Le neoplasie del pancreas: fattori di rischio, diagnosi e trattamento
Neoplasie pancreatiche: fattori di rischio e cure possibili del tumore esocrino del pancreas.
Il pancreas (P) è situato molto in profondità nell’addome superiore, tra lo stomaco e la seconda-terza vertebra lombare; la testa è raccolta all’interno della curva duodenale, mentre la coda arriva a contatto con la milza. A causa di questa sua posizione profonda in addome, i tumori del pancreas non sono quasi mai palpabili ed una chiara sintomatologia diventa evidente solo quando il tumore è ormai così grande da alterare la funzione degli organi vicini (stomaco, duodeno, fegato e vie biliari).
Com'è fatto il pancreas?
Il pancreas è suddiviso in cinque porzioni:
- testa,
- processo uncinato,
- istmo,
- corpo,
- coda.
Il pancreas è un organo costituito da tessuto ghiandolare e da un sistema di dotti che raccolgono le secrezioni digestive e le convogliano nel dotto principale (Wirsung) che sfocia nella prima parte dell’intestino, il duodeno, assieme al coledoco.
L’ultimo tratto del coledoco, che raccoglie la bile prodotta dalla cistifellea, transita all’interno della testa del pancreas e confluisce assieme al Wirsung nell’Ampolla di Vater che protrude in duodeno dove scarica la bile ed il succo pancreatico.
Posizionamento del pancreas
Il tumore esocrino del pancreas
Il tumore esocrino del pancreas è una neoplasia la cui incidenza sta aumentando progressivamente nelle nazioni industrializzate. Nel 95% dei casi origina dalle cellule che rivestono i dotti escretori e può localizzarsi inizialmente alla testa (60-70% dei casi) o al corpo-coda.
Neoplasia del pancreas
Fattori di rischio
Vediamo quali sono i principali fattori di rischio del tumore al pancreas.
Fumo di sigaretta
Il fumo di sigaretta è il principale fattore di rischio noto per l’adenocarcinoma del pancreas. Il fumo di sigaretta contiene una gran quantità di carcinogeni: amine aromatiche, nitrosamine tabacco-specifiche, agenti alchilanti, idrocarburi policiclici aromatici e amine aromatiche eterocicliche. La carcinogenesi legata al fumo di sigaretta potrebbe essere dovuta al danno ossidativo al DNA a cui segue l’attivazione degli oncogeni e la disattivazione di geni oncosoppressori (vedi fattori genetici). Si stima che sia responsabile del 25-30% dei casi di carcinoma pancreatico.
Fattori genetici
Lo studio del genoma umano ha permesso di individuare molti dei meccanismi molecolari che portano allo sviluppo dei tumori, compreso quello pancreatico. È stata documentata un’incidenza progressivamente crescente di mutazioni sia livello d’oncogeni (geni che favoriscono la trasformazione neoplastica delle cellule) che di geni oncosoppressori (geni che controllano la crescita cellulare impedendo di moltiplicarsi alle cellule che abbiano subito alterazioni che favoriscono l’insorgenza del cancro) nelle lesioni precancerose che possono formarsi e progredire all’interno del pancreas. I principali geni nucleari mutati nelle cellule tumorali pancreatiche sono l’oncogene k-ras, e gli oncosoppressori p53, p16 e DPC4. Una familiarità per carcinoma pancreatico è presente in circa il 10% dei pazienti con carcinoma pancreatico, mentre si stima che i fattori genetici contribuiscano al 10–15% dei casi.
Età e sesso
Il carcinoma del pancreas colpisce in egual misura maschi e femmine. Questo dato trova spiegazione nell’aumento di frequenza del carcinoma del pancreas soprattutto nel sesso femminile, probabilmente collegato ad un aumento del consumo di sigarette da parte delle donne. Nel 70% dei casi si manifesta tra i 60 e gli 80 anni mentre i casi sotto i 40 anni d’età sono molti rari.
Fattori ambientali
Vi sono paesi ad elevata mortalità, quali Stati Uniti, Paesi Scandinavi e Scozia, mentre i tassi sono leggermente più bassi in Giappone ed Italia. Tuttavia i giapponesi emigrati negli Stati Uniti presentano una mortalità 4 volte maggiore rispetto a quella dei residenti in Giappone e doppia rispetto agli statunitensi, suggerendo un ruolo importante dei fattori ambientali. Non sembra esservi rapporto con lo stato socio-economico, ma la mortalità tende ad aumentare con l’urbanizzazione. L’incidenza del cancro del pancreas nella regione Veneto è particolarmente elevata, superiore anche a quella degli Stati Uniti.
Fattori nutrizionali
È stato segnalato un aumento di rischio di carcinoma pancreatico per diete ricche di carne e grassi. In un recente studio americano, a cui hanno partecipato 88.802 donne, sono stati diagnosticati in 18 anni di follow-up 180 casi di carcinoma pancreatico. Il rischio era aumentato nelle donne che introducevano giornalmente elevate quantità di glucosio o di fruttosio con gli alimenti. Questa associazione era ancora più evidente tra le donne obese e che avevano uno stile di vita sedentario. Si stima che contribuiscano al 20% circa dei casi di carcinoma pancreatico.
Alcool
I dati epidemiologici sono contrastanti. Alcuni studi hanno mostrato un aumento del rischio nei bevitori, altri nessuna differenza rispetto ai non bevitori. In un recente studio svedese, è stato dimostrato che gli alcoolisti hanno solo un lieve aumento di rischio (1,4 volte rispetto ai non bevitori) di sviluppare un carcinoma pancreatico.
Caffè
È stata dimostrata un’associazione tra un elevato consumo giornaliero di caffè (>4 / die) e rischio di morte per carcinoma pancreatico.
Fattori professionali
Alcune categorie professionali sembrano avere un rischio aumentato di neoplasia del pancreas: chimici, garagisti, addetti a distributori di benzina, soggetti esposti a benzidina e benzilalanina.
Malattie associate
I pazienti con pancreatite cronica ereditaria muoiono nel 30 % dei casi per carcinoma del pancreas. Essendo una malattia rara, si stima che contribuisca a meno del 4 % dei casi di carcinoma pancreatico.
I rapporti tra pancreatite cronica non ereditaria e cancro del pancreas sono invece più complessi. Nel caso d’associazione tra le due malattie, spesso non è chiaro se la pancreatite sia secondaria al cancro, se le due patologie condividano comuni fattori eziologici o se la pancreatite sia stato il fattore di rischio per l’insorgenza del tumore. Il riscontro di una pancreatite cronica in pazienti con caratteristiche cliniche ed epidemiologiche atipiche (esordio improvviso d’ittero, sesso femminile, età superiore a 50 anni, non fumatori, non bevitori, diabetici non insulino dipendenti) è stato associato ad un aumentato rischio di presenza di un carcinoma pancreatico.
Un aumento significativo di rischio di morte per carcinoma pancreatico è stato riscontrato in donne con storia clinica di calcolosi delle vie biliari e di colecistite. È da tener presente che tali condizioni patologiche sono più frequenti in caso d’obesità, che, come già descritto, aumenta il rischio di carcinoma pancreatico specie qualora vi sia associato un alterato metabolismo glucidico.
Diabete
I pazienti affetti da carcinoma pancreatico presentano, al momento della diagnosi, un’elevata incidenza d’iperglicemia o di diabete franco (fino al 80 % dei casi). Questo ha creato non pochi problemi nel definire il rischio d’insorgenza del cancro del pancreas nel paziente diabetico. Ora sappiamo che:
- I pazienti diabetici hanno un aumento del rischio di sviluppare un carcinoma pancreatico intorno al 50% rispetto ai non diabetici;
- Il cancro del pancreas può produrre sostanze responsabili dell’insorgenza o del peggioramento improvviso del diabete;
- L’asportazione completa del cancro del pancreas può determinare, in una percentuale significativa di pazienti, un miglioramento del diabete malgrado sia stata asportata una parte rilevante (40-60%) della ghiandola pancreatica.
È stato dimostrato che le cellule neoplastiche pancreatiche rilasciano nel sangue delle sostanze in grado di interferire con l’utilizzo del glucosio da parte dei muscoli, del fegato e forse anche da parte del tessuto adiposo.
L’insorgenza improvvisa del diabete in un paziente senza particolare familiarità, o il peggioramento improvviso del diabete precedentemente ben controllato, devono indurre il paziente ad eseguire un accurato esame morfologico del pancreas.
Sintomi del tumore del pancreas
Sfortunatamente, in stadio precoce, il carcinoma del pancreas causa solo sintomi poco specifici che di solito sono attribuiti ad altre cause. Sintomi più caratteristici si presentano quando il tumore è cresciuto ed ha invaso altri organi e/o comprime i dotti biliari.
Questi sintomi comprendono: il calo di peso, la diminuzione o la perdita dell’appetito (anoressia), il dolore epigastrico irradiato al dorso, l’ittero (ossia una colorazione gialla delle sclere, della cute e delle mucose visibili dovuta ad accumulo della bilirubina nel sangue), debolezza (astenia), nausea e vomito.
La sintomatologia varia secondo la sede della neoplasia, essendo più precoce per i tumori della testa-processo uncinato del pancreas e più tardiva per quelli del corpo-coda. L’insorgenza o il rapido peggioramento di un diabete in soggetti adulti, in assenza di fattori predisponenti quali familiarità ed obesità, devono indurre ad eseguire un’accurata esplorazione morfologica del pancreas.
Diagnosi del carcinoma del pancreas
Quando vi è il sospetto di carcinoma del pancreas vi sono alcuni esami strumentali che possono essere eseguiti per confermare la diagnosi:
Ecografia epato-bilio-pancreatica
L’ecografia è diventata il mezzo più sicuro, meno costoso e più facilmente disponibile per scoprire lesioni pancreatiche nei pazienti. Si tratta di una indagine fortemente operatore dipendente ed è quindi necessaria una grande esperienza del Radiologo per ottenere una sensibilità del 76% (diagnosticati 3 cancri su 4) ed una specificità del 91% (una errata diagnosi di sospetta massa pancreatica in un paziente sano ogni 10). È quindi la prima indagine che viene eseguita, ma deve essere integrata da una TAC o RMN se negativa in un paziente sintomatico.
Tomografia computerizzata addome superiore (TC spirale) con mezzo di contrasto
È considerata la più utile tecnica d’immagine per la diagnosi di carcinoma pancreatico. La TC spirale consente di ottenere un’immagine tridimensionale di tutti gli organi addominali e visualizza non solo la massa tumorale pancreatica ma anche le eventuali metastasi epatiche e/o linfonodali. L’accuratezza diagnostica è buona (vengono diagnosticati 9/10 tumori pancreatici) ma diminuisce con il diametro del tumore: più piccolo è il tumore e maggiore è il rischio che sfugga all’indagine.
Pertanto, la principale limitazione è la dimensione della massa anche se questa metodica è in grado di definire lesioni occupanti spazio più piccole di 1 centimetro. La TC spirale, se ben eseguita, è inoltre in grado di definire la resecabilità del tumore con un’accuratezza compresa tra il 75 ed il 90%. I livelli di radiazione a cui il soggetto è esposto sono modesti e, se si esclude il rischio di reazione allergica al mezzo di contrasto (inferiore a 1% dei pazienti), è un esame scevro da complicazioni.
Risonanza magnetica nuleare (RMN)
Si tratta di una metodica poco invasiva che sfrutta la capacità della Risonanza Magnetica Nucleare di distinguere i diversi tessuti grazie alla diversa risposta a rapide modificazioni del campo magnetico. In particolare, è in grado di distinguere i liquidi contenuti nei vasi o nei dotti dalle strutture solide. In questo modo può essere ricostruita la conformazione dei dotti biliari e pancreatici senza ricorrere alla iniezione diretta di mezzo di contrasto come viene fatto per l’ERCP.
Inoltre l’iniezione di secretina (un potente ormone che stimola la secrezione pancreatica) può consentire una migliore visualizzazione del Wirsung ed una sia pur grossolana valutazione funzionale del pancreas esocrino. Si tratta della metodica di prima scelta per lo studio delle vie biliari e pancreatiche, anche perché consente di visualizzare i dotti a monte di eventuali stenosi non superabili dal mezzo di contrasto iniettato mediante ERCP.
Essa è inoltre in grado di visualizzare il tumore e di definire i suoi rapporti con i grossi vasi peri pancreatici. Viene per lo più utilizzata sia nei casi in cui la TC non consenta di dirimere il dubbio diagnostico, sia per definire se il tumore è resecabile nei casi in cui la TC non fornisca informazioni sufficienti.
Non può essere eseguita in soggetti che abbiano all’interno del corpo oggetti metallici (schegge metalliche, valvole cardiache di vecchio tipo, pace-maker, etc) sensibili alle variazioni di campo magnetico.
Ecoendoscopia
È una procedura invasiva basata sull’introduzione in stomaco e duodeno di un endoscopio munito di una sonda ecografica a frequenza più elevata di quelle usate per l’ecografia addominale, e di conseguenza con una capacità di visualizzare le strutture a breve distanza dalla sonda stessa.
In compenso essa consente di eseguire un’ecografia ad elevata definizione della parete gastro-duodenale e delle strutture, come il pancreas e le vie biliari extraepatiche, che si trovano a stretto contatto con lo stomaco o il duodeno. Si tratta di un’indagine altamente operatore dipendente, basata su di un equipaggiamento sofisticato e costoso la cui diffusione è ancora relativamente limitata.
ERCP (colangiopancreatografia retrograda endoscopica)
La colangiopancreatografia retrograda endoscopica un esame radiologico che permette di visualizzare i dotti pancreatici e biliari e di eseguire l’esame citologico del materiale ottenuto per aspirazione o spazzolamento. Il mezzo di contrasto è iniettato direttamente nei dotti tramite un catetere introdotto attraverso l’ampolla di Vater (dove il dotto biliare e pancreatico sboccano nel duodeno) per mezzo di un endoscopio modificato a visione laterale.
È un esame di secondo livello, capace di dimostrare alterazioni morfologiche dei dotti (ostruzioni o stenosi irregolari del dotto di Wirsung o compressioni della porzione intra pancreatica del coledoco con dilatazione a monte) utili alla diagnosi.
Il suo ruolo diagnostico è stato in gran parte sostituito dalla RMN, mentre rimane attuale l’uso terapeutico: essa consente, infatti, di posizionare protesi biliari (tubicini di plastica o metallici) che, superando la stenosi del coledoco dovuta al cancro, garantiscono il passaggio della bile risolvendo così l’ittero ostruttivo.
L’ERCP è un esame complesso ed invasivo che può avere delle complicazioni importanti quali la pancreatite acuta, la perforazione del duodeno, l’infezione delle vie biliari ed il sanguinamento nel 2-5% dei casi con una mortalità dello 0,5%.
PET (tomografia ad emissioni di positroni)
È una metodica ancora poco utilizzata nel carcinoma pancreatico sia per il costo elevato, sia per il numero limitato di Centri in grado di eseguirla. Essa sfrutta la captazione del F18–desossiglucosio (18FDG) che è scambiato dalle cellule per glucosio.
Il 18FDG rimane intrappolato a lungo nelle cellule consentendo di ottenere una mappa funzionale del “tracciante”. Quanto maggiore è la captazione del tracciante, tanto maggiore è il consumo di glucosio da parte della cellula. Tipicamente le cellule carcinomatose, incluse quelle del cancro del pancreas, hanno un consumo di glucosio più elevato di quello dei tessuti normali circostanti.
Il cancro del pancreas e le eventuali metastasi possono così essere dimostrati dalla PET come aree d’elevato accumulo del tracciante. Dato che anche le cellule infiammatorie hanno un elevato consumo di glucosio, la PET può risultare positiva anche in caso di pancreatite cronica, rendendo impossibile in un significativo numero di pazienti la diagnosi differenziale più utile dal punto di vista clinico.
Trattandosi di un’indagine funzionale, con la PET era difficile localizzare con sicurezza l’area patologica. Da alcuni anni sono entrate in funzione le PET-TAC che sfruttano l’associazione dei due strumenti per una localizzazione precisa dell’area patologica.
Terapia chirurgica del tumore del pancreas
La chirurgia ha ancora un ruolo molto importante nel trattamento dell’adenocarcinoma duttale del pancreas. Quando la resezione è condotta con intento radicale, rappresenta l’unico trattamento potenzialmente curativo della malattia.
Il reale problema è che alla diagnosi circa il 40% dei pazienti si presenta con malattia localmente avanzata (invasione di organi e strutture vasali peri-pancreatiche) e nel 45-50% dei casi sono già presenti lesioni metastatiche epatiche e/o sistemiche.
Di conseguenza l’indice di resecabilità è intorno al 10-15% e, anche in caso di resezione ad intento radicale, la percentuale di pazienti che presenta una recidiva di malattia entro 5 anni dall’intervento si attesta intorno all’89% dei casi.
La scelta fra i possibili approcci terapeutici deve essere modulata in relazione al possibile miglioramento della sopravvivenza e della qualità di vita del paziente. L’intervento chirurgico, nella forma della duodenocefalopancreasectomia (DCP) secondo Whipple (riservata ai casi in cui la neoplasia è vicino al piloro o lo coinvolge) oppure duodenocefalopancreasectomia con conservazione del piloro secondo Longmire-Traverso (caratterizzata da una migliore ripresa dei parametri nutrizionali e da una minore durata dell’intervento chirurgico), è giustificato in caso di malattia resecabile agli accertamenti pre-operatori e, nei pazienti con malattia localmente avanzata, in presenza di disturbi meccanici come ittero e occlusione intestinale alta.
In pazienti con metastasi a distanza l’approccio chirurgico va riservato solo ai casi in cui sia presente un’occlusione intestinale alta e un’aspettativa di vita superiore ai 2 mesi.
Se è presente solo ittero, la palliazione dovrebbe essere ottenuta mediante il posizionamento di stents per via endoscopica o trans-parieto-epatica.
Terapia farmacologica
Negli ultimi anni la ricerca clinica ha permesso di definire ulteriormente il ruolo della terapia medica sia nella fase metastatica di malattia sia nelle fasi adiuvante e neoadiuvante. Fra i farmaci antiblastici il 5-FU da solo o in modulazione con altri agenti ha rappresentato il cardine della chemioterapia sistemica per più di 20 anni fino all’introduzione della gemcitabina.
In uno studio di confronto con il 5-FU, la gemcitabina ha ottenuto il 27% di beneficio clinico soggettivo rispetto al 5% del 5-FU, oltre ad un lieve ma significativo miglioramento della sopravvivenza globale mediana e della percentuale di remissioni obiettive, rispettivamente del 5.4% rispetto a zero.
La sua relativa scarsa tossicità e la maneggevolezza hanno permesso di associarla con altri chemioterapici e con farmaci biologici come: 5-FU, cisplatino, capecitabina, tegafur-uracile, taxani, irinotecan, epirubicina, oxaliplatino, topotecan e inibitori delle metallo-proteinasi della matrice.
L’associazione con il 5-FU, sia somministrato in infusione continua sia modulato con acido folinico, ha ottenuto un tasso di remissioni obiettive del 15-20%, una sopravvivenza globale mediana di 5.7-9.3 mesi con una percentuale di viventi ad 1 anno del 15-40%.
Gli studi di fase III non hanno mostrato significativi vantaggi della combinazione gemcitabina + 5-FU rispetto alla sola gemcitabina.
L’associazione gemcitabina + cisplatino ha una maggiore attività, ma non migliora i dati di efficacia: la percentuale di remissioni obiettive varia dal 11.5 al 36%, ma la sopravvivenza globale mediana è di 7.3-8.1 mesi.
La combinazione con il taxotere non ha dato risultati convincenti: remissioni obiettive dal 7 al 17%; con l’epirubicina il 21% di remissioni obiettive e sopravvivenza globale mediana di 7.8.
L’associazione gemcitabina + oxaliplatino raggiunge il 21% di remissioni obiettive con il 70% di controllo della crescita tumorale.
Le associazioni di 3 o più farmaci non hanno dato i risultati attesi, anzi l’aggiunta del 5-FU a gemcitabina + cisplatino determina un effetto paradosso con la riduzione dell’attività dell’associazione base. Gli studi con i farmaci biologici sono stati in parte deludenti e si sta confermando l’impressione che questi farmaci potrebbero trovare un loro più razionale impiego nella fase adiuvante del trattamento, e comunque sempre associati alla chemioterapia.
Ad oggi nei pazienti per i quali l’obiettivo possibile è il solo beneficio clinico, la terapia medica può consistere nella sola gemcitabina, in tutti gli altri casi la combinazione consigliabile è quella con il cisplatino.
La chemioterapia adiuvante non è ancora lo standard, ma non devono esserci dubbi sulla necessità di un trattamento adiuvante, e la ricerca deve mirare ad individuare l’integrazione ottimale tra la radioterapia esterna e la chemioterapia (in particolare nei casi R1 o con margini interessati), e la migliore combinazione chemioterapia con e senza i farmaci biomolecolari.
Lo studio ESPAC-01 ha messo a confronto pazienti in trattamento chemioradioterapico con pazienti trattati con la sola chemioterapia (5-FU + acido folinico): è emerso che la chemioradioterapia, almeno secondo le schedule impiegate, non migliora la sopravvivenza globale mediana a 2 anni, mentre la chemioterapia sembra prolungarla in maniera significativa.
Se l’utilità della radioterapia sembra essere messa in discussione nel trattamento adiuvante, non vi è dubbio che nei casi localmente avanzati, o comunque nei casi border-line per una resezione radicale, essa è necessaria insieme alla chemioterapia.