Psicoeducazione: il panico e l'ansia
Uno sguardo ravvicinato al fenomeno del Panico e dell'Ansia secondo la prospettiva delle Scienze Cognitive.
PREMESSA PER IL LETTORE
Il Panico e l’Ansia sono fenomeni complessi per i quali non esistono definizioni universalmente riconosciute come valide e condivise all’interno del panorama scientifico contemporaneo. Quella che di seguito verrà presentata è una prospettiva non esaustiva del modo con cui il fenomeno viene descritto e studiato all’interno delle Scienze Cognitive. Approcci di analisi differenti potrebbero offrire spiegazioni diverse dello stesso fenomeno, non necessariamente escludenti o contrapposte a quella che di seguito verrà presentata. L’assenza di tali spiegazioni alternative non esula dal riconoscerne l’esistenza e l’importanza; al contrario, esprime piuttosto il bisogno di ridurre per finalità operative un fenomeno del quale non sembra ancora possibile coglierne la globalità senza che per questo se ne perda parte della ricchezza e complessità.
CHE COS’È IL PANICO
Se volessimo provare ad offrire una prima definizione di questo fenomeno, non potremmo non iniziare riconoscendo come il Panico sia prima di tutto un’emozione; non un’emozione qualsiasi, tuttavia, ma la manifestazione più intensa che potrebbe essere vissuta dell’emozione della Paura.
Parlare di Panico nei termini di esperienza emotiva ci aiuta a comprendere il motivo per il quale questa esperienza, per quanto sgradevole, non costituisca un fenomeno patologico (a differenza del Disturbo di Panico, un disturbo rientrante all’interno dei Disturbi D’Ansia). Nella letteratura scientifica si stima infatti che quote comprese tra il 2.7% e l’11% della popolazione generale sperimenti esperienze simili ogni anno. Tra i principali sintomi riportati durante l’episodio di panico si trovano le palpitazioni, le sensazioni di sbandamento, la paura di perdere il controllo o di impazzire ed i tremori.
In generale, il Panico viene quindi assimilato ad una reazione intensa di paura che è possibile classificare come tale in presenza di almeno quattro dei seguenti sintomi (APA, 2013):
- Battito cardiaco accelerato con intense palpitazioni (tachicardia)
- Sudorazione
- Tremori o contrazioni muscolari rapide ed involontarie (mioclonie)
- Respirazione affannosa (dispnea)
- Sensazione di soffocamento (asfissia)
- Dolore o fastidio al petto
- Nausea o dolori addominali
- Vertigini, sensazione di svenimento o di avere la testa leggera
- Brividi o sensazione di calore
- Intorpidimento dei muscoli e formicoli (parestestie)
- Sensazione di irrealtà (derealizzazione) o di essere distaccati dal proprio corpo (depersonalizzazione)
- Paura di perdere il controllo o “impazzire”
- Paura di morire
Un modello alternativo per descrivere l'esperienza del Panico è quello proposto all'interno della ricerca scientifica, che vede il fenomeno emotivo scomponibile in tre distinti livelli di analisi: psicofisiologico, comportamentale e cognitivo. Come si evincerà nel corso dell'articolo, tale modello esplicativo ha il pregio di permettere una rapida identificazione delle strategie più utili per gestire questa spiacevole esperienza.
Ad un livello psicofisiologico, il Panico si accompagna ad un incremento della contrazione dei muscoli e a modificazioni nel Sistema Nervoso Autonomo (es., incremento della frequenza cardiaca, incremento della pressione arteriosa, incremento della frequenza respiratoria, etc.), percepite nel loro complesso sotto forma di agitazione e irrequietezza interna.
Ad un livello comportamentale, il Panico si presenta sotto forma di un impulso interno ad attaccare o ad allontanarsi dalla situazione temuta (es., impulso impellente ad uscire dal luogo in cui si sta sperimentando il panico).
Infine, ad un livello cognitivo il Panico può manifestarsi sotto forma di pensieri negativi espressi sotto forma di parole o di immagini mentali, che insorgono in modo automatico ed improvviso nel nostro flusso di coscienza.
PERCHÈ INSORGE IL PANICO
Come tutte le emozioni, il Panico esprime la reazione che il nostro organismo produce in risposta all’interazione con uno stimolo interno (es., dolore fisico) o esterno (es., topo), concreto (es., siringa) o astratto (es., incubo notturno). Perché si produca tale intesa emozione, tuttavia, è necessario che lo stimolo, una volta percepito dal nostro sistema cognitivo, venga valutato come estremamente minaccioso per la nostra sopravvivenza fisica o psicologica. Nel suo complesso, il processamento emozionale può essere scomposto come segue:
In riferimento alla paura, i criteri per mezzo dei quali l’organismo valuta come minaccioso o non minaccioso lo stimolo con cui sta interagendo possono essere considerati sia oggettivi che soggettivi. Ad esempio, sappiamo che stimoli inattesi, improvvisi, di elevata intensità e breve durata attivano in modo automatico e inconsapevole un riflesso neuromuscolare noto come Riflesso di Allarme, assimilabile ad una forma primordiale di emozione di paura.
Allo stesso modo, gli stimoli che nella storia evolutiva dell’essere umano hanno ridotto la probabilità di sopravvivenza della specie (es., ratti, ragni, serpenti, etc.) tendono a produrre emozioni di paura più facilmente di altri stimoli, indipendentemente dal significato soggettivo che gli potremmo attribuire; non a caso le Fobie hanno più frequentemente come oggetto specifici stimoli piuttosto che altri (Hudgal, 1995).
Diversamente, altri stimoli (es., cani, grasso corporeo, etc.) possono acquisire un valore di minaccia per motivi riconducibili alla nostra storia di vita personale (es., esperienze pregresse, educazione familiare o socio-culturale, etc.).
Nel caso specifico del Panico, non è semplice stabilire quali siano i criteri che sottenderebbero i processi grazie ai quali l’organismo arriverebbe a valutare come minaccioso lo stimolo con il quale starebbe interagendo. Alcuni studiosi attribuiscono tali funzioni all’attività di regolazione della pressione arteriosa operata da specifici recettori. Secondo questi studiosi, queste proteine innescherebbero la risposta di Panico in modo automatico in presenza di significative alterazioni nei valori di pressione dei vasi sanguigni comunicanti con il cervello (Klein, 1993)
Altri ricercatori si sono invece soffermati ad analizzare le componenti soggettive che regolano i processi di valutazione degli stimoli che innescano il Panico, riconoscendo la presenza di convinzioni catastrofiche inerenti le conseguenze dell’interazione con particolari stimoli (Beck, 1988).
Nel loro insieme, tali tesi aiutano a comprendere il motivo per il quale alcune persone potrebbero essere più facilmente soggette all’esperienza del Panico. In alcuni casi, infatti, è sufficiente entrare in una condizione di iperventilazione perché si presenti l’insieme di sintomi prototipici dell’attacco di panico; in tal senso, potrebbero essere presenti delle predisposizioni fisiologiche (es., ipersensibilità di specifici recettori) che agirebbero aumentando la frequenza di queste condizioni di alterazione della respirazione. In altri casi il Panico potrebbe essere dipendente da un’interpretazione catastrofica di alcune normali sensazioni interne (es., aritmie cardiache).
QUANTO DURA IL PANICO
Normalmente, il Panico ha una durata che può raggiungere al massimo i 15-20 minuti (Barlow et Craske, 1988). Al termine di tale periodo, si assiste ad una completa riduzione dei sintomi descritti nei tre livelli di analisi sopra menzionati. Tale dato è significativo, in quanto spesso coloro che hanno sperimentato il Panico affermano di aver vissuto un'esperienza di ben più lunga durata. A livello personale, infatti, il Panico viene spesso preceduto e succeduto da un'intensa ansia anticipatoria, spesso confusa con la stessa esperienza emotiva del Panico. Una simile limitazione temporale nella durata del Panico giustifica per altro il ricorso in letteratura scientifica del termine “Episodio di Panico” per descrivere tale esperienza emotiva.
A COSA SERVE IL PANICO
Il Panico presiede la specifica funzione di allontanarci dallo stimolo che è stato appena valutato come minaccioso, predisponendoci a mettere in atto quei comportamenti che più di ogni altro si associano alla nostra sopravvivenza: l’attacco (rabbia difensiva) o più solitamente la fuga dalla minaccia.
A ciò sembrano dipendere le diverse modificazioni che si accompagno alla sua manifestazione. Ad esempio, incrementando l’attivazione interna, l’organismo permette che il sangue si sposti velocemente dagli organi interni ai muscoli, supportando in tal modo la messa in atto di eventuali comportamenti difensivi; facendo insorgere l’impulso ad attaccare o scappare dalla situazione temuta, l’organismo ci rende più pronti a reagire al pericolo previsto; ancora, facendo insorgere pensieri negativi rapidi ed improvvisi, l'organismo permette che l'attenzione si sposti dall'attività nella quale eravamo immersi alla fonte di pericolo.
Nel complesso, il Panico appare dunque una reazione adattiva in quanto utile a garantire la nostra sopravvivenza. Questa reazione può comunque divenire disadattiva quando la sua espressione si presenta in contesti che non richiederebbero un simile dispendio di risorse fisiche e mentali; ad esempio, avere un attacco di panico di fronte ad un leone può attivare le risorse fisiologiche necessarie per sostenere un comportamento immediato di fuga; diversamente, la stessa reazione può non essere biologicamente utile se messa in atto di fronte al cucciolo di bassotto della nostra vicina di casa (per quanto minaccioso possa sembrare!).
QUANDO INSORGE IL PANICO
Potenzialmente qualunque situazione potrebbe indurre il nostro organismo a reagire con una risposta di Panico. Ad esempio, nella letteratura scientifica sono ben documentate reazione di Panico in presenza delle seguenti condizioni (Sanavio, 2016):
- Riduzione dello zucchero nel sangue (ipoglicemia)
- Emozioni negative particolarmente intense (es., rabbia, ansia)
- Condizioni di illuminazione particolare
- Uso eccessivo di Caffeina, Nicotina, Etanolo, etc.
- Stanchezza
- Rilassamento improvviso ed indesiderato
- Cambiamenti posturali rapidi ed improvvisi
COME SI GESTISCE IL PANICO
Il Panico NON esprime una condizione di alterazione del normale funzionamento dell’organismo e come tale NON andrebbe gestito se non nei casi in cui la sua manifestazione stia compromettendo le funzioni biologici del nostro organismo o i nostri obiettivi personali. In simili circostanze, la gestione del Panico si tradurrebbe in una serie di interventi che possono essere applicati nei diversi step del processamento emozionale che lo avrebbe generato (Ochsner et al., 2012).
N.B: l’applicazione di tali strategie può portare a prevenire o ridurre l’esperienza di Panico. Tuttavia, non essendo il Panico una reazione patologica, un utilizzo indiscriminato di tali strategie può portare a rivivere in futuro queste esperienze più frequentemente e con un grado maggiore di intensità. Come tale, il loro utilizzo acquisisce un valore terapeutico unicamente all’interno di un piano di trattamento concordato con uno specialista. Chi scrive invita pertanto a non utilizzarle per finalità auto-terapeutiche, e a preferire piuttosto la consultazione con un esperto.
1. Fase di interazione con lo stimolo
Le strategie applicabili a questo livello del processo emozionale sono la selezione della situazione e la modifica dell’interazione.
La selezione della situazione si esplica nell’evitare le situazioni nelle quali si crede possa insorgere l’esperienza del Panico (es., non guidare in autostrada per timore di avere un incidente con un camion).
La modifica della situazione si realizza invece nello scegliere consapevolmente la distanza alla quale porsi dalle stimolazioni che si pensa possano portare a vivere una reazione di Panico (es., guidare in autostrada evitando di superare ogni camion).
Entrambe le strategie sono vincolate alla conoscenza dei fattori che innescano l’esperienza del Panico e prevedono una modifica della distanza fisica dalla stimolazione attivante questa esperienza negativa. Benché utili nel prevenire nell’immediato l’insorgenza del Panico, l’applicazione costante di tali strategie porta a reagire con il Panico ogni qual volta ci si trovasse di fronte all’evento temuto. Chi soffre di un Disturbo di Panico utilizza spesso tali strategie per prevenire l’insorgenza di Panico (evitamenti comportamentali), predisponendosi a sua insaputa a mantenere, più che a ridurre, il proprio disagio nel lungo termine, come pure a reagire con una medesima reazione emotiva nei confronti di stimoli simili (effetto di generalizzazione)
2. Fase di percezione dello stimolo
A questo livello del processamento emozionale possiamo distinguere due differenti strategie: la distribuzione dell’attenzione e la distrazione.
La distribuzione dell’attenzione, ossia il mantenere l'attenzione lontana dalle stimolazioni che si crede possano portare all'insorgenza del Panico (es., andare in autostrada sforzandosi di non concentrare la propria attenzione su ogni tir di passaggio).
La distrazione, ossia lo sforzo di ridurre l’attenzione investita nello stimolo temuto, spostandola e mantenendola verso fonti di stimolazione neutre o più piacevoli (es., guidare in autostrada sforzandosi di mantenersi concentrati sulle canzoni in onda alla radio).
Entrambe le strategie richiedono la conoscenza degli stimoli che innescano il Panico e prevedono una modifica della distanza psicologica dall’evento temuto. Come le precedenti, anche queste strategie sono più utili nel breve periodo, in quanto portano chi le adotta a reagire con il Panico di fronte allo stesso evento o ad eventi simili (es., guidare in strade statali molto trafficate). Non è un caso se molti trattamenti per il Disturbo di Panico attribuiscano una grande importanza all’identificazione (e successiva interruzione) delle strategie simili che il paziente mette in atto per evitare l’esperienza di Panico (evitamenti cognitivi).
3. Fase di risposta emozionale
A questo livello del processamento emozionale è possibile compiere simultaneamente strategie differenti che intervengono a livello delle singole componenti della risposta emozionale del Panico.
Ad un livello psicofisiologico è possibile (a) compiere alcuni esercizi di rilassamento muscolare riducendo volontariamente la modificazione nella contrazione dei muscoli innescata in modo automatico dall'insorgenza della risposta emozionale; (b) compiere alcuni semplici esercizi di ginnastica respiratoria riducendo volontariamente la frequenza del respiro (es., 3 secondi di inspirazione e altre 3 secondi per l’espirazione) e la profondità di inalazione dell’aria (es., respirare utilizzando il diaframma, facendo gonfiare la pancia durante l’inspirazione, per poi farla sgonfiare durante l’espirazione); tale esercizio infatti, riequilibrando i valori di anidride carbonica (CO2) nel sangue, ha la funzione di ripristinare l’acidità ematica, rendendo le cellule del cervello meno eccitabili da stimoli interni o esterni.
Ad un livello comportamentale è possibile ridurre l’esperienza del Panico sforzandosi di non agire l’impulso interno ad attaccare o a fuggire dalla situazione temuta, impegnandosi piuttosto a mantenere l’interazione con lo stimolo attivante (esposizione). Tale auto-esposizione permette infatti che lo stimolo venga reinterpretato poco per volta come non minaccioso.
Infine, ad un livello cognitivo è possibile modificare l’esperienza di Panico attraverso una ridefinizione dello stimolo attivante (es., “Non sto perdendo il controllo, si tratta soltanto di un’emozione”) o una reinterpretazione del significato di minaccia attribuitogli (es., “Ho provato tante volte tachicardia, ma non ho mai perso il controllo”; “Se anche dovessi perdere il controllo, non sarebbe la fine del mondo”).
Poiché molte delle strategie utilizzate per la gestione del Panico vengono impiegate prima che insorga l’esperienza emotiva, è possibile che il loro utilizzo presieda altresì una funzione di regolazione dello stato psico-emotivo che spesso precede l’esperienza di Panico: l’Ansia.
CHE COS'È L'ANSIA
All’interno della cornice teorica delle Scienze Cognitive, l’Ansia viene definita come quello specifico processo psicologico che ci porta ad anticipare mentalmente la possibile comparsa di eventi minacciosi per la nostra salute fisica e psicologica (Rachman, 1998). In quanto processo avente una natura anticipatoria, l’Ansia può essere definita come un’aspettativa negativa, ossia una condizione di vigile attesa di un possibile evento da noi ritenuto come minaccioso.
QUANDO INSORGE L'ANSIA
L’Ansia insorge sempre e soltanto quando non è presente uno stimolo pericoloso per la nostra sopravvivenza fisica o mentale; al contrario, si presenta proprio per anticiparne la sua possibile comparsa. Può risultare complesso stabilire le modalità con cui si manifesta l’Ansia, in quanto tale stato psicologico può presentarsi per motivi casuali, per il ricordo di eventi angoscianti (es., pregresso episodio di panico) come pure per semplice ragionamento (es., “Se i miei amici hanno preso in giro Loredana dopo che avuto un attacco di panico, prenderebbero in giro anche me se lo avessi?”).
PERCHÈ INSORGE L'ANSIA
In virtù della sua natura anticipatoria, l’Ansia ha la funzione di prepararci ad affrontare un pericolo preventivato, solitamente predisponendoci ai comportamenti di “attacco” o di “fuga” descritti in precedenza. Come tale, l’Ansia ci preserva da situazioni minacciose, offrendoci le risorse psicofisiologiche utili per fronteggiare in modo adattivo le sfide che l’ambiente ci pone.
QUANTO DURA L'ANSIA
A differenza del Panico, l’Ansia ha una durata di tempo maggiore, in quanto perdura fino a quando la nostra mente appare intenta a prospettarsi in modo più o meno consapevole la futura comparsa dello stimolo temuto. Da ciò si evince che tutti quei comportamenti che incrementano la nostra tendenza ad analizzare quanto temiamo (es., rimuginazione ansiosa) ci predispongono a mantenerci in una condizione ansiosa.
COME SI GESTISCE L’ANSIA
In qualità di condizione normale ed adattiva, l’Ansia non richiede di essere gestita attivamente dalla persona. In condizioni normali, infatti, l’Ansia viene vissuta come una condizione spiacevole, ma passeggera e appropriata al contesto in cui si manifesta (es., ansia prima di un esame). Spesso il bisogno di gestire questa normale condizione psicologica nasconde in realtà una valutazione catastrofica da parte della persona circa la stessa esperienza dell’Ansia o del Panico, come accade nel classico fenomeno della “Paura della Paura”. Non di rado colui che teme queste esperienze si impegna in strategie per contenerle che portando ad una difficile convivenza con l’esperienza ansiosa.
In casi simili, la richiesta di gestione dell’Ansia che perviene ad uno specialista si traduce in pratica nel lavoro di identificazione ed interruzione delle strategie messe in atto in modo inconsapevole dalla persona, in quanto alla base del mantenimento della grande frequenza ed intensità con la quale la persona esperirebbe la condizione ansiosa.
Un’ansia sproporzionata per frequenza ed intensità, infatti, appare controproducente tanto per la sua funzione biologica di base (es., temendo un intervento medico, si evitano visite periodiche di controllo mettendo a rischio la propria salute), quanto per i propri obiettivi personali (es., “Vivere con l’ansia è un inferno, non posso più uscire di casa, né andare a lavoro”).
Chi scrive esorta dunque il lettore che si riconoscesse in una condizione simile a prediligere l’intervento di uno specialista piuttosto che la gestione autonoma dell’ansia. Tale filosofia di pensiero, per quanto realisticamente di parte, rispecchia altresì una politica figlia dei tempi moderni, riconoscente nella prevenzione (più che nella cura) lo strumento più efficace per ridurre tempi, costi e disagi personali di natura psico-emotiva.
QUANDO SI PARLA DI DISTURBO D’ANSIA
Con le dovute limitazioni del caso, non ci si allontanerebbe troppo dal vero nel riconoscere che tutte le circostanze in cui l’Ansia agisse contro le funzioni biologiche dell’organismo e/o i nostri obiettivi personali potrebbero essere annoverate all’interno della categoria dei Disturbi D’Ansia.
Tra i disturbi d’ansia descritti all’interno del principale manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5) si trovano la Fobia Specifica, il Disturbo d’Ansia Sociale, il Disturbo Di Panico, l’Agorafobia e il Disturbo D’Ansia Generalizzato. Ciascuno di questi disturbi presenta caratteristiche diagnostiche specifiche, per le quali sono stati proposti trattamenti specifici ad oggi risultati efficaci nella riduzione della sintomatologia ansiosa. Ad oggi, tuttavia, uno degli aspetti sul quale più di ogni altro i diversi specialisti appaiono concordi è la necessità di creare forme di trattamento specifiche non tanto per il singolo disturbo, quanto piuttosto per il modo con cui tale disagio si stesse manifestando nella persona. Detto diversamente, riuscire a “cucire” addosso alla persona un trattamento che si adegui a pennello alla sua individualità.
Indipendentemente dalla tipologia specifica di disturbo, è doveroso infine riconoscere che uno dei criteri principali che permette di parlare di “disturbo” è il grado di pervasività soggettivo dell’Ansia. Da ciò consegue che, seppure una persona dovesse avere una reazione d’ansia ritenibile eccessiva in riferimento al grado di pericolo oggettivo di un dato evento, non sarebbe comunque possibile parlare di disturbo fintanto che tale reazione non costituisse un problema significativo per la persona. Solitamente, tali problemi divengono significativi proprio in quanto impediscono al singolo di soddisfare altri importanti bisogni personali (es., avere un partner, uscire di casa, trovare un lavoro, etc.). Sarebbe proprio la compromissione di tali “bisogni altri” a motivare la persona a ricercare un aiuto specialistico.
BIBLIOGRAFIA
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Barlow, D.H. et Craske, M.G. (1994). Mastery of your anxiety and panic II. Graywind: New York.
Beck, A.T. (1988). Cognitive approaches to panic disorders: Theory and therapy. In S. Rachman et J.D. Maser (a cura di), Panic: Psychological perspectives (pp. 91-109). Erlbaum: Hillsdale.
Hudgal, K.(1995). Psychophysiology: The mind-body perspective. Cambridge: Harvard University Press.
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Rapee, R.M., Craske, M.G. et Barlow, D.H. (1990) Subject-described features of panic attacks using self-monitoring. Journal of Anxiety Disorders, 4, 171-181.
Sanavio, E. (2016). L’ansia e i suoi disturbi. In E. Sanavio (a cura di), Manuale di psicopatologia e psicodiagnostica (pp. 49-97). Il Mulino: Bologna.