La Psicoterapia Breve di Individuazione per adolescenti
L'articolo presenta la psicoterapia Breve di Individuazione ideata da Tommaso Senise, ancora molto attuale, rivolta agli adolescenti, con varie problematiche
Tommaso Senise ha cominciato ad occuparsi di adolescenti nel 1952, poco dopo il suo trasferimento a Milano da Napoli, dapprima presso il Centro Medico Psicopedagogico dell’Ente Nazionale per la Protezione della Madre e del Fanciullo, poi dal 1957 nel Gabinetto Medico Psicopedagogico del Centro di Rieducazione per Minorenni della Lombardia - Ministero di Grazia e Giustizia.
Nacquero così le prime relazioni scritte per l’adolescente, nelle quali era utilizzato un linguaggio parlato e scritto, dove contenuto cosciente, affetti e stato d’animo tendevano ad essere in sintonia tra loro. Queste relazioni erano lette e discusse con l’adolescente, ma dovevano essere comprensibili anche alle diverse figure istituzionali che avevano in carico l’adolescente o che dovevano prendere gravi decisioni per lui.
In questo momento ci fu la messa a punto di una metodologia di presa in carico, successivamente applicata nell’ambito del lavoro clinico pubblico e privato, tale da potersi occupare delle due caratteristiche peculiari di questo periodo evolutivo: definire la propria identità e trasformare gli affetti ed i sentimenti infantili in affetti ed in sentimenti adulti.
Nasce così la “Psicoterapia breve di individuazione”, originariamente definita come “Analisi del Sé” che culmina con la pubblicazione del suo libro nel 1990, ancora attuale.
Secondo Senise con l’adolescente è necessaria una corretta identificazione a lui, empatica e globale, ma più selettiva e puntuale nell’ambito e nel limite della sua relazione tra Io soggetto ed Io oggetto; successivamente è importante promuovere in lui una controidentificazione a noi, identificati con lui, dando luogo così ad un effetto specchio, già di per sé fondante per una relazione psicoterapeutica.
Infatti, in tal modo, il luogo ed il tempo della seduta diventano un momento privilegiato di riflessione e d’investigazione da parte dell’Io soggetto sull’Io oggetto.
Per un certo tempo noi rispecchieremo all’adolescente, il più esattamente possibile, l’immagine che egli ha di se stesso e gli rifletteremo, per quanto in noi, le modalità investigative attraverso le quali è giunto o giunge a quell’immagine di sé.
Questo rappresenta uno dei temi centrali dell’elaborazione teorica e tecnica di Senise, quello che ha permesso di creare l’atmosfera adeguata per la relazione empatica e di fiducia con l’adolescente: “se tu ti affidi a me e mi dici le cose che ti riguardano e che pensi, io ti dirò subito quello che a me viene da pensare su di te e sul tuo mondo interno”, garantendo quell’immediatezza, spontaneità e naturalezza tali da poter mettere a proprio agio l’interlocutore.
Il terapeuta, con questo modo di procedere, diventa uno strumento d’individuazione, sul quale l’adolescente fa un investimento narcisistico vivendolo come una parte di sé.
Tommaso Senise arrivò a formulare una schema operativo fondamentale nella presa in carico dell’adolescente, costituita cioè sequenzialmente da:
- Richiesta telefonica della consultazione;
- Colloqui con i genitori;
- Colloqui con l’adolescente;
- Esami testologici;
- Restituzione all’adolescente dei risultati dell’indagine, elaborazione del progetto;
- Colloquio di restituzione ai genitori;
- Colloquio con l’adolescente per commento all’incontro con i genitori.
Ogni momento aveva un fine, Senise metteva in primo piano i colloqui separati con i genitori, soprattutto al primo incontro, che s’inseriscono proprio nella specificità della sua modalità relazionale.
Egli voleva stabilire dapprima una buona relazione con i genitori e per fare questo doveva favorire un clima d’identificazione e di controidentificazione anche con le loro posizioni, con le loro problematiche e difficoltà, spesso incompatibili con quelle del figlio adolescente.
Quindi, negli incontri separati, poteva essere più libero di mettere in atto e sviluppare i processi empatici necessari al buon andamento della consultazione.
Tema rilevante nel suo lavoro è l’uso del transfert. Infatti, avendo scelto una modalità d’approccio relazionale favorente i processi di controidentificazione selettiva rispetto a quelli transferali, è chiaro che diventa poi difficile riportare la relazione all’interno di un setting finalizzato allo sviluppo di un transfert strutturato.
Senise riteneva che la terapia psicoanalitica classica non fosse adatta nel momento della conoscenza e dello stabilirsi di una buona alleanza di lavoro.
Così spiegava: “La crisi adolescenziale in se stessa comporta continui movimenti transferali che il soggetto fa prevalentemente nei confronti dei suoi genitori, verso i quali rivive, durante il corso di poche ore o minuti, movimenti emotivi, risposte affettive e situazioni conflittuali differenti, in un’oscillazione di modalità relazionali appartenenti ora al presente, ora a fasi evolutive del passato. A loro volta, i genitori stessi sono coinvolti in questo movimento transferale e rispondono ad esso con propri atteggiamenti oscillanti tra modalità antiche e attuali, per lo più sfasate rispetto al movimento transferale del figlio.
Questo spesso sta alla base dei disturbi di comunicazione più ricorrenti tra adulti e adolescenti” (E’ ben rappresentato dalla difficoltà che spesso un genitore ha nel trovare la giusta posizione nel rapporto con un figlio che prima lo manda al quel paese, poi gli si siede in braccio, poi non lo saluta uscendo da casa).
Egli riteneva che tale facilità a fare traslazioni fosse una delle modalità attraverso le quali l’adolescente normalmente evolve. E’ chiaro quindi come secondo Senise non fosse il caso di inserire all’ interno di una relazione terapeutica un meccanismo potenzialmente così difficile da controllare proprio per il suo continuo variare.
Chiaramente una psicoanalisi classica ancorata ad un’alta frequenza settimanale e l’intensa relazione transferale che si crea può privare il ragazzo degli spazi importanti per il suo percorso evolutivo. Inoltre, si può ammettere un certo rischio verso una dipendenza regressiva, anche se la psicoanalisi rimane uno degli strumenti più affidabili.
L’interpretazione resta uno degli strumenti principali, ma non quella di transfert classica, bensì quella del significato delle emozioni, degli affetti, delle pulsioni, che l’adolescente sviluppa nei confronti dei personaggi che di volta in volta porta in seduta.
Cosa suggerisce di fare Senise quando un movimento transferale, nonostante tutto, si mette in atto e si evidenzia? Le relazioni di transfert in una relazione basata sul tranfert e gli aspetti legati al transfert debbono essere immediatamente interpretati, perché è proprio attraverso l’interpretazione che il transfert trova la sua collocazione originaria. La non interpretazione invece favorisce lo sviluppo e la crescita.
Secondo Senise in quei casi in cui si evidenzia un movimento transferale si ritiene necessario restituire l’emozione immediata enfatizzando la non estraneità dall’oggetto; questo è di solito sufficiente a ripristinare la relazione controidentificatoria.
Per quanto riguarda il modello all’interno della fase di consultazione viene inserita l’indagine testologica, che, secondo l’autore, deve venire inserita all’interno della relazione terapeutica e quindi si attua quando l’adolescente ha compreso la finalità d’individuazione del rapporto terapeutico.
E’ significativo cogliere eventuali indici di resistenze inconsce, chiarendo che in questi casi è meglio rinunciare alla valutazione testologica, poiché non abbiamo una reale disponibilità emotiva.
L’autore aveva suggerito che l’optimum sarebbe una situazione nella quale il terapeuta e colui che effettua i test siano due persone differenti, perché, a suo avviso, svolgono due funzioni mentali complementari, ma differenti per scopi, strumenti e situazione relazionale. Il terapeuta aiuta il ragazzo a sviluppare un’immagine di sé più prossima a quella reale, l’altro psicologo ne mette a fuoco il funzionamento mentale, attraverso l’uso che fa dei meccanismi di difesa.
E’ importante a questo livello una stretta collaborazione e conoscenza tra le due figure professionali, soprattutto se esiste un’esperienza di lavoro comune, quindi figure con un approccio interdisciplinare, affinché il lavoro possa procedere con successo.
Nell’esperienza di Senise esisteva una buona relazione con il testista, che aveva a disposizione le cassette registrate dei suoi colloqui con l’adolescente, ma l’inserimento di un'altra figura nella relazione terapeutica era come se lo legittimasse a parlarne con il ragazzo. Certamente è molto più facile per un terapeuta poter riferire e discutere di una relazione diagnostica, se questa viene letta attraverso le parole e le interpretazioni di un altro.
In effetti la figura dello psicodiagnosta assume il ruolo del “terzo” (occhio, orecchio o persona), in grado di salvaguardare la positività e la relativa neutralità dell’esperienza terapeutica.
La relazione diagnostica viene effettuata in maniera il più discorsiva possibile, utilizzando termini di facile comprensione anche da parte dell’adolescente, possibilmente integrata di temi e contenuti che derivano dai colloqui con il terapeuta.
Quindi i colloqui di restituzione diverranno così ancora più efficaci ed incisivi, da permettere all’adolescente di riconoscersi il più compiutamente possibile nella descrizione che si viene a delineare.
Per quanto riguarda la tecnica di consultazione, è definita da Senise, come la modalità ed il senso dei rapporti che il terapeuta, nella presa in carico psicodiagnostica, deve strutturare con il ragazzo e di solito con i suoi genitori, al fine di pervenire ad una restituzione degli stessi di un’immagine dinamica ed articolata del sé adolescente, qual è individuata e vissuta da lui e qual è percepita da loro, confrontata ad un’immagine di sé corrispondente il più possibile a quella risultante dall’indagine clinica.
E’ necessario rimandare all’adolescente l’immagine che si è costituita dalla nostra identificazione, quindi l’adolescente non ha altro che servirsi di noi come strumento per la sua individuazione.
L’adolescente accede ai test di personalità dopo aver discusso l’opportunità ed aver dato l’adesione partecipe a questa fase; è necessario tuttavia introdurre un colloquio orientato sulle attività dell’io per stabilire una buon’alleanza di lavoro.
I test abitualmente impiegati sono il Rorschach e il Tat, strumenti capaci di mobilitare l’immaginario dell’adolescente, mettendo in luce le rappresentazioni del sé.
I test proiettivi hanno la funzione di mobilitare il mondo immaginario, mettendo in gioco sia le tendenze infantili pre-consce ed inconsce, sia le tendenze che premono per arrivare ad espressioni consce.
Secondo questo schema operativo si tratta di momenti integrati, in rapporto articolato e dinamico di un intervento che favorisce i processi di separazione/individuazione.
Per quanto riguarda la tecnica, la presa in carico inizia al momento della richiesta telefonica, fatta per la maggior parte delle volte dai genitori, tenendo presente le potenziali identificazioni dei genitori con il figlio e l’identificazione con i genitori prendendo in carico i loro bisogni.
Secondo Senise gli obiettivi dell’incontro con i genitori sono solitamente:
- Avere un’idea del tipo di personalità dei genitori, del tipo di relazione che stabiliscono con il figlio, dell’immagine che hanno di lui che spesso non corrisponde alle proprie aspettative.
- Ottenere informazioni sui primi anni di vita con una ricostruzione della storia, sia dal punto di vista fisico, sia dal punto di vista emotivo-cognitivo e l’evolversi delle relazioni oggettuali.
- Individuare la presenza d’atteggiamenti disturbanti o distorti nei confronti del figlio.
- Stabilire il tipo di comunicazione e la qualità di comunicazione esistente tra i membri della famiglia.
Si può dire che gli scopi dei colloqui iniziali e finali con i genitori sono quelli di aiutarli a stabilire corrette identificazioni con il figlio, favorendo una migliore comunicazione.
I colloqui con i genitori hanno anche l’obiettivo di modificare i loro atteggiamenti nei confronti della consultazione per portarli da una richiesta d’intervento di tipo medico o pedagogico, ad una posizione nella quale si condivide con il terapeuta un obiettivo ed un percorso evolutivo diverso per la risoluzione delle problematiche che li hanno portati a richiedere aiuto professionale.
Alla fine dei colloqui preliminari diventa opportuno fare un contratto con i genitori, spiegando che si farà qualche colloquio con il ragazzo, che eventualmente si faranno degli esami psicodiagnostici e si cercherà di fornire all’adolescente un quadro il più fedele possibile della situazione interna che il ragazzo vive in quel momento.
E’ importante rilevare come si può prospettare un incontro finale con i genitori, chiedendo l’approvazione del ragazzo; questo punto può essere controverso nel senso che il ragazzo può rifiutare l’incontro finale con i genitori perché non vuole fare sapere ciò che è emerso, anche se secondo l’autore, ciò accade raramente.
Nell’ambito del primo colloquio con l’adolescente sin dall’inizio tutto è teso al raggiungimento dello scopo finale della “terapia breve d’individuazione”. Si facilitano quindi i processi di separazione-individuazione; cercando di favorire un rapporto speculare, nel quale l’adolescente investe sul terapeuta parti di sè, a volte adulte, a volte regressive, ed il terapeuta diviene o contiene oggetti della prima infanzia.
Un tipo di relazione così delineata deve garantire un senso di continuità per favorire il processo d’integrazione e individuazione del sé, con un lavoro d’interpretazione del significato delle emozioni, degli affetti, delle pulsioni, che l’adolescente sviluppa nei confronti dei personaggi che di volta in volta porta in seduta.
Nella relazione con l’adolescente, secondo Senise, è utile ricorrere all’esame di realtà, sia nelle fasi di certezza che nelle fasi di dubbio, cercandolo d’aiutare a contemplare le varie possibilità che può raggiungere con la sua azione o con azioni diverse.
Dopo l’indagine testologica che è bene che sia scritta perché rappresenta per l’adolescente il significato tangibile di un’esperienza, in cui un adulto utilizza una sua produzione, la elabora per restituirla attraverso il terapeuta, all’interno di un rapporto favorevole all’individuazione, iniziano i colloqui di restituzione.
I colloqui di restituzione, come momento finale, possono costituire il punto di partenza per un uso meno difeso, più consapevole e puntuale dei processi d’individuazione/separazione per indurre il ristabilirsi di una normalità evolutiva.
La consultazione descritta da Senise, svolta in tempi brevi, consente all’adolescente di provare un’esperienza emotiva nuova, dando la possibilità d’instaurare un rapporto con l’adulto in funzione della sua libertà interiore.
In un successivo lavoro terapeutico, l’adolescente ricorderà in maniera favorevole la consultazione, e quest’esperienza emotiva precedente lo agevolerà e gli permetterà una comprensione emotiva rapida perché può rivivere qualcosa in parte che ha già vissuto.
Infine nel colloquio finale con i genitori è importante per il terapeuta decidere cos’è utile che i genitori sappiano e questo si attua valutando la natura dell’investimento che i genitori hanno nei confronti del loro figlio.
Inoltre il colloquio di restituzione ha anche l’obiettivo di dare ai genitori le informazioni sui tipi d’intervento terapeutico futuro, che secondo l’autore, possono essere di vario tipo, in altre parole: psicoterapeutico, psicopedagogico, d’orientamento scolastico…, qualora chiaramente ve ne sia la necessità, aiutandoli a comprendere il significato di tali interventi.
Le consultazioni nel lavoro di Senise riguardavano ragazzi dai 14 ai 20 anni; i motivi che portavano solitamente il ragazzo o i genitori in consultazione potevano essere raggruppati in alcune aree che comprendevano le difficoltà scolastiche, le manifestazioni comportamentali di tipo aggressivo-oppositivo, le manifestazioni che coinvolgono il rapporto con il corpo e le trasformazioni inerenti, e le manifestazioni che comprendono i disturbi dell’umore e l’alterazione degli affetti, ma anche i tentativi di suicidio.
Nel lavoro di Senise è indicata abbastanza frequentemente come indicazione terapeutica la “psicoterapia d’individuazione a lungo termine”, ma anche la psicoterapia di gruppo e la terapia centrata sul corpo.
Da un punto di vista teorico (1985), Senise pensa che un trattamento psicoanalitico classico possa essere inopportuno per un adolescente per vari motivi, tra i quali principalmente il fatto che la crisi adolescenziale in sè stessa comporta continui movimenti transferali che il soggetto fa nei confronti degli oggetti con cui si mette in rapporto e la presenza dei genitori coinvolti in questi movimenti transferali.
Questo modello é scarsamente applicabile al trattamento di adolescenti psicotici, dato che richiede l’esistenza di un Io sufficientemente strutturato, in grado di potersi scindere consapevolmente in una parte osservante ed in una osservata. In questi casi vanno delineati dei suggerimenti per consentire l’organizzazione di una terapia più adeguata al caso.
Secondo l’autore questo modello non doveva essere applicato in maniera rigida, pur essendo ottimale per il trattamento degli adolescenti, ma a seconda della personalità dei terapeuti; però è importante che la consultazione abbia dei tempi i più brevi possibile in quanto in questa fase di età si ha bisogno di risposte rapide ed immediate.
Il contributo di Senise, ci indica che la Psicoterapia Breve d’Individuazione ha definito un suo corpus specifico, mentre la Psicoanalisi ha introdotto delle variazioni di tecnica e delle elaborazioni teoriche che permettono di considerare come “analitico” anche un trattamento con un setting differenziato.
La sua opera, dunque, può inserirsi in un ambito estremamente moderno, con un’attenzione alla clinica, alla relazione interpersonale, alla persona del paziente.
Senise con il suo lavoro fornisce un contributo alla riconsiderazione dell’impianto della teoria generale psicoanalitica e della teoria e della tecnica.