Psicosomatico: cenni per un approccio analitico

cdipasquale
Dr. C. M. Di Pasquale Psicologo, Psicoterapeuta

Cosa si intende quando si parla di psicosomatico? Un passaggio preliminare importante è comprendere davanti a quale “tipologia” di sintomo ci si trova. A partire da questo la via della cura potrà essere intrapresa con maggior sicurezza.Quella che propongo è un'analisi seguendo l'orientamento psicoanalitico lacaniano.

Sintomo o sintomo analitico?

Nella clinica psicologica connessa ai fenomeni psicosomatici uno dei primi problemi che lo psicologo si trova ad affrontare è quello di individuare quale sia lo statuto del sintomo. La tradizione psicoanalitica ci indica come la formazione del sintomo rimandi a un inconscio fondato a partire dalla rimozione di pensieri e desideri intollerabili per il soggetto. Il sintomo quindi sarebbe una metafora, una modalità diversa che l’inconscio utilizza per poter esprimere tali affetti rimossi senza nominarli direttamente. Preso così, il sintomo sarebbe dunque interpretabile e quindi trattabile. Tale concezione però, per quanto non abbandonata, ha visto nel tempo un mutamento. In questa sede mi limito a dire che possiamo intenderlo come qualcosa che occulta una verità che il soggetto si nega a svelare. Il sintomo in analisi non è preso solo sotto l’aspetto del patimento del soggetto a cui offrire conforto ma diviene un qualcosa che ci fornisce elementi essenziali sul suo modo inconscio di funzionare.

Ora, ciò che è importante è che tale sintomo interroghi la persona al di là del suo aspetto sul piano immaginario. Facciamo un primo esempio. Un paziente che arriva angosciato in uno studio porta tale angoscia come sintomo che sarà trattabile, dal punto di vista psicoanalitico, solo se il soggetto s’implicherà in esso. Cioè se la persona che ne soffre sentirà di aver qualche responsabilità nella formazione sintomatica che la affligge. Mi riferisco a questo sintomo chiamandolo "sintomo analitico". Che a ben vedere è differente anche dal sintomo medico la cui causa, giustamente ricercata all’esterno della realtà psichica, è di tipo ambientale o genetico per esempio.

 

Fenomeno psicosomatico

Ora la questione che porto all’attenzione è la seguente: è possibile fare lo stesso passaggio logico che abbiamo appena visto tra sintomo e sintomo analitico quando si è davanti a sintomo somatico? Cioè, può essere inteso anch’esso come sintomo analitico? La risposta non può essere uguale per tutti ma generalmente è no. Ci vuole qualche passaggio ulteriore.

Quando ci troviamo davanti a un’espressione somatica spesso ci raffrontiamo a qualcosa di diverso e particolare. È essenziale dunque nella diagnosi una differenziazione tra ciò che è effettivamente un sintomo e ciò che ne ha solo l’aspetto sul piano immaginario. Quest’ultimo, secondo l’ottica che qui assumo, sarebbe dunque più corretto chiamarlo "fenomeno psicosomatico" piuttosto che sintomo.[1] Si tratta, nel caso del fenomeno psicosomatico, di qualcosa che corrisponde esclusivamente a una sofferenza che porta i segni spesso di una lesione fenomenicamente verificabile come ad esempio una psoriasi, una gastrite o un’afonia. Sarebbe pertanto un fenomeno emergente dal corpo biologico e che non concerne il corpo immaginario come rappresentazione dell’Io.

È un fenomeno che non fa domanda. Il paziente tende a non implicarsi in esso nei termini che ho esposto poco sopra. Non è né dialettizzabile né interrogabile dal paziente. Non essendoci un corrispettivo nel corpo immaginario viene meno la possibilità di analisi della parola. Rimane un reale che fa domanda, non in senso analitico dunque, e la cui risposta è ricercata quasi esclusivamente presso il medico. La cute, lo stomaco, il cuore, il corpo tutto, in questa maniera continuano a esser trattati come pezzi, componentistica. Il fenomeno psicosomatico non fa metafora. È come, facendo un esempio spicciolo, ricevere un colpo al braccio e recarsi dall’ortopedico per la frattura occorsa. Tale problema non implica ovviamente l’inconscio: l’arto è fratturato e va riparato. C’è un pezzo del corpo da mettere a posto. Punto.

Bisogna però fare attenzione, non è sempre vero che qualsiasi cosa che si manifesta nel corpo sia un fenomeno psicosomatico. Potrebbe essere invece un sintomo tra quelli trattabili. Potremmo essere dinanzi a qualcosa che ha la possibilità di essere metaforizzabile, rientrante quindi nelle regole del linguaggio. Il paziente sente che può avere un senso da ricercare. A partire da questo sintomo il paziente può insieme all’analista mettersi al lavoro. Questo non accade con il fenomeno psicosomatico che invece, come già detto, non è dialettizzabile. Ecco che è fondamentale che si operi correttamente quell'analisi differenziale nella diagnosi, che prima richiamavo, in grado di identificare con ragionevole certezza cosa c’è in gioco.

 

Quali sono le conseguenze?

Secondo J. Lacan[2] lo psicosomatico è una scrittura sul corpo che richiede una decifrazione come quella di un geroglifico. Il problema è che non abbiamo la possibilità di trovare un codice di decifrazione che non sia nella sua stessa traccia, perché non è dell’ordine del simbolico. Facciamo un altro esempio. Un paziente che presenta un sintomo nevrotico si reca dallo psicologo perché s’interroga su di esso, porrà delle domande che lo condurranno a produrre catene linguistiche che avranno effetti nella cura. Ma i pazienti che si presentano con un fenomeno psicosomatico non si domandano nulla riguardo la loro sofferenza psichica; circoscrivono il problema al corpo e lo isolano completamente da qualsiasi relazione con il mondo psicologico. Soffrono sì, fisicamente e psichicamente, ma mentre la prima di queste sofferenze comporta una domanda, la seconda è solo un inevitabile corollario della prima. I pazienti tendono a passare allora da un medico all’altro alla ricerca di qualcuno che possa fornire risposte sul proprio corpo. Ben inteso, si tratta di passaggi importantissimi. Mi preme qui mettere in guardia quanti non si rivolgessero prima, o in parallelo, a un medico. L’alta probabilità che si sia davanti effettivamente a una disfunzione da curare con la medicina deve sconsigliare il ricorrere esclusivamente allo psicologo o allo psicoterapeuta. Ma come ho detto quello che generalmente avviene è proprio il contrario e non si giunge dallo psicologo se non “dopo averle provate tutte”. Sono questi i pazienti a cui mi riferisco. Persone che comunque hanno, o stanno, escludendo un problema la cui sola risposta sia la scienza medica. È quindi comune che giunga in uno studio su indicazione del medico o per risolvere altri sintomi o questioni che invece, questi sì, fanno domanda. Soggetti quindi non interrogati dal fenomeno psicosomatico, che mettono esclusivamente l’Altro nel luogo del sapere e per i quali è difficile aprire un processo di soggettivazione. Cioè un processo che li interroghi su ciò che sta capitando di là dalle manifestazioni fisiche e a ipotizzare di avere loro stessi quella verità sul proprio sintomo che cercano negli altri. E non è certo facile!

Ecco una piccola vignetta. Marco (nome di fantasia) si reca dallo psicologo per un problema relazionale. Si sente confuso, triste e denuncia episodi ansiosi ricorrenti. Si presenta in studio con una psoriasi piuttosto pronunciata. Di questa ne parla solo durante il secondo incontro come qualcosa apparsa all’improvviso e non certa bella da vedere. Non è un sintomo per Marco, la psoriasi è fuori dal suo discorso. Marco sa che è comparsa nello stesso periodo di un evento doloroso. Lo costata e passa oltre. Non ne parla. Marco cercava sostegno a proposito della situazione sentimentale traballante. Al termine di uno dei colloqui, sull’uscio dice: “… e poi anche la psoriasi sta andando via, magari c’entra qualcosa con gli altri problemi”. Che i colloqui di sostegno abbiano avuto effetto sulla psoriasi? Questo non posso affermarlo ma tre sono i dati sui quali posso avere certezze. In primo luogo Marco durante i colloqui si è implicato nei suoi problemi tanto da ritenere che il suo malessere dipenda anche da come si pone rispetto a questi. In secondo luogo mette in questione la psoriasi pur non facendola rientrare completamente nel discorso, ne parlerà sporadicamente da quella battuta sull’uscio. E terzo, al termine del ciclo d’incontri si è registra un miglioramento del benessere psicologico della persona.

 

Vi sono soluzioni?

Gli approcci per cercare e trovare una soluzione sono tanti quanti sono le correnti/teorie del mondo psi. Io qui ne offro solo una visione con riferimento alla clinica psicoanalitica lacaniana.

Il lavoro insieme al professionista può permettere al paziente di creare una domanda e accedere conseguentemente a un lavoro di decifrazione che possa essere sintomatizzato. Cioè si possono creare le condizioni affinché emerga quel sintomo analitico, a cui mi riferivo prima, che sia a questo punto “trattabile” con lo strumento della parola. Il geroglifico che ha sostituito la parola può essere convertito e decifrato in ragione dell’analogia che ha proprio con questa, per creare un nuovo sintomo e a partire da esso produrre le associazioni di catene linguistiche, necessarie per la cura, in grado di scomporre l’olofrase[3] a cui è ridotta la catena significante. Tutto sommato il fenomeno è fuori discorso ma non fuori dal linguaggio. Cioè del fenomeno non si può dire niente finché non si giunga a creare una Stele di Rosetta che fornisca la chiave della decifrazione.

Miller ricorda come in fenomeni del genere non vi sia nessun appello all’Altro e che dove generalmente si manifesta la simbolizzazione dell’immaginario, troviamo invece l’immaginarizzazione del simbolico. Il lavoro di decifrazione di cui parlavo poco sopra deve allora, sempre seguendo Miller, in questa strada verso la sintomatizzazione del fenomeno, aprire a “una domanda a proposito del desiderio”.[4] Ma non vi può essere desiderio senza fare appello all’Altro.

Il fenomeno psicosomatico, riassumendo, impedisce l’interpretazione e la possibilità di una metaforizzazione. Ora, tenuto conto della necessità di una ricerca di soggettivizzazione, un’operazione da tentare sarebbe la metonimizzazione del fenomeno psicosomatico.[5] Questo segnerebbe l’emergere del Soggetto inconscio. Un Soggetto che quindi entrerebbe nel discorso e conseguentemente in un legame con l’Altro. Il fenomeno psicosomatico diverrebbe un sintomo finalmente interrogabile che mette in questione il Soggetto e rispetto al quale potrebbe cercare e trovare una posizione finalmente diversa sino a spegnerlo nella sua recrudescenza biologica.

 

Bibbliografia:

[1]J.-A. Miller, Riflessioni sul fenomeno psicosomatico, in I paradigmi del godimento, Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 2001, pp.219-225

[2] J. Lacan, Il sintomo, Conferenza di Ginevra del 4/10/1975, in La Psicoanalisi n. 2, Astrolabio, Roma, 1987 pp. 16 -34

[3] “L’olofrase è una figura retorica che, al contrario della metafora, non rappresenta nulla in quanto segnala piuttosto il fallimento dell’azione rappresentativa della metafora. Un’olofrase è una parola-frase. È una frase non scomponibile, congelata, pietrificata”. (M. Recalcati, Introduzione alla psicoanalisi contemporanea. I problemi del dopo Freud, Mondadori Bruno 2003, p. 120)

[4] J.-A. Miller, Riflessioni sul fenomeno psicosomatico, in I paradigmi del godimento, Astrolabio – Ubaldini, Roma 2001, pp.219-225

[5] M. Recalcati, L'uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010

Altri testi consultati:

A. Di Ciaccia, La clinica psicoanalitica, La Psicoanalisi, n. 12, Astrolabio–Ubaldini Editore, Roma 1992, pp. 118-125

M. Focchi, La Lingua Indiscreta e L'Irripetibile in www.lacan.com/lingua.htm

J. Lacan, La direzione della cura e i principi del suo potere (1958), in Scritti, vol II, Einaudi, Torino 2002

J. Lacan, Il Seminario. Libro II. L'io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicanalisi (1954-1955), Einaudi, Torino 2006

J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino 2003

 

Data pubblicazione: 04 luglio 2016

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