Sindrome burnout prevenzione.

Rischio stress lavoro-correlato e Prevenzione Burnout

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Dr.ssa Rita Imbrescia Psicoterapeuta, Psicologo

Come rilevare e gestire i livelli di stress lavoro-correlato per prevenire l'insorgenza della sindrome del burnout nelle professioni d'aiuto considerate categorie professionali a rischio

Che cosa indichiamo con il termine salute?

“Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia” (OMS, 1948).

Per salute quindi non intendiamo uno "stato“ ma una condizione dinamica di equilibrio, fondata sulla capacità del soggetto di interagire con l'ambiente adattandosi al continuo modificarsi della realtà circostante.

La soggettività, cioè il modo di percepire la realtà da parte del soggetto e di filtrarne i significati, è ciò che fa la differenza andando a incidere in modo decisivo sul proprio benessere psico-fisico, e sulla possibilità di raggiungerlo.

In quest’ottica mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale diventa un obiettivo da perseguire non solo nell’ambito della vita privata ma anche all’interno dell’ambiente lavorativo.

Il moderno concetto di salute nei posti di lavoro cerca di superare le differenze tra individuo, organizzazione e aspetti socio-culturali, evidenziando come tutte queste variabili siano responsabili della salute e del “clima” che si crea nel contesto lavorativo.

Stress da lavoro: cosa dice la Legge

L’Accordo Europeo sullo stress sul lavoro, Bruxelles, 8 ottobre 2004 sottolinea che “considerare il problema dello stress sul lavoro può voler dire una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, con conseguenti benefici economici e sociali per le aziende, i lavoratori e la società nel suo insieme”.

Alla luce di tale accordo il D. Lgs. 81/2008 (e sue Disposizioni integrative e correttive del 2009) in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, introduce il rischio di stress lavoro correlato. Il decreto mette in primo piano la necessità di offrire ai datori di lavoro e ai lavoratori un modello che consenta di individuare, prevenire e gestire i problemi di stress da lavoro.

La Commissione Consultiva permanente per la salute e la sicurezza del lavoro ha fornito indicazioni “minime” necessarie alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato:

  • Che cos’è lo stress;
  • Quale legame ha con le Professioni d’aiuto;
  • Valutazione del rischio da stress lavoro-correlato;
  • Valutazione preliminare oggettiva;
  • Valutazione della percezione soggettiva dei lavoratori.

Che cosa s’intende con stress?

Seyle (1936) parla di Sindrome Generale di Adattamento: lo stress è la reazione biologica aspecifica di tutto l’organismo a qualsiasi agente stressante. Possiamo definire come agente stressante quel fattore piacevole o spiacevole, esterno o interno all’individuo che determinando un cambiamento, richiede all’individuo capacità di adattamento.

Sia quando l’evento collegato allo stress è piacevole, sia quando è spiacevole, l’organismo mobilita le stesse risposte a livello biologico: è come se la reazione biologica facesse da campanello di allarme che avvisa di qualche cambiamento in atto.

Ricerche dimostrano che un adeguato livello di stress affina le capacità di attenzione, di concentrazione, di apprendimento, di memoria e di risoluzione dei problemi (Farnè M. 1999). Tuttavia se la condizione stressante continua oppure se è percepita dalla persona come troppo intensa, la naturale capacità di adattamento dell’organismo perde la sua efficacia.

Accanto a una reazione biologica, infatti, c’è anche una reazione psicologica soggettiva: se immaginiamo lo stress come qualcosa che possa essere pesato con una bilancia, possiamo dire che è l’individuo che contribuisce con il suo sistema di valori, con il suo mondo emotivo, con la sua storia personale, a far spostare il peso dello stress sul piatto “stress come fattore di rischio” anziché sul piatto “stress come fattore di protezione”.

A parità di condizioni esterne, lo stress potrà assumere una forma costruttiva o distruttiva nella vita di una persona, in base a come sarà vissuto e gestito dalla persona stessa.

Stress e professioni d’aiuto

Sono definite "helping profession"tutte quelle professioni (medici, psicologi, psicoterapeuti, operatori socio-assistenziali, infermieri, insegnanti) in cui la relazione con l'altro è la parte fondamentale del lavoro, che oltre a richiedere competenze tecniche si caratterizza per un forte coinvolgimento emotivo del lavoratore con il proprio “cliente”.

Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro personale e quello della persona aiutata. Per questo duplice aspetto che le caratterizza, le professioni d’aiuto sono considerate “categoria professionale a rischio”: nella persona che svolge questi tipi di professioni, infatti, si mobilitano alcune dinamiche che se non sono rese consapevoli rischiano in alcuni casi di intrappolare il lavoratore.

Alcune di queste dinamiche che la relazione d’aiuto attiva possono essere:

  • l'eccessiva speranza idealistica di poter aiutare tutti (in questo caso l'operatore sente di dover “donare” tutto se stesso superando i propri limiti fisici e psichici a causa di un eccessivo investimento emotivo);
  • Il mettersi in condizione di stabilire uno squilibrio tra le esigenze altrui e le proprie (in questo caso l’operatore finisce per accettare acriticamente valori e doveri interiorizzati del proprio sistema di appartenenza negando i propri bisogni più intimi e perdendo di vista i confini entro cui la relazione possa definirsi d’aiuto);
  • l'operatore sente di non poter realizzare le proprie aspettative e sperimenta un sentimento di frustrazione (in questo caso l’operatore può “agire” il proprio senso di frustrazione, manifestandolo attraverso atteggiamenti di distacco e apatia nei rapporti con il suo cliente e anche nei propri rapporti interpersonali, spesso può nascondere la frustrazione rinforzando in apparenza la propria immagine di efficienza professionale).

La sindrome del burnout

Dinamiche come queste se non gestite, possono alla lunga condurre a una sindrome definita “sindrome del burnout” (letteralmente bruciarsi).

Secondo Cherniss (1980) il burnout è il culmine di un processo stressogeno che si articola in tre fasi:

  1. Percezione della situazione stessante: il soggetto sente un disagio che è causato dalla differenza tra risorse personali e richieste ambientali;
  2. Emotività negativa: il soggetto sperimenta un disagio emotivo caratterizzato da tensione e ansia;
  3. Coping: il soggetto di fronte ad una situazione stressante evita il problema attraverso il disimpegno e il distacco emotivo;

Questo processo stressogeno coinvolge non solo il lavoratore come individuo, ma anche l’azienda e la sua struttura organizzativa. Ricerche dimostrano, infatti, che il livello di stress lavoro-correlato aumenta d’intensità quando si creano situazioni specifiche come:

  • conflitti di ruolo tra colleghi;
  • carichi di lavoro gestiti male;
  • contesto lavorativo troppo rigido, che limita le possibilità di partecipazione e di decisione.

Per approfondire:Burnout: come valutare il rischio di stress da lavoro

Stress lavoro correlato: prevenzione

Per tutti questi motivi un progetto di prevenzione deve porsi come obiettivi:

  • la prevenzione del disagio legato allo stress lavoro-correlato;
  • la promozione del benessere e della salute dei lavoratori;
  • il miglioramento della qualità del clima lavorativo;
  • il benessere organizzativo che si riferisce al rapporto che lega le persone al proprio contesto di lavoro.

Valutazione e Gestione del Rischio da Stress Lavoro-Correlato: metodologia

Alcune linee guida sono state fornite dall’Inail, Dipartimento di Medicina del Lavoro (Dml), ex Ispels (Istituto Superiore per la Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro) sulla Valutazione e Gestione del Rischio da Stress Lavoro-Correlato (obbligatoria a decorrere dal 31 Dicembre 2010 – Art. 29 D. Lgs. 81/08).Il Dml ha condotto specifiche attività di ricerca sul tema e ha messo a punto un percorso metodologico, validato su un campione rappresentativo di lavoratori occupati in aziende appartenenti a diverse aree produttive, con l’obiettivo di fornire un percorso sistematico che permetta al datore di lavoro e alle figure della prevenzione presenti in azienda di gestire questo rischio passo per passo.

1° Passo: Valutazione Preliminare

Questa prima fase ha come obiettivo la raccolta d’indicatori di rischio da stress lavoro-correlato oggettivi e verificabili.

Si utilizzano a tale scopo apposite “liste di controllo” cioè strumenti ampiamente sperimentati che, basati sulla letteratura scientifica corrente, contengono tre aree d’indicatori specifici in grado di rilevare:

Area 1. gli “eventi sentinella” (indici infortunistici, assenze per malattia, turnover, procedimenti e sanzioni, segnalazioni del medico competente, specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori);

Area 2. i fattori di contenuto del lavoro (ambiente e attrezzature, carichi e ritmi di lavoro, orari e turni, corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti);

Area 3. i fattori di contesto del lavoro (ruolo nell’ambito dell’organizzazione, autonomia decisionale e controllo, conflitti interpersonali al lavoro, evoluzione e sviluppo di carriera, comunicazione tra le parti rispetto alle proprie mansioni);

Si utilizza una lista di controllo per ogni livello di complessità organizzativa e nel nostro caso si è scelto di utilizzare una lista per ogni servizio gestito dalla Cooperativa, in modo da avere gruppi omogenei di lavoratori.

Come funziona la lista di controllo?

Ogni area contiene un certo numero d’indicatori. A ogni indicatore è associato un punteggio che concorre a quello complessivo dell’area indagata di volta in volta. Sommando i tre punteggi concernenti, le tre aree, otteniamo un valore in percentuale che ci indica la posizione del gruppo esaminato, nella tabella dei livelli di rischio.

2° Passo: Valutazione Soggettiva dei Lavoratori

Questa fase prende in considerazione il punto di vista dei lavoratori rispetto allo stress legato al lavoro che svolgono. Un’attenta valutazione dello stress nel modo in cui l’abbiamo definito sopra, non può prescindere dalla dimensione soggettiva che mette in luce il sentire di ogni lavoratore, evidenziando cioè che cosa è percepito come stressante da ognuno.

Indipendentemente dagli esiti della fase preliminare, l’analisi della percezione dei lavoratori costituisce un elemento chiave per definire il rischio stress nella sua complessità.

In questa fase è utile partire dalla somministrazione del “questionario strumento – indicatore” anonimo, validato e fornito dalla procedura metodologica dell'Inail.

Come funziona il questionario?

Il questionario è composto di trentacinque domande riguardanti le condizioni di lavoro ritenute potenziali cause di stress all’interno dell’azienda, che corrispondono a sei parametri o dimensioni organizzative chiave riguardanti le principali fonti di stress negli ambienti di lavoro (1.domanda, 2.controllo, 3. supporto, 4.relazioni, 5. ruolo, 6. cambiamento) definite dal modello Management Standards. A ogni dimensione organizzativa chiave corrisponde una situazione standard cioè una situazione prevedibile e una condizione ideale cioè uno stato da conseguire rispetto a ogni parametro.

Ogni questionario andrà inserito in un software che produrrà dei risultati sulla percezione soggettiva di rischio stress dei lavoratori, utilizzando anche qui una tabella del livello di rischio. Questi risultati permetteranno di vedere su quali fattori è necessario intervenire.

3° Passo: Pianificazione degli Interventi Successivi

Questa fase all'interno di un progetto di prevenzione dello stress mira a una valutazione più approfondita. Si potrebbe obiettare a questo punto che tale fase debba essere attuata solo nei casi in cui ci sia stata una rilevazione di rischio medio- alto nella valutazione preliminare.

Tuttavia questo percorso metodologico rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato per tutti i datori di lavoro, e non preclude quindi la possibilità di un percorso più articolato, basato sulle reali e complesse necessità delle aziende.

In quest’ottica è utile mettere insieme le conoscenze di cui disponiamo rispetto allo stretto legame tra stress e professioni d’aiuto con quest’opportunità di prevenzione e di sviluppo del benessere dei lavoratori.

Una forma di prevenzione molto efficace, nel contrastare l'insorgenza di sintomi causati dallo stress, consiste nel tener conto dell’influenza circolare di variabili di tipo psicologico, relazionale ed emotivo all'interno delle attività di aiuto:

Importante è dunque fornire ai lavoratori la possibilità di partecipare ad attività di gruppo, pensate come uno spazio che accompagni i professionisti d’aiuto nel loro percorso lavorativo e accresca la loro personale capacità di rispondere alle situazioni che possono essere vissute come problematiche o difficili da gestire.

La formazione di gruppi pensati per i professionisti d’aiuto all'interno di un progetto di prevenzione ha l’obiettivo di:

  • Promuovere la crescita personale;
  • Fornire un sostegno emotivo;
  • Facilitare la condivisione di esperienze emotivamente cariche;
  • Accrescere la capacità di auto sostegno;
  • Fornire uno spazio fisico, rappresentato dal contesto di gruppo, che possa essere metabolizzato, interiorizzato e trasformato da ciascun partecipante in uno spazio interno avente funzione protettiva per il professionista nelle situazioni di particolare stress;
  • Facilitare il processo di elaborazione di vissuti personali rispetto al ruolo ricoperto;
  • Fornire strumenti di supporto rispetto alla gestione di emozioni come la rabbia e il dolore, che possono, se mal utilizzate, perdere il loro potenziale ruolo di orientamento costruttivo nelle situazioni finendo per rappresentare un ostacolo allo svolgimento del proprio lavoro;

Durante i gruppi particolare rilievo è dato all’ascolto emozionale riportato nel “qui e ora” delle relazioni e all’esplorazione dei vissuti emersi nel “là e allora” delle relazioni durante l’attività lavorativa. I professionisti d’aiuto, infatti, devono essere una presenza emotivamente vicina per i loro clienti e al tempo stesso mantenere la giusta distanza al fine di non farsi coinvolgere al punto tale da non essere più capace di dare, nei modi e nei momenti opportuni, risposte di sostegno incisive.

Favorire la formazione di questi gruppi nelle aziende equivale a creare un luogo di confronto attivo con gli altri colleghi, dove trovare ascolto rispetto a tutti quegli aspetti della relazione d’aiuto che possono essere pesanti o difficili da digerire in alcuni momenti del proprio percorso lavorativo; e dove poter sperimentare in maniera protetta modalità efficaci di gestione di questi aspetti, in modo da evitare che diventino fattori di stress disfunzionali per il proprio lavoro e per la propria vita.

“Se il professionista d’aiuto ha un buon rispetto di sé, ha rispetto per i suoi pazienti e la sua capacità d’ascolto non sarà indebolita da fantasie di onniscienza o perfezionismo. Saprà, infatti, di non essere un mago da cui ci si aspettano miracoli terapeutici e sarà in grado di ammettere i propri errori, i propri limiti, l’ansia e l’angoscia quando si manifestano” (Fromm-Reichmann F., 1950).

Bibliografia

  1. Accordo europeo sullo stress sul lavoro (Bruxelles, 8 ottobre 2004);
  2. Carta di Ottawa per la promozione della salute, (1986);
  3. Cherniss, C, Professional burnout in human service organizations. New York: Praeger, (1980).
  4. Fromm-Reichmann, F., Principles of intensive psychotherapy, Chicago, University of Chicago Press, (1950);
  5. Indirizzi generali della valutazione e gestione del rischio stress-lavorativo alla luce dell'Accordo europeo 8 ottobre 2004 (articolo 28 comma 1, Dlgs n. 81/08 e successive modifiche e integrazioni) (dicembre 2009);
  6. Organizzazione Mondiale della Sanità, www.salute.gov.it
  7. Selye, H., A Syndrome Produced by Diverse Nocuous Agents, (1936 Nature - 1998).
Data pubblicazione: 21 febbraio 2016

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