Stress, rilassamento, soggettività: aspetti psicologici e psicosomatici
Il corpo si rivolta, ribella, lamenta come se fosse una macchina che sfugge al controllo. Ma è poi quello il problema? Il controllo, un controllo attivo, l'imbrigliamento del corpo-macchina disubbidiente?
Premesse
-Sono teso, ho bisogno di rilassarmi.
-Mi sento tutto irrigidito.
-Sono esausto.
-Ogni tanto mi manca il fiato.
-Di punto in bianco mi prende l’agitazione.
...e via di questo passo. Così si sente dire di frequente da chi si lamenta di un corpo che si rivolta e ribella come se fosse una macchina che sfugge al controllo.
Qui vorrei domandarmi se il problema sia poi quello del controllo, dell’imbrigliamento del corpo-macchina disubbidiente.
Si tratta di fenomeni indipendenti da come l’individuo li sperimenta soggettivamente?
Partendo da uno sguardo critico al fenomeno delle lamentele simili a quelle giocosamente riportate qui sopra, vorrei proporre un possibile significato del termine “rilassamento”.
Il tiro alla fune
Nell’atteggiamento della persona-padrona di un corpo-strumento, i contrasti fra i due vengono giocati come una specie di scontro di volontà (o, più che altro, un tiro alla fune).
È bene tenere a mente che non è il caso di farsene una colpa (facile a dirsi…), se ci si riconosce nella vignetta. Esistono episodi perfettamente comuni che assumono i tratti dell’imposizione della volontà sulle altre spinte motivazionali di un individuo. Ne sono esempi chi va al lavoro febbricitante, chi si sveglia controvoglia, chi gioca con i figli anche se esausto.
In questi casi necessità e desiderio rimandano le lamentele dell’organismo, o si sostituiscono ad esse.
Punti di riferimento
In alcuni casi, la facoltà di agire (invece di attendere, rimandare o pensare) sembra essere però l’unica disponibile. Agire, in quei casi, non è più un’opzione fra tante, ma una scelta quasi obbligata e talvolta dispendiosa.
Nella letteratura psicoanalitica, l’idea che una parte della mente di un essere umano funzioni come organo di mediazione fra le spinte interne all’organismo e i dati esterni ad esso risale a Freud (vedi ad es. L’Io e l’Es, o già L’interpretazione dei sogni).
Ad esempio, si potrebbe essere interessati sentimentalmente ad una persona, ma non potere avvicinarla per qualche motivo. L’elaborazione mentale di una situazione simile può aprire a tutto un ventaglio di opzioni: rinunciare, impegnarsi a farsi notare, finire per non pensarci più, rimanere in attesa… Tutti questi atteggiamenti potrebbero manifestarsi come considerazioni come “Non potrà mai essere mia!”, “Non le interesso”, “Sono innamorato, “Se curo il mio aspetto, avrò più possibilità di fare colpo” o azioni come fare regali, chiudersi in casa, dedicarsi al lavoro, fare dichiarazioni o telefonate sull’onda del sentimento...
Secondo il ruolo che possiamo attribuire alla mente in questo contesto, le diverse opzioni che ciascuno ha davanti a sé in una situazione simile dipendono non solo dai dati esterni alla persona (la persona desiderata è sposata, è una collega, è di età diversa, etc), ma anche da come il soggetto interpreta questi dati (ritenere di avere buone possibilità, sentirsi incapace di piacere, considerare la situazione modificabile, etc.).
Questa funzione di elaborazione mentale è considerata carente nei casi detti di malattia “psicosomatica”. Quegli elementi interni non riescono ad incontrarsi con l’addomesticamento, selezione, trasformazione da parte della mente, ma si trasformano in un sovraccarico a spese dell’organismo.
In alcuni contribuiti psicoanalitici in campo di psicosomatica, come quelli di Marty o McDougall, vengono descritte situazioni cliniche in cui il paziente si trova, in diversi gradi, impossibilitato a formulare le varie possibili considerazioni su eventi emotivo-relazionali della vita. Invece, poste davanti a problemi di questo tipo, queste persone tendono ad ammalarsi fisicamente.
Alcune delle persone descritte, ad esempio, si ammalano nei modi più vari al posto di provare dolore mentale per una situazione sentimentale difficile.
Solano, che si occupa di questi temi dal vertice della ricerca empirica[1] (ad es: influenza delle caratteristiche personali sul funzionamento del sistema immunitario), sottolinea l’importanza di tenere conto delle caratteristiche soggettive e situazionali degli eventi legati alla salute. Ne emerge un quadro in cui i vari intrecci di situazione-persona-biologia sono molto complessi e permettono di ipotizzare perché alcune persone tendano ad ammalarsi più facilmente ed altre siano più resistenti, in che termini, in che situazioni, con quale grado di variabilità, etc…
Le implicazioni
Questa capacità di utilizzare la mente come mediatore dipende, quindi, oltre che dal tipo di evento (ad es: eventi traumatici tendono ad avere un effetto negativo sulla salute) e dalle caratteristiche costituzionali, anche dal modo in cui vengono affrontate soggettivamente tali situazioni (ad es: riferire eventi traumatici subiti migliora le prestazioni del sistema immunitario[2]).
Riprendendo il nostro esempio sulle “lamentele rimandate”, esistono situazioni in cui “imposizione della volontà” ha meno successo. Un esempio su tutti, il tentativo di “sforzarsi di prendere sonno/rilassarsi” che, esperienza comune, riesce ad ottenere con scientifica precisione l’effetto contrario.
La situazione che prima ho descritto come “andare contro” il corpo, contrapporre la volontà al corpo, forse ora può apparire più chiara. Il corpo, in quei casi, viene trattato come se fosse un evento esterno, indipendente dalla mente della persona.
In questa sede non desidero proporre di fare l’esatto opposto, cioè di assumere un atteggiamento di totale passività. Non sempre è possibile riposare o fermarsi. Non sempre si desidera interrompere il lavoro, o tralasciare di giocare, anche esausti, col proprio bambino.
Vorrei proporre, invece, un modo che mi pare più sottile di vedere la situazione, e tentare di rendere l’idea in termini comprensibili.
Di cosa stiamo parlando?
Immaginiamo una persona. Potremmo parlare delle sue caratteristiche “corporee”, rifacendoci ad esempio alle nostre conoscenze di biologia; parleremmo allora di contratture dei muscoli, di sudorazione, di palpitazioni, etc.
La stessa persona potrebbe essere descritta, in ottica psicologica, nelle sue caratteristiche “mentali”: vedremmo allora quella stessa persona come angosciata, o arrabbiata, o spaventata, etc…
Se diciamo che una persona è in uno stato mentale di paura ed uno stato corporeo di attivazione ci serviamo di due codici diversi per riferirci ad uno stesso insieme complesso.
Questa comune semplificazione è utile a limitare il numero di informazioni di cui tenere conto per capire il mondo e agire su esso.
Il problema è che spesso una comprensione più completa e ricca della realtà non è facilmente accessibile, non ultimo per via del dispendio di risorse che implica.
In un essere umano, una condizione che interpretiamo come condizione del corpo si accompagna sempre a una condizione che interpretiamo come condizione della mente.
Questo ci è più chiaro in alcune situazioni, ad esempio quando ci aiuta a ricordarlo qualche indizio esterno: è facile immaginare che uomo che fugge da un grosso cane sia spaventato, e collegare la sua fuga e il suo aspetto con l’emozione di paura.
In altri casi, una tensione o uno stato di agitazione improvvisi, non spiegabili con facilità creano una grossa spaccatura fra percezione della dimensione corporea e mentale.
Ecco che anche il tentativo di modificare queste condizioni tenderà a rispecchiare tale spaccatura.
Quando le dimensioni corporea e mentale sono particolarmente vicine, ad esempio, si tende a cercare di farne prevalere una sull’altra. Questo accade spesso nella vita di tutti i giorni parlando di tensione, stress e rilassamento, in cui tende a prevalere la dimensione corporea e interventi del tipo “sforzo”, come quello che ho chiamato tiro alla fune.
Nei pazienti “psicosomatici” visti sopra, questa divisione è tanto marcata, il versante mentale elaborativo è tanto poco attivo che il corpo deve farsi carico anche della gestione degli aspetti normalmente gestiti a livello detto “psichico”.
Il cuore della questione: conclusioni
Qui ho provato a descrivere alcune situazioni sgradevoli e le reazioni tipiche al loro sopravvenire; successivamente, ho voluto proporre un modo più complesso di quello solito di trattare queste situazioni.
Vorrei proporre un’ultima riflessione: il passaggio da uno stato di disagio ad uno di assenza di disagio/piacere può essere chiamato rilassamento.
Tenendo conto di quello che ho proposto sopra, il rilassamento, che non è un’azione-contrattacco urgente contro un corpo ribelle e nemmeno un interruttore da cercare con più o meno fatica (sforzo), ma un processo che prevede la capacità di generare un significato soggettivo per una determinata situazione (stressante, ansiogeno, irritante, eccitante, etc…). Rappresentare mentalmente uno stato corporeo, riconoscendolo, attribuendogli un nome e un posto nella storia personale, si traduce in una migliore armonizzazione della dimensione psicologica e biologica.
Secondo il punto di vista che ho proposto, la capacità di riconoscere e vivere il legame fra sensazione e pensiero, fra condizione del corpo e condizione della mente, è importante, come abbiamo visto, per il mantenimento di un buono stato di salute generale.
La situazione descritta all’inizio dell’articolo, quella delle lamentele ad indirizzo del corpo (invece che alla persona intera) e della conseguente strategia di risoluzione del disagio in cui il corpo viene trattato come una macchina di cui la persona (o, in questo caso, le mente) sarebbe il pilota, anche se, come abbiamo visto, talvolta è economica e vantaggiosa, rischia di risultare dannosa, soprattutto se si generalizza a vaste aree della vita del soggetto.
Questo è quello che accadrebbe in quelle persone che abbiamo chiamato “psicosomatiche”, cioè particolarmente sensibili all’influenza degli stati emotivi inespressi sulla salute.
Un altro esempio è quello del ruolo di fattore di rischio nello sviluppo di cardiopatie della “personalità di tipo A” (es: competitività, proattività, impazienza e tendenza all’irritazione, ansiosità).
Una persona che si rende conto di essere tesa, ma che è capace di dirsi “sono stressata” e che si conosce tanto da rendersi conto di sentirsi così in un determinato tipo di situazione, risulta avvantaggiata nella propria regolazione psicosomatica rispetto a chi è meno in grado di farlo, che rimane (re)legato agli aspetti sensoriali.
Con questo, vorrei trasmettere soprattutto l’importanza di un atteggiamento di attenzione nei confronti degli aspetti soggettivi della vita quotidiana, all’interpretazione di quanto ci accade e come vi reagiamo.
Direi che in quest’ottica ha senso dire che ci si è sentiti agitati all’improvviso, ma non “senza motivo”, ossia senza che l’agitazione abbia a che fare con aspetti psicologici.
Il processo di rilassamento, in quanto tassello della disposizione a creare un collegamento fra il sentito ed il pensato, contribuirebbe ad imbrigliare il corpo rivoltoso, ribelle, lamentoso con la parola ed il pensiero, restituendo alla persona una dimensione di integra unità.
Per approfondimenti:
- Ferro, A. (2002) Fattori di guarigione, fattori di malattia. Genesi della sofferenza e cura psicoanalitica. Raffaello Cortina Editore. Milano.
- Freud, S. (1899). L'interpretazione dei sogni. Opere diSigmund Freud Vol. 9. Bollati Boringhieri. Torino
- Freud, S. (1922) L’Io e l’Es. Opere di Sigmund Freud Vol. 9. Bollati Boringhieri. Torino.
- Marty, P, De M’Uzan, M, David, C. (1963) L’indagine psicosomatica. Boringhieri. Torino. 1971.
- McDougall, J. (1989) Teatri del corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi psicosomatici. Raffaello Cortina. Milano. 1990.
- Solano, L. (2013) Tra mente e corpo. Come si costruisce la salute. Raffaello Cortina Editore. Milano.
[1] Si tratta di una semplificazione, come si può leggere in Solano (2013, pp. 79-103)