
In generale persone che presentano visi regolari e simmetrici sono valutate come più belle ma anche come più intelligenti e competenti. Non solo: queste persone comunicano implicitamente salute e un buon potenziale riproduttivo.
La tendenza a creare una propria realtà soggettiva che non necessariamente corrispondente all'evidenza dei fatti è un fenomeno di distorsione cognitiva.
L’effetto alone (E.L.Thorndike, 1920) rappresenta uno dei casi più frequenti di distorsione cognitiva che capita nel quotidiano. Consiste nel generalizzare una sola caratteristica (o qualità di un oggetto o di una persona), ovvero nell’estendere il giudizio positivo relativo ad una caratteristica a tutto ciò che riguarda l’oggetto o la persona in questione.
Ad esempio il giudizio positivo sull'attrattiva di una persona viene esteso ad altre dimensioni (ad esempio intelligenza o competenza) anche quando queste non sono logicamente congruenti con questa.
Le opinioni soggettive sui tratti caratteriali di una persona sembrano avere un ruolo importante.
E’ quanto risulta anche dagli studi compiuti sui volti da J. B. Freeman (neuroscienziato all’Università di New York). Si chiedeva a dei volontari di giudicare le facce su 5 dimensioni (livello di affidabilità, aggressività, dominanza, intelligenza e la stabilità emozionale) e di riportare se e come queste dimensioni si combinano insieme.
Chi è convinto che le persone intelligenti siano anche persone affidabili lascia trasparire la sua idea attraverso l’individuazione di analogie ottiche.
b) L'influenza degli stereotipi
La formazione della prima impressione è influenzata, in modo particolare, dagli stereotipi.
Questi sono costituiti da tratti e caratteristiche che vengono attribuiti a tutti i membri di una categoria, sono di origine culturale e perciò condivisi da tutti i membri di una determinata cultura. Essi sono in gran parte frutto del processo cognitivo di categorizzazione (H. Tajfel, 1995).
Non appena si fa rientrare la persona entro uno stereotipo, questo andrebbe a condizionare sistematicamente gli altri suoi attributi andando e a distorcere quindi la percezione complessiva. Gli stereotipi consentono la semplificazione di relazioni complesse.
Essi possono andare a connotare la persona e il suo gruppo sociale in modo positivo oppure negativo.
Stereotipi negativi possono trascinare verso di se’ conseguenze pesanti che vanno dalla discriminazione più aperta verso il diverso (ad es. l’omosessuale) fino al fenomeno sociale conosciuto come profezia auto-avverante.
E’ il caso ad esempio del pregiudizio di genere rispetto le abilità matematiche. Nel caso specifico, la differenza di genere non ripaga il genere femmine che è spesso percepito come incapace di fare i calcoli; la classe maschile sembra essere al contrario più intelligente e competente su questa disciplina.
Rispetto questo pregiudizio gli studi hanno evidenziato che il nostro comportamento influenza l’ambiente più di quanto possiamo immaginare creando implicitamente delle aspettative sul comportamento altrui. Aspettative che poi tendono nel tempo a confermarsi.
Un altro esempio: se si presuppone che un nostro collaboratore con la tipologia del viso babyface sia meno competente degli altri, ci si aspetterà da lui prestazioni inferiori alla media. A lui assegneremo probabilmente incarichi più facili e in seguito il suo comportamento non farà che confermare le nostre congetture. Che a questa persona non si sia data la possibilità di dimostrare le sue potenzialità, è un fatto che si tende a dimenticare.
Vi è una letteratura molto ampia che conferma come lo stereotipo giochi un ruolo rilevante sul processamento delle informazioni iniziali della persona.
Robert Linvingston (Università’ di Hervard) e Nicholas Pearce (Northwestern University) hanno studiato ad esempio lo stereotipo legato alla figura dell’uomo di colore.
A dei volontari furono presentate delle foto di persone bianche e persone di pelle scura. Alcuni di questi erano membri di un comitato direttivo (i soggetti sperimentali non erano a conoscenza di questa informazione). La prima consegna fu quella di stimare il livello di competenza e cordialità percepito dalle foto. Dopodiché i volontari dovevano riferire se secondo loro i volti rientravano nello schema di una babyface.
I risultati dello studio furono veramente sorprendenti. Riportiamo a seguire i punti fondamentali:
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I volti babyface di pelle bianca suscitavano valutazioni negative: le persone che avevano questi volti erano giudicate poco competenti e difficilmente capaci di ricoprire posizioni di prestigio;
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I volti babyface di pelle scura richiamavano, diversamente da quelli di pelle bianca, valutazioni positive in termini di competenza.
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Inoltre il volti babyface di pelle scura suscitavano nei partecipanti maggiore gentilezza rispetto ai loro corrispettivi di pelle bianca.
La maggioranza dei volti babyface di pelle scura erano associati a persone che ricoprivano incarichi dirigenziali. Non solo queste persone nella realtà erano manager di grandi imprese ma guadagnavano di più rispetto ai membri dei comitati esecutivi di pelle scura e dai tratti facciali marcati.
Gli autori interpretarono i risultati nel seguente modo: lo schema del babyface sembra esercitare un effetto “compensatore” sul potenziale di minaccia legato allo stereotipo dell’uomo di colore.
Le conclusioni della ricerca confermano l’ipotesi che nessuna prima impressione è scevra di per se da opinioni precostituite, soprattutto quando entrano in gioco stereotipi comuni (come quelli sul colore della pelle, l’età oppure il genere sessuale).
c) Aspetti emozionali del “giudicato”
Anche gli aspetti di tipo emozionale influenzano la formazione delle impressioni. La gente che piace di più è la gente che sorride. Quando qualcuno ci guarda con espressione del viso contenta e l'apertura al sorriso verrà percepito, almeno sul momento, come una persona simpatica e preparata all’aiuto.
Normalmente, quando osserviamo una persona agire in un determinato modo, siamo portati a pensare che quel gesto attuato sia frutto del suo temperamento o carattere, dei suoi pregi o dei suoi difetti, piuttosto che a delle condizioni esterne. Si tende a sottovalutare che, con il tempo, il giudizio sulle persone potrebbe modificarsi in funzione del loro comportamento e delle circostanze che si vengono a creare.
La tendenza sistematica ad attribuire la causa di un comportamento di un altro individuo tendenzialmente al suo modo di presentarsi sottostimando l’influenza di fattori esterni è conosciuta con il nome di errore fondamentale di attribuzione e appartiene alle distorsioni cognitive.
Importante è quindi non passare in modo frettoloso dalle impressioni suscitate da un’occhiata veloce a considerazioni generali anche se questa è la tendenza che fanno le persone comuni.
3) Riflessioni e considerazioni conclusive
Ogni giorno capita di vedere decine di facce più o meno conosciute e ogni volta ne ricaviamo un'impressione. Che siano esse facce sorridenti, cupe, stanche o spensierate... quanto precisa è la nostra prima impressione rimane tuttavia un quesito al quale è difficile dare una risposta precisa.
Diversi fattori entrano in gioco, spesso in modo concomitante, nell’influenzare le nostre valutazioni. Può sembrare un tema “banale” ma anche i lineamenti del volto (accanto agli stereotipi più diffusi) hanno un ruolo centrale nel formare i primi giudizi sull’affidabilità, la competenza e altre qualità (o difetti) del nostro interlocutore.
Attraverso l’analisi degli studi condotti dal professor Todorov nel New Jersey si è cercato di accompagnare il lettore in un percorso (seppure parziale) di approfondimento dei processi psicologici che stanno alla base dalla formulazione delle impressioni sugli altri.
L’intento dell’autrice è quello di favorire maggiore consapevolezza sul fatto che spesso le idee che guidano i nostri comportamenti non sempre sono obiettive o prive di errori.
BIBLIOGRAFIA
- FeldmanHall, O. et al.: Stimulus generalization as a mechanism for learning to trust. PNAS 115, 2018.
- Lopez, R.B. et al.: Media multitasking is associated with altered processing of incidental, irrelevant cues during person perception. BMC Psychology 6, 2018.
- Tajfel, H.: Gruppi umani e categorie sociali. Il Mulino, 1995.
- Thorndike, E.L.: A constant error on psychological rating. Journal of Applied Psychology, IV, 25-29,1920.
- Todorov, A. et al.: Social attributions from faces: Determinants, consequences, accuracy, and functional significance. Annual Review of Psychology 66, 2015.
- Todorov, A.: Face Value: The Irresistible Influence of First Impressions.
Princeton University Press, 2017. - Zebrowitz, L. A.: First impressions from faces. Current Directions in Psychological Science 26, 2017.