Il piede piatto da disfunzione del tibiale posteriore

Da un punto di vista funzionale , il tibiale posteriore non solo entra nelle dinamiche della caviglia e del piede durante il cammino e la corsa ma è anche un importante stabilizzatore della volta plantare. Ad esso infatti viene riconosciuto un ruolo fondamentale nel sostenere la volta plantare mediale. Ne consegue che, se il suo tendine inizia a deteriorarsi si assiste inevitabilmente ad un progressivo “appiattimento“ del piede. In questi casi si parla di piede piatto da disfunzione del tibiale posteriore

Che cos’è?

Il tibiale posteriore è un muscolo situato profondamente nella loggia posteriore della gamba. Il muscolo termina con un lungo tendine che , dopo aver costeggiato il malleolo mediale , si inserisce sulla faccia inferiore dell' arco plantare , a livello dell’ osso scafoide , del cuneiforme mediale e con delle piccole propagini anche alla base del 2 , 3 e 4 metatarsale.

 

Da un punto di vista funzionale , il tibiale posteriore non solo entra nelle dinamiche della caviglia e del piede durante il cammino e la corsa ma è anche un importante stabilizzatore della volta plantare. Ad esso infatti viene riconosciuto un ruolo fondamentale nel sostenere la volta plantare mediale.

 

Ne consegue che, se il suo tendine inizia a deteriorarsi si assiste inevitabilmente ad un progressivo “appiattimento“del piede. In questi casi si parla di piede piatto da disfunzione del tibiale posteriore. Di solito è monolaterale ma può anche essere bilaterale.

Quali sono le cause?

La disfunzione del tibiale posteriore si verifica con maggiore probabilità nelle seguenti categorie di pazienti:

  • donne
  • soggetti di età superiore a 40 anni
  • soggetti in sovrappeso o obesi

Il tendine tibiale posteriore può essere danneggiato da impatti, come quelli provocati da una caduta o un trauma durante l'attività sportiva ma la lesione può anche svilupparsi gradualmente a causa di un'usura eccessiva del tendine. In questo caso si parla di tendinopatia da “overuse“ che si osserva soprattutto tra coloro che praticano corsa, trekking o sport ad alto impatto

 

Come si manifesta?

I sintomi più comuni includono dolore, gonfiore, appiattimento dell’arco plantare con progressiva deviazione in valgismo, cioè verso l’esterno del calcagno.

 

Man mano che la patologia progredisce, i sintomi peggiorano determinando una progressivo deterioramento del tendine fino alla completa rottura. Inoltre la deformita in piattismo favorisce l’insorgenza di processi artrosici a carico del retro e mesopiede

 

Esiste una classificazione?

La disfunzione del tendine tibiale posteriore è stata classificata da Myerson in 4 stadi che sono caratterizzati da differenti quadri clinici e strumentali:

  • Stadio 1: dolore sul decorso del tendine tibiale posteriore, possibilità di stare in punta di piede, retropiede mobile (quadro di tenosinovite);
  • Stadio 2: deviazione in valgo del calcagno, dolore laterale al retropiede che è sempre mobile, impossibilità a stare sulla punta del piede (quadro di rottura recente del tendine);
  • Stadio 3: deviazione in valgo del calcagno, dolore laterale al retropiede che è rigido, impossibilità a stare sulla punta del piede (quadro di rottura del tendine);
  • Stadio 4: avampiede rigido, retropiede rigido, deviazione in valgismo anche dell’astragalo con avampiede abdotto (rottura cronica).

 

Quali indagini strumentali devono essere effettuate? 

Dal punto di vista diagnostico le indagini che devono essere eseguite sono:

  • Rx in carico dei piedi e delle caviglie, nelle proiezioni dorso plantare, latero-laterale e antero posteriore. Con questo esame è possibile evidenziare alterazioni morfologiche dell’avampiede e retropiede con variazioni angolari degli assi radiografici del piede e della caviglia, anomalie congenite (sinostosi), che possono predisporre alla disfunzione del tendine tibiale posteriore e di cui bisogna tener conto ai fini di un corretto trattamento di questa patologia.
  • Altrettanto importante è la Risonanza Magnetica che rappresenta l’esame ideale per valutare le condizioni del tendine: presenza di liquido peritendineo, rottura parziale o completa delle fibre tendinee.

 

Come si cura?

A causa carattere progressivo di questa patologia, un trattamento precoce sempre consigliabile. Il trattamento comunque va scelto in base allo stadio clinico (vedi classificazione).

Nello stadio 1 è sufficiente un trattamento conservativo che include:

  • Plantari e tutori. A secondo della gravità si utilizzerà solamente un tutore seguito da un plantare su misura. Nei casi più gravi sarà necessario usare un plantare modificato per tibiale posteriore (AFO)
  • Fisioterapia. Servirà a ridurre il gonfiore e il dolore e a rinforzare successivamente il tibiale posteriore.
  • FANS
  • Calzature idonee.

 

Nei casi piu avanzati avanzati o quando il trattamento conservativo non è efficace va considerata la chirurgia. La scelta del trattamento dipende dalla gravità della patologia. Si va da interventi diretti solo sul tendine, alle osteotomie di calcagno con o senza riparazione tendinea, fino alle artrodesi.

Per quanto riguarda gli interventi sul tendine questi variano dal semplice sbrigliamento del tendine ("debridement"), alla sua riparazione in caso di rotture parziali (tenoraffia).
In caso di rottura completa si preferisce effettuare la cosiddetta trasposizione del flessore lungo delle dita Pro Tibiale posteriore.

Questa consiste nel sezionare il piu distalmente possibile il tendine del flessore lungo delle dita (che scorre subito al di sotto del tendine del tibiale posteriore) per poi ancorarlo sullo scafoide nel punto in cui normalmente si inserisce il tendine del tibiale posteriore. Deve essere comunque chiaro che il tendine del flessore è molto piu piccolo e non rimpiazzerà quindi la forza del tibiale posteriore.

In tutte queste situazioni la concomitante deformità in piattismo, purchè ancora manualmente riducibile , può essere trattata tramite l’inserimento percutaneo nel seno del tarso  di una particolare vite rivestita da un involucro ad espansione.
Quest’ultima procedura viene indicata con il termine di “ortesi endosenotarsica”, ed è la stessa procedura che viene utilizzata per la correzione del piede piatto dell'adolescente.

In alternativa all'ortesi endosenotarsica si puo utilizzare il cosidetto "calcaneostop".
In questo caso, una semplice vite viene inserita sul calcagno o sull' astragalo facendo in modo che la sua testa, sporgendo al di fuori dell' osso, agisca da "stop" allo scivolamento mediale e plantare dell' astragalo. In altri termini si realizza lo stesso meccanismo che si ha quando per evitare che una porta sbatta contro il muro si pone nel pavimento un perno che ne impedisce la completa apertura.

Entrambe queste procedure possono essere associate alla "ritensione capsulare mediale della Coxa Pedis" cioè delle stutture capsulo-legamentose che sorreggono passivamente l'arco longitudinale e che nelle forme piu gravi di piattismo appaiono lasse o lesionate.

Infine se si osserva un grave valgismo del calcagno, è indicata un osteotomia correttiva di quest'osso.

L’Osteotomia di calcagno è una procedura apparentemente complessa ma in realtà semplice e molto efficace. Consiste nel traslare la porzione posteriore del calcagno verso l’interno (medializzazione), in modo tale da modificare l’asse di carico del piede. Spesso si associa alla procedura l’allungamento del tendine di Achille.

 

Infine nei casi piu avanzati in cui ,oltre alla rottura del tendine, si sviluppa una deformità in piattismo non più riducibile associata ad un quadro di artrosi diffusa, l'unica soluzione possibile è un intervento di artrodesi piu o meno estesa. L'impiego oggi di viti in titanio a compressione ha ridotto notevolmente le complicanze di mancata fusione ossea.

 

Data pubblicazione: 31 marzo 2015

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