Concetti fondamentali della teoria adleriana
Una breve esposizione finalizzata a riassumere la teoria di Alfred Adler esponendo il significato di suoi concetti cardine, utili anche a comprendere le ragioni di una visione unitaria dell'individuo.
Il finalismo causale e la mente finzionale
Tutta l’opera di Adler si sviluppa intorno all’idea, assolutamente innovativa per i suoi tempi, che ciò che contraddistingue l’uomo è la sua personale capacità di proiettarsi nel futuro, in un piano di vita che, pur non essendo stato fissato nei minimi dettagli, ha già contorni generali tali da imprimere una «direzione prospettica» a tutti i fenomeni psichici.
Viene così superata la visione causalistica pura (causa - effetto) e sostituita da una prospettiva teleologica (cioè che guarda in avanti), che non rinnega la linea deterministica, ma la completa.
“Possiamo rappresentarci l’anima umana solo come un assieme di forze in continuo movimento, provenienti da un’unica matrice e nel contempo dirette verso un unico fine […] E’ dunque il perseguimento di un fine ultimo a determinare l’intera vita dell’anima umana.” [3].
In altre parole esisterebbe un’attitudine innata dell’uomo a “spingersi in avanti” prendendo paradossalmente lo slancio proprio dal peso delle esperienze trascorse; ciò costituirebbe il principio di ordine superiore in grado di fare dell’individuo una globalità psicofisica unitaria.
Con ciò Adler non ha mai voluto sottovalutare l’importanza delle esperienze passate; il passato è assolutamente centrale nella vita dell’uomo. Ciò che, però, contraddistingue la sua visione del passato è che esso viene filtrato dalla mente soggettiva dell'individuo.
Questo significa che l'esperienza passata è rielaborata sulla base di un’interpretazione del tutto personale; interpretazione che servirà a creare schemi utili a comprendere e reinterpretare soggettivamente la “realtà”; Tali schemi sono strumenti, pragmaticamente utili, di previsione del futuro; la mente elabora impressioni e opinioni sul Sé e sull’altro da Sé, valutando, interpretando e convertendo i dati interni ed esterni dell’esperienza in “schemi di appercezione” personali e soggettivi o "finzioni".
In termini più semplici possiamo dire che tutte le cose dipendono (sia da un punto di vista cognitivo che affettivo) dall’interpretazione che se ne dà.
E’ lo schema di appercezione personale che consente ad ogni individuo di vivere nel suo mondo soggettivo privato; di conseguenza una visione oggettiva, corretta e definitiva della realtà non esiste.
Ma cosa sono allora queste finzioni? Non sono altro che idee soggettive, in parte consapevoli e in parte inconsce, che non hanno una controparte nella realtà ma che svolgono un'utile funzione; quella di mettere l'uomo in condizione di fare i conti con essa in un modo migliore di quello che, diversamente, si sarebbe potuto fare.
Per comprendere meglio questo concetto pensiamo ai meridiani e ai paralleli. Sono, come tutti sappiamo, delle linee di orientamento che permettono di avere una mappa geografica indicativa del mondo. Di fatto, se noi percorressimo l'intero mondo a piedi non troveremmo da nessuna parte una linea di demarcazione passando, ad esempio, da un emisfero all'altro ed attraversando, quindi, l'equatore.
Ma vediamo ora come funzionano queste idee soggettive, che abbiamo chiamato finzioni, nella mente dell'individuo.
L'individuo, una volta costruite le sue finzioni in base all'interpretazione delle sue esperienze, le utilizza per dare un senso all'esperienza e per costruire una sua personale e soggettiva meta (per lo più inconscia) ossia, come dicevamo prima, per proiettarsi nel futuro.
Il movimento dinamico dell’uomo verso la meta da lui costruita si caratterizza dal fatto che ogni nuova esperienza viene assimilata e interpretata sulla base del fine perseguito.
Mosso dalle sue proprie manipolazioni finzionali della realtà, l’individuo rafforza la credibilità di una privatissima, e quindi non scientifica o oggettivabile, mèta prevalente.
Del resto per l’essere umano, lo scopo essenziale dell’esistenza si traduce nella necessità di pianificare il proprio futuro e di immaginare un domani più appagante e più sicuro del presente.
La mèta finale migliorativa di cui parla Adler è una mèta di sicurezza; l’aspirazione verso l’alto, verso la sicurezza, verso il plus, è indissolubilmente legata all’innato sentimento d’insicurezza, d’inferiorità, alla mancanza, al limite ontologico dell’uomo stesso, al minus; ed è proprio questo sentimento d’inferiorità percepito che funge da molla per il movimento compensatorio verso l’alto, dal minus al plus.
La compensazione rappresenta, quindi, un movimento reattivo verso l’ideale di personalità, di perfezione, di completezza.
Il Sé creativo
In questo movimento verso l’alto, verso una mèta spazio-temporale, l’unità ermeneutica uomo viene spinta da un libero potere creativo.
Adler, soprattutto nei suoi scritti più maturi, considera la capacità creativa come un fattore essenziale per la costruzione del progetto di vita; l’uomo non è più visto come recipiente passivo di esperienze, diviene protagonista attivo del proprio destino.
L’individuo, infatti, organizza gli stimoli interni ed esterni, gli stimoli offerti dalla natura e dalla cultura e, dopo averli filtrati attraverso i suoi personali schemi appercettivi, le finzioni originariamente autocreate, provvede ad organizzarli nuovamente secondo un ordine soggettivo, privato e assolutamente creativo.
È proprio questa capacità creativa la grande intuizione del padre della Psicologia Individuale; in questa prospettiva l’uomo diviene così, allo stesso tempo, artista e opera di se stesso.
E’ artista perché costruisce il suo piano di vita, la sua mèta di superiorità, di sicurezza, il suo ideale di personalità, in questo incessante movimento ascensionale; diviene opera poiché la cristallizzazione delle proprie convinzioni (sul Sé, sull’altro da Sé e sul mondo), trasformeranno il regime di libertà in tirannia, dettando leggi e norme che imprimono inconsapevolmente la direzione al naturale flusso di corrente ascensionale.
Il Sé creativo, in sintesi, è un sistema mentale interpretativo, unitario e coerente, altamente personalizzato – in quanto si avvale di specifiche modalità conoscitive (“creative”) derivanti da una prospettiva che il soggetto stesso ha creato (appercezione) -, che ha lo scopo di fornire mappe di significati, universi di senso, che possano orientare le condotte verso la causa finalis, che possano dirigere il “movimento” (la dinamica psichica e l’azione) verso il conseguimento della meta prevalente: l’attuazione delle richieste del sentimento di sicurezza/valorizzazione personale (aspirazione alla superiorità) e del sentimento sociale. [14].
Il sentimento sociale
Il sentimento sociale, o comunitario, rappresenta un bisogno, insito in ogni uomo, di cooperare e compartecipare emotivamente con i propri simili.
Il significato di tale istanza è più complesso di quanto possa a prima vista suggerire il suo significato semantico; non si tratta, infatti, in modo riduttivo, di altruismo o di “buonismo”.
Rappresenta una vera e propria necessità umana, che trae le sue origini nel primitivo bisogno di tenerezza del bambino, posta al servizio di due obiettivi fondamentali: l’interesse comunitario e la compartecipazione emotiva.
L’interesse comunitario si esprime nell’intima necessità di cooperare con la collettività in cui l’individuo vive; la compartecipazione emotiva rappresenta un processo dinamico mediante cui l’individuo condivide emozioni con i propri simili.
Del resto, le recenti scoperte di Gallese, Rizzolati ed altri sembrano confermare le intuizioni di Adler anche in una prospettiva neurofisiologica: sto parlando dei “neuroni specchio”.
I neuroni specchio suggeriscono che ci sia una consonanza intenzionale con il mondo dell’altro, anche perché condividiamo fisiologicamente con l’altro alcuni dei meccanismi nervosi che presiedono quelle stesse azioni, sentimenti ed emozioni.
In altre parole, le evidenze empiriche suggeriscono che le stesse strutture nervose coinvolte nell’analisi delle sensazioni ed emozioni esperite in prima persona sono attive anche quando tali emozioni e sensazioni vengono riconosciute negli altri. Il meccanismo di simulazione non è quindi confinato al dominio dell’azione ma appare essere una modalità di funzionamento di base del nostro cervello quando siamo impegnati in una qualsivoglia relazione interpersonale.
Tale conferma, su base biologica, rafforza il concetto di sentimento sociale e lo rende in una certa misura “specie-specifico”, caratteristica dell’uomo in quanto tale, irrinunciabile in quanto biologicamente determinato .
Sentimento sociale significa sentire con l’intero, sub specie aeternitatis, ossia sotto l’aspetto dell’eternità. Significa aspirare a una forma di organizzazione sociale che deve essere pensata come duratura, come potrebbe essere se l’umanità avesse raggiunto la mèta di perfezione, l’ultima realizzazione del processo evolutivo.
La terapia adleriana
La terapia adleriana utilizza principalmente strategie di incoraggiamento e si affida alla creatività del terapeuta che deve essere in grado di adattarsi alle specifiche necessità del paziente.
Già Adler, figlio di un sarto, parlava metaforicamente del processo terapeutico come di un “abito confezionato su misura” per il paziente.
Il vero incoraggiamento, in estrema sintesi, sta nel far sentire al paziente che “vale la pena di tentare”.
Per raggiungere tale scopo, per far intravedere al paziente una possibilità differente, connotata prospetticamente verso una meta di superiorità “sana”, un buon terapeuta adleriano deve riuscire ad utilizzare strategie volte a sfruttare le risorse disponibili, al recupero rabdomantico dei punti di forza del paziente da potenziare, incrementare, irrobustire, fertilizzare…
Bibliografia
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5. ADLER, A. (1935), The Fundamental Views of Individual Psychology, tr. it. I concetti fondamentali della Psicologia Individuale, Riv. Psicol. Indiv., 33: 5-9.
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13. PARENTI, F. e Coll. (a cura di, 1989), Alfred Adler, Antologia Ragionata, Istituto Alfred Adler di Milano, Raffaello Cortina Editore, Milano.
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