Depotenziare le ossessioni
Si illustra il meccanismo psicopatologico con cui i rituali peggiorano le ossessioni, e conseguentemente la necessità di impostare una terapia evitando che il medico divenga canale di rituali o circoli viziosi pro-ossessivi.
Le ossessioni sono elementi di pensiero (immagini, memorie, parole, etc) che assillano una persona spingendola a produrre una risposta che le “spenge”, almeno temporaneamente. No importa quale contenuto abbiano, la persona le riconosce nel proprio cervello perché si producono senza la possibilità di scegliere se farle entrare o meno. Non c’è controllo “in ingresso” da parte della persona, che le subisce e non può continuare a pensare o ad agire se prima non le ha attenuate. Tenicamente si dice che sono “ego-distoniche”, e cioè in parole povere intralciano le attività desiderate dalla persona “tirando” la sua attenzione e la sua preoccupazione in altre direzioni mentali.
Per tenere a bada le ossessioni le persone mettono a punto dei rituali, cioè dei comportamenti da poter ripetere ad ogni ossessione che riescono temporaneamente a far superare l’ostacolo dell’ossessione. Quando questi comportamenti sono irrefrenabili e vengono immediatamente come una reazione istintiva, si chiamano “compulsioni”.
Alcune ossessioni si accoppiano subito alle compulsioni, con un meccanismo rapido e istintivo (per esempio: pensiero di sporco, compulsione a lavarsi). In altri casi la persona elabora rituali per scacciare le ossessioni, secondo una logica di contenuto (es. pensiero di commettere atti osceni scacciato facendosi il segno della croce), in altri semplicemente secondo una ritualità “inventata” dalla persona (es. contare fino a tre per scacciare l’ossessione, o fare una smorfia con il viso).
Le compulsioni sono quindi rituali rapidi e semplificati per tenere le ossessioni sotto controllo ? La risposta è semplicemente no. La coppia ossessioni-compulsioni non è una coppia equilibrata, ma è fonte di un disturbo che peggiora.
Nel tempo, i rituali elaborati subiscono un’evoluzione sfavorevole: o si complicano, magari devono essere ripetuti più volte, o con sequenze di gesti sempre più lunghe e precise; oppure diventano automatici. In alcuni casi, ciò che rimane dell’accoppiata ossessione - compulsione, è proprio la compulsione, mentre l’ossessione non ha neanche il tempo di venir fuori. Se in un primo tempo la persona, pensando a immagini sgradevoli sputava per terra per scacciare le ossessioni, in un secondo tempo può semplicemente sputare senza neanche mettere a fuoco i pensieri.
I rituali quindi possono diventare essi stessi un problema che si aggancia alle ossessioni e complica il disturbo. Anzi, viene la compulsione e dopo, con un meccanismo “al contrario” viene fuori anche chiara l’ossessione, che però si aggiunge in un secondo tempo, e rimane in generale “sottointesa”.
I rituali peggiorano le ossessioni. Durante i rituali il pensiero si mantiene fisso sulle ossessioni, e quindi è frequente che proprio mentre si conclude il gesto o il comportamento rituale per “chiudere” l’ossessione, la si faccia tornar su peggio di prima, e si debba ripetere subito il rituale appena concluso. Il rituale (o compulsione che dir sì voglia) è il nutrimento del disturbo ossessivo-compulsivo, alimenta se stesso e alimenta le ossessioni.
Alcuni rituali sono comunicativi, perché riguardano ossessioni a cui la persona cerca risposte. In questo caso si tratterà di domande che sono ripetute periodicamente, spesso esasperando chi risponde. Inoltre, sono tipicamente domande di rassicuraizone, e quindi dai contenuti spesso talmente generici e indefiniti da non avere facile risposta. La persona ossessiva insisterà sulla precisione della risposta da avere, proporrà nuovi dettagli, riterrà di non essersi spiegato bene o di non essere stato ben ascoltato, o che il suo problema si stato sottovalutato. Questo tipo di situazione è tipica nelle ossessioni ipocondriache (cioè di avere malattie) in cui la persona si rivolge al medico per essere rassicurato, ma esponendo il problema aumenta la propria ossessione, e appena ricevuta la risposta (negativa) è nuovamente assalito dall’ossessione di malattia.
In questi casi la compulsione è il ragionamento sul dubbio di malattia per poterlo annullare con una risposta convincente. Nel tempo la compulsione a ragionare diventa un focolaio autonomo, che rievoca l’ossessione stessa, trainandosela dietro.
L’ossessione spinge le persone an andare presto “fuori strada”, cioè a ritenere che la risposta alle ossessioni e gli altri rituali siano una via d’uscita. Questo crea presto un contrasto con chi cerca di rispondere, perché le risposte non saranno mai soddisfacenti, o non lo saranno a lungo. Il terapeuta cercherà di spiegare alla persona il meccanismo ossessivo, non fornendo però alcuna risposta alla domanda ossessiva. Nel caso dell’ossessione ipocondriaca, ad esempio, la persona tenderà a pensare che sia necessaria una risposta semplice e esauriente, come una specie di “tocco magico” che spenga l’ossessione una volta per tutte. Sarà riluttante ad accettare che invece la soluzione alla domanda sia l’estinzione della domanda, senza più risposte.
Questo potrà nell’immediato non dare sollievo, ma nel tempo evita di alimentare l’ossessione. Alcune psicoterapie del disturbo ossessivo si basano proprio, con diverse tecniche, nell’interrompere il ciclo ossessioni-compulsioni-ossessioni.
L’impossibilità di attuare i rituali, seppur accompagnata nell’immediato da un’ansia intensa, nel tempo produce una riduzione delle compulsioni e delle ossessioni.
Schematizzando, l’evoluzione del disturbo ossessivo-compulosivo è negativa quando:
-si reagisce alle spiegazioni credendo di non essere stati compresi, o di non aver spiegato bene, o ci si irrita perché non si è ricevuta una risposta convincente e si ritiene che quello (la risposta convincente) fosse lo scopo della visita
- si cerca, magari girando medici a ripetizione, un medico che dia risposte rassicuranti. Se il medico si limita come deve a curare il disturbo ossessivo, lo si spingerà a interessarsi invece delle ossessioni e a dare una risposta a quelle, cercando di “calcare” la mano sui sintomi, nel tentativo di ottenere una risposta rassicurante ed evitare di essere “liquidati”.
- non ri riesce a non ripetere, alla fine della discussione, le stesse domande e non si riesce a concepire che il medico non dia risposta apposta, come se lo facesse per dispetto o per un atteggiamento scostante.
Le ossessioni ipocondriache sono particolarmente difficili da gestire, poiché il medico diventa anche la persona che dovrebbe gestire gli accertamenti per le malattie temute. Il buon medico è invece quello che cura il disturb ossessivo come tale, e che non utilizza le paure del paziente come guida per fare esami, discutere sintomi etc. Purtroppo in questo può darsi che inizialmente i pazienti non accettino il trattamento, ma in caso contrario è sicuro che le ossessioni si aggraveranno e il rapporto con il medico diverrà impossibile lo stesso.
Farmacoterapia antiossessiva e psicoterapia cognitivo-comportamentale sono strumenti di prima linea nel controllo del disturbo ossessivo-compulsivo. Trattandosi di un disturbo che in una parte dei casi si associa a disturbi bipolari dell’umore, talora la psicoterapia può essere utile nel compiere un lavoro anti-ossessivo minimizzando il ricorso all’antidepressivo, che potrebbe destabilizzare umore, impulsività e aggressività.