L'evitamento nei disturbi d'ansia e nelle fobie
Il ruolo dell'evitamento nell'instaurarsi dei disturbi fobici, con esempi reali e implicazioni dal punto di vista terapeutico.
Uno dei sintomi caratteristici di molti disturbi d'ansia consiste nell'evitamento delle situazioni che la provocano. Nelle fobie, ad esempio, la persona si guarda bene dall'avere a che fare con l'oggetto della propria fobia.
Se si ha una fobia dei rettili, poniamo, faremo tutto il possibile per evitare qualsiasi situazione che includa rettili. Nei casi più gravi la fobia può essere scatenata addirittura dalla vista di un serpente raffigurato in un libro o una rivista.
Se invece abbiamo paura dei luoghi molto affollati faremo attenzione a non recarci in quei luoghi dove di solito si trovano molte persone come supermercati, chiese, stadi, centri commerciali, treni ecc.
È possibile sviluppare fobie per gli oggetti più disparati. Una signora aveva la fobia delle penne biro e del denaro. Non poteva vedere né tanto meno toccare penne né denaro contante senza cadere preda di un attacco d'ansia. Durante la terapia, conclusasi con successo, spiegò di aver assistito in età molto giovane a scontri armati fra componenti della sua famiglia e altri di una famiglia rivale, essendo purtroppo cresciuta in una famiglia coinvolta in malaffari.
Sarebbe molto semplice lasciarsi tentare da un'interpretazione per analogia: armi appuntite = penne, oppure: sangue = denaro. Ma oltre ad essere arbitrarie tali interpretazioni non ci darebbero, di per sé, alcuna indicazione pragmatica utile su come impostare la terapia.
Un'altra ragazza aveva la fobia delle grate dei tombini e dei pozzi di luce che si trovano per strada. Tutte le volte che ne vedeva una, era costretta ad aggirarla oppure a passare dall'altro lato della strada e giammai avrebbe ardito calpestarla.
Nelle monofobie esiste il problema dell'imprevedibilità. Io posso avere una fobia dei luoghi affollati, camminare tranquillamente per strada e, svoltato l'angolo, trovarmi di fronte un corteo o una manifestazione che m'impedisce di trovare rapidamente una via di fuga. Oppure trovarmi di fronte un innocuo serpentello dove meno me lo sarei aspettato.
È facile capire come questi disturbi possano in breve tempo rendere un inferno la vita del fobico, spingendolo a evitare un numero sempre maggiore di luoghi e situazioni. La vita ne può risultare gravemente limitata, costringendo il fobico a evitare situazioni che alla persona "normale" non provocherebbero alcun problema. Il fobico può arrivare al punto da smettere di guidare l'auto e persino di mettere un piede fuori di casa.
Oltretutto l'evitamento, sebbene fornisca un momentaneo sollievo, non fa altro che confermare ripetutamente l'incapacità del soggetto di fare altrimenti. Quindi, ogni volta che il fobico evita, conferma a se stesso di non poter fare a meno di evitare e ciò dà luogo a un circolo vizioso, una profezia che si autoavvera e che renderà più probabile in futuro l'evitamento di altre situazioni affini. Ecco quindi che la persona si trova come rinchiusa in un'armatura che la protegge ma la stritola, perché è come se si restringesse progressivamente e inesorabilmente.
A volte, le persone che affermano di soffrire di attacchi di panico sono in realtà andate incontro solo a uno o due attacchi, ma da quel momento in poi la loro vita è stata spesa nello sforzo di scansare tutte le situazioni che potrebbero provocargliene ancora. È anche possibile che l'attacco si scateni inaspettatamente o che sia dovuto a condizioni organiche. Ma quando l'attacco appare come conseguenza di una fobia, esso insegnerà molto presto alla persona a che cosa fare attenzione in futuro.
Dal punto di vista psicoterapeutico è possibile trattare con successo gli evitamenti attraverso un programma di esposizione graduale, di derivazione comportamentista, durante il quale il soggetto apprende gradatamente a invertire il senso del circolo vizioso che si è creato, e a entrare in contatto con le situazioni ansiogene in modo da farle diventare normali e accettabili.
Le difficoltà per il terapeuta consistono in:
- ottenere la compliance del paziente, ovvero farsi seguire nelle prescrizioni;
- calibrare bene l'ampiezza dei passi del programma d'esposizione;
- prevenire e gestire le ricadute, sempre possibili;
- sostenere e incentivare la motivazione del paziente durante il percorso;
- rendere il paziente autonomo e in grado di proseguire "sulle proprie gambe", favorendo lo svincolo dal legame terapeutico, che in questo tipo di pazienti tende facilmente a trasformarsi in dipendenza.