Disturbo di panico con agorafobia: nuove frontiere d'intervento
La Realtà Virtuale applicata alla Terapia Cognitiva offre una metodologia all'avanguardia per il trattamento del Disturbo di Panico con Agorafobia
Negli ultimi due secoli il progresso scientifico ha portato allo sviluppo di una serie di strumenti che hanno consentito alle scienze sanitarie di sviluppare sistemi diagnostici e di trattamento sempre più accurati e affidabili. L'introduzione di tecniche diagnostiche non invasive e di metodologie d'intervento basate su studi empirici, in alcuni casi, ha ridotto sensibilmente i tempi di trattamento, consentendo di aiutare un maggior numero di persone e abbassando i costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Un po' di storia
Nel 1947, il matematico americano Nobert Wiener introdusse in termine cibernetica allo scopo di designare un campo di studi interdisciplinare che volto a indagare i fenomeni di autoregolazione e comunicazione all'interno dei sistemi naturali e artificiali. Lo studio dei sistemi autoregolanti portò alla nascita dell'intelligenza artificiale e allo sviluppo di modelli volti a simulare il funzionamento della mente umana. In un primo momento, gli scienziati si posero come obiettivo la realizzazione di sistemi autonomi in grado di superare il funzionamento del cervello umano. Ben presto però tale ambizione incontrò forti limitazioni sul piano etico e tecnico, portando al ridimensionamento degli obiettivi iniziali e a una nuova e più "morbida" visione di tale disciplina. Fu così che gli scenziati si dedicarono alla realizzazione di modelli artificiali volti a simulare il funzionamento della mente umana.
Nello stesso periodo, in reazione al comportamentismo, si sviluppò in psicologia una nuova corrente teorica che va sotto il nome di cognitivismo. L'orientamento cogntivista, più di ogni altro, abbracciò i progressi della cibernetica e li adoperò per la formulazione di teorie e metodi d'intervento ancora oggi usati per il trattamento dei principali disturbi psicologici. All'interno di questa corrente teorica, la cui nascita viene associata al Convegno di Boulder nel 1955, confluirono i contributi provenienti da diverse discipline, tra le quali la teoria dell'informazione, la cibernetica, le neuroscienze e la filosofia della mente. L'uso di modelli artificiali per lo sviluppo di teorie atte alla comprensione della mente umana portò ben presto all'accusa di riduzionismo nei confronti di questo orientamento. Fu così che in seguito a una profonda revisione metodologica a carattere autocritico, i principi cognitivisti vennero interamente rivisti e modificati.
Oggi il cognitivismo si proprone ancora come una scienza fortemente multidisciplinare, all'interno della quale i contributi provenienti dall'informatica rivestono un ruolo importante. L'apertura di questo modello teorico nei confronti di diverse discipline consente infatti l'itroduzione di nuovi modelli d'intervento che non potrebbero essere altrimenti attuati.
Cos'è la Realtà Virtuale
Il termine Realtà Virtuale (VR) fu introdotto nel 1989 da Jaron Lanier. Tale espressione è in realtà un ossimoro originante dalla parola "reale", a sua volta derivante da "realitas", estensione di "res", "cosa", vocabolo che denota l'esistenza oggettiva, a "virtuale", ovvero non realmente esistente. Si tratta dunque di una disciplina che si occupa della realizzazione di ambienti elettronici, basati su ambienti reali, in grado di trasmettere alle persone l'idea di essere realmente lì. Lo scopo di tali simulazioni è infatti quello di trasmettere agli utenti il senso di "presenza" all'interno dell'ambiente virtuale. La mente umana dovrebbe consentire di contestualizzare queste esperienze attraverso "ambienti" che possono essere considerati essi stessi virtuali: le rappresentazioni cognitive.
L'utilizzo di sistemi di Realtà Virtuale richiede una serie di strumenti, originariamente molto costosi, che oggi possono essere reperiti con facilità. In primo luogo è necessario un software in grado di riprodurre ambienti 3D che ricordano ambienti presenti nella vita reale, di cui la persona abbia effettivamente fatto esperienza. Per garantire la massima immersività nell'ambiente virtuale è necessario che siano rappresentate con minuzia di particolari le superfici degli oggetti, le loro proprietà fisiche, le modalità d'interazione tipiche dell'universo reale.
Ciò richiede un lavoro molto impegnativo per gli sviluppatori, i quali possono oggi contare su tool di sviluppo che posseggno già texture e scenari predefiniti dai quali partire. In secondo luogo è necessaria una macchina (solitamente un computer) in grado di eseguire il software. Sarebbe opportuno che oltre alla semplice esecuzione, la macchina consentisse all'utente di personalizzare il programma in base alle proprie esigenze, attraverso un'interfaccia semplice e chiara. Infine sono necessari una serie di dispositivi di input/output attraverso i quali l'utente possa interagire e vivere la sua esperienza virtuale.
Questi dispositivi prevedono l'utilizzo un visualizzatore, di solito un casco per la Realtà Virtuale (Head-Mounted Display). Per quanto si oggi possibile utilizzare un monitor 3D, in grado di simulare la stereoscopia attraverso appositi occhiali, il casco consente comunque una maggiore immersione, poiché di solito è in grado di isolare completamente la persona dall'ambiente circostante, catapultandola all'interno dell'universo virtuale, anche attraverso l'utilizzo di sistemi audio integrati, che offrono il supporto al surround.
I dispositivi di visualizzazione limitano però il ruolo dell'utente a quello di seplice spettatore: la persona vede ciò che c'è intorno, ma non può interagirvi. Per tale ragione sono stati sviluppati svariati dispositivi (cyber-gloves, arti virtuali, joypad, ecc...) in grado di consentire all'utente di toccare, spostare, manipolare o apportare modifiche agli oggetti virtuali, come se si stesse intervenendo sugli oggetti reali.
Il Disturbo di Panico con Agorafobia
Il Disturbo di Panico con Agorafobia è una sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti seguiti da almeno un mese di: preoccupazione persistente di avere altri attacchi, preoccupazioni relative alle implicazioni dell'attacco di panico o delle sue conseguenze, significativa alterazione del comportamento. Questa sintomatologia deve essere associata alla presenza di agorafobia e non deve essere imputabile agli effetti di una sostanza o di un farmaco.
L'attacco di panico è definito come una comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti (solitamente 10), periodo durante il quale si verificano almeno quattro dei seguenti sintomi:
- Palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia.
- Sudorazione.
- Tremori fini o a grandi scosse.
- Dispnea o sensazione di soffocamento.
- Sensazione di asfissia,
- Dolore o fastidio al petto.
- Nausea o disturbi addominali.
- Sensazioni di vertigine, di instabilità, di "testa leggera" o di svenimento.
- Brividi o vampate di calore.
- Parestesie.
- Derealizzazione.
- Paura di perdere il controllo o di "impazzire"
- Paura di morire.
L'agorafobia invece comporta paura o ansia marcata relativa ad almeno due delle seguenti situazioni:
- Utilizzo dei trasporti pubblici.
- Trovarsi in spazi aperti.
- Trovarsi in spazi chiusi.
- Stare in fila oppure tra la folla.
- Essere fuori casa da soli.
Le persone affette da agorafobia temono queste situazioni o cercano di evitarle a causa del pensiero che potrebbe essere difficile fuggire o chiedere aiuto nel caso in cui si verificasse un attacco di panico. Tali paure devono essere eccessive rispetto al reale pericolo o alle risposte del gruppo culturale di riferimento, devono durare almeno 6 mesi, ripercuotersi sul funzionamento sociale o lavorativo e non devono essere imputabili agli effetti di una sostanza, di una sindrome organica o a un altro disturbo mentale.
Si tratta di un disturbo che si verifica in genere prima dei 35 anni, con una seconda fase di rischio intorno ai 40 anni, e un picco d'incidenza massima tra la fine dell'adolescenza e l'inizio dell'età adulta. La diagnosi di agorafobia interessa circa l'1,7% degli adolescenti e si manifesta col doppio di probabilità nelle femmine, rispetto ai maschi. Il decorso dell'agorafobia è tipicamente cronico e le percentuali di remissione completa molto basse (circa il 10%), a meno che non sia adeguatamente trattata.
La diagnosi di agrafobia deve essere differenziata rispetto alla Fobia Specifica tipo situazionale, all'interno della quale paura e ansia sono circoscritte a una specifica situazione, al Disturbo d'Ansia Sociale, in cui la paura deriva dal timore del giudizio negativo da parte degli altri, dal Disturbo di Panico, nel quale i sintomi di panico non sono associati ad agorafobia, dal Disturbo da Stress Acuto e Stress Post-Traumatico, in cui i sintomi di evitamento e di paura sono legati ai ricordi del trauma.
L'etichetta diagnostica all'interno del DSM-IV è Disturbo di Panico con Agorafobia, mentre al'interno del DSM-5 le precedenti diagnosi di Disturbo di Panico senza Agorafobia, Disturbo di Panico con Agorafobia e Agorafobia Senza Anamnesi di Panico sono sostituite da due diagnosi, il Disturbo di Panico e l'Agorafobia, ognuna con caratteristiche diagnostiche proprie.
Secondo il modello cognitivista, il Disturbo di Panico dipenderebbe da due diversi fattori: il senso soggettivo di controllo sulla propria vita e l'interpretazione catastrofica dei cambiamenti fisici avvertiti dal soggetto. L'Agorafobia sarebbe invece attribuibile alla paura di avere paura, ovvero al timore che possa si possa avere un attacco di panico in pubblico. Di conseguenza, il modello d'intervento più adeguato secondo questo orientamento teorico si basa sul contollo del panico (o PCT). Si tratta di un modello basato sulla tecnica dell'esposizione, che consente di far rivivere al soggetto, attraverso il ricorso, le situazioni temute in un ambiente controllato, nel quale si senta al sicuro.
Terapia cognitiva e Realtà Virtuale: quali analogie?
L'utilizzo delle tecniche di esposizione graduale in "vitro" semba fornire degli ottimi risultati per il trattamento del Disturbo di Panico con Agorafobia, tuttavia presenta alcuni limiti in quanto il paziente necessita talvolta di sforzi immaginativi che può non essere in grado di compiere per poter rivivere nella sua mente le situazioni associate al disturbo.
La Realtà Virtuale consente di superare in parte tali limitazioni. Il terapeuta può infatti ricreare, attraverso il software di VR, ambienti e situazioni simili a quelle temute e consentire al paziente di riviverle attraverso una quasi totale immersione. Lo scopo di questi sistemi è infatti quello di generare un "senso di presenza" paragonabile a quello generato dall'ambiente reale. La possibilità di regolare ogni singolo paramentro attraverso il software consente inoltre al terapeuta di realizzare ambienti gradualmente più ansiogeni, in modo che l'esperienza del paziente possa essere terapeutica senza però generare a sua volta ulteriori sentimenti di ansia o paura. Per esempio è possibile far "salire" il paziente su un autobus inizialmente vuoto e man mano che egli acquisisce confidenza con l'ambiente circostante, e i suoi sentimenti di paura si attenuano, è possibile aumentare il numero di passeggeri fino a saturare il veicolo.
Uno studio condotto in Italia all'interno del progetto NeuroTIV ha dimostrato che non vi è differenza in termini di risultati tra la terapia cognitivo-comportamentale classica e la terapia cognitivo-esperenziale basata su sistemi di Realtà Virtuale. Tuttavia, l'utilizzo dei sistemi di Realtà Virtuale comporta una riduzione dei tempi di trattameto pari al 30%, con risultati che si mantengono stabili anche a distanza di 12 mesi.
Ciò potrebbe dunque fornire ai terapeuti uno strumento clinico in grado di aiutare i pazienti in tempi rapidi e, allo stesso tempo, potrebbe limitare la cronicizzazione del disturbo attraverso l'intervento precoce.
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