Le Radiazioni Cosmiche
Le radiazioni cosmiche sono radiazioni ionizzanti che si incontrano nell’atmosfera e che arrivano fino al livello del suolo tanto è vero che sono una delle componenti del fondo naturale di radiazioni a cui siamo abitualmente esposti.
Che cosa sono le radiazioni cosmiche
Le radiazioni cosmiche o ionizzanti sono quelle radiazioni dotate di sufficiente energia da poter ionizzare gli atomi (o le molecole) con i quali vengono a contatto.
L'uomo da sempre è soggetto all'azione di radiazioni ionizzanti naturali, alle quali si da il nome di fondo di radioattività naturale. Il fondo di radioattività naturale è dovuto sia alla radiazione terrestre (radiazione prodotta da nuclidi primordiali o da nuclidi cosmogenici in decadimento radioattivo) sia a quella extraterrestre (la radiazione cosmica). Normalmente l'uomo riceve mediamente una dose di 2,4 millisievert /anno, valore che però varia da luogo a luogo. In Italia ad esempio la dose equivalente media valutata per la popolazione è di 3,4 mSv/anno.
Tipi di Radiazione
La caratteristica di una radiazione è quella di poter ionizzare un atomo, o di penetrare in profondità all'interno della materia, questo dipende oltre che dalla sua energia anche dal tipo di radiazione e dal materiale con il quale avviene l'interazione.
Le radiazioni ionizzanti si dividono in due categorie principali: quelle che producono ioni in modo diretto (le particelle cariche α, β− e β+) e quelle che producono ioni in modo indiretto (neutroni, raggi gamma e raggi X).
Radiazioni primarie
Le radiazioni cosmiche sono radiazioni ionizzanti che si incontrano nell’atmosfera e che arrivano fino al livello del suolo tanto è vero che sono una delle componenti del fondo naturale di radiazioni a cui siamo abitualmente esposti.
Le radiazioni cosmiche primarie sono originate da sorgenti stellari, galattiche e dal sole.
La componente più rilevante è quella di origine galattica e stellare che risulta costituita da:
85% protoni
12% elio
01% ioni
02% elettroni
Prima di raggiungere l’atmosfera, le radiazioni cosmiche primarie interagiscono con il campo magnetico terrestre subendo una prima modificazione della loro intensità in quanto vengono in parte respinte e in parte deviate verso i poli, in proporzione all’intensità del campo magnetico stesso.
Tale campo è a sua volta influenzato dall’attività solare che segue un ciclo di 11 anni.
Durante questo periodo di tempo l’emissione di radiazioni da parte del sole fluttua da un minimo ad un massimo, influenzando in misura proporzionale l’intensità del campo magnetico terrestre, a causa delle diverse interazioni elettromagnetiche presenti.
In sintesi, quando l’attività solare è al massimo, il campo magnetico terrestre si rafforza, schermando in misura maggiore la terra e l’atmosfera circostante, pertanto la radiazione galattica che potrà raggiungere l’atmosfera sarà maggiore quando l’attività solare è al minimo e viceversa sarà minore quando l’attività solare è al massimo.
Radiazioni secondarie
Quando le particelle primarie penetrano nella parte più esterna dell’atmosfera, interagiscono con gli atomi che la costituiscono e provocano così la formazione di particelle secondarie, come elettroni e neutroni, e di radiazione elettromagnetica non corpuscolare, come i raggi X e γ (gamma), che a loro volta possono interagire con altri atomi innescando un fenomeno di ionizzazione a cascata.
Sono proprio queste particelle secondarie che costituiscono la radiazione cosmica che interessa gli equipaggi dell’aviazione civile.
L’atmosfera agisce da schermo filtrante che in buona parte ci protegge dalle radiazioni in quanto la maggioranza delle particelle, interagendo con essa dissipa parte della propria energia prima di raggiungere le quote di volo.
Un altro elemento che interviene a modificare il corso naturale delle radiazioni cosmiche è il campo elettromagnetico terrestre che provoca la deviazione verso i poli di alcune delle particelle provenienti dallo spazio.
Per questa ragione la protezione maggiore si ha al livello dell’equatore e diminuisce man mano che ci si avvicina ai due poli, al punto che il livello di radiazione in queste regioni, alla quota di crociera degli aerei di linea, è circa il doppio del livello di radiazione all’equatore, alla stessa altitudine.
Per quanto detto finora si può affermare che i principali elementi che concorrono a determinare l’intensità della radiazione cosmica sono, in ordine di importanza:
1. altitudine (quota);
2. latitudine;
3. attività solare.
Limite di dose e riferimenti legislativi
Con il Decreto legislativo n° 241 del 26 maggio 2000, che recepisce la direttiva EURATOM 96/29, vengono definite per lo Stato italiano le norme di tutela dei lavoratori esposti a particolari sorgenti di radiazioni.
Per quanto concerne il Personale Navigante, il decreto stabilisce il suo ambito di applicazione con riferimento a tutti i membri d’equipaggio che effettuano voli a quote comprese tra gli 8.000 e i 15.000 metri (26,400 – 49,500 feet), identificando in 20 milliSievert il limite di dose annua a
cui possono essere esposti.
Non sono compresi i naviganti che operano a quote inferiori, poiché fino agli 8.000 metri non sono considerati suscettibili di superare il limite di 1 milliSievert all’anno, che è il limite di esposizione della popolazione civile. Ricordiamo a questo proposito che tale valore, 1 mSv, non rappresenta una soglia di rischio ma il valore di riferimento che distingue la popolazione civile dai lavoratori professionalmente esposti.
Per quanto riguarda voli effettuati a quote inferiori a 15.000 m, il decreto stabilisce che la valutazione della dose possa essere effettuata mediante appositi codici di calcolo, accettati a livello internazionale e validati da misure su aeromobili in volo su almeno 2 rotte di lungo raggio a latitudini diverse.
Il range da 0 a 1 milliSievert è limite di esposizione per la popolazione civile.
Il range da 1 a 20 millisievert è il limite massimo per i lavoratori professionalmente esposti.
Venendo alle specifiche previsioni contenute nel decreto, per tutti i membri di equipaggio che volano a quote uguali o superiori ad 8.000 metri, la Compagnia in applicazione dello stesso attuerà, tra le altre, le seguenti misure:
· programmare opportunamente i turni di lavoro e ridurre l’esposizione dei lavoratori maggiormente esposti;
· informare i lavoratori dei rischi specifici a cui sono esposti;
· fornire ai lavoratori i risultati della valutazione individuale della dose;
· non adibire le lavoratrici gestanti ad attività che potrebbero esporre il nascituro ad una dose che ecceda 1 mSv durante il periodo della gravidanza;
· assicurare con periodicità annuale e secondo le modalità vigenti nel settore la sorveglianza sanitaria dei lavoratori che non siano suscettibili di superare i 6 mSv anno di dose efficace.
È bene ribadire ancora che i limiti di dose cui la norma si riferisce non rappresentano una soglia di rischio individuato dalla comunità scientifica, ma indicano diversi livelli di azione che lo Stato individua al fine di garantire la massima tutela della salute del lavoratore.
Ulteriore conferma di quanto il legislatore abbia privilegiato un orientamento di grande cautela ci viene dal confronto con alcuni riferimenti normativi d’oltreoceano.
Lo statunitense NCRP (National Council on Radiation Protection and Measurements) stabilisce che il limite massimo per i lavoratori professionalmente esposti è di 50 milliSievert all’anno e di 5 milliSievert all’anno per le lavoratrici gestanti.
Al di là delle specifiche indicazioni normative dei diversi contesti presi in esame, il corpus legislativo per la radioprotezione si fonda sul principio che tutte le dosi di radiazioni, indipendentemente dalla entità, accrescano il rischio di provocare un danno alla salute.
La questione che risulta a tutt’oggi irrisolta riguarda la identificazione delle soglie di rischio alle basse dosi di esposizione, in quanto la comunità scientifica è ancora oggi d’accordo nell’affermare che non è possibile stimare accuratamente il rischio delle radiazioni a dosi inferiori a 100 mSv.
Al contrario, gli unici dati statisticamente significativi fanno tutti riferimento a popolazioni esposte a dosi di radiazioni assolutamente non paragonabili (Hiroshima, Nagasaki, sopravvissuti ad incidenti nucleari) alle dosi di esposizione degli equipaggi dell’aviazione civile o di altre categorie di lavoratori professionalmente esposti.
Poiché gli effetti dannosi alla salute attribuiti a basse dosi di radiazioni sono imputabili anche a tanti altri fattori ambientali, un esperimento scientifico che possa stabilire una relazione certa tra la dose ricevuta e l’insorgenza di un danno specifico richiederebbe l’impiego di svariati milioni di soggetti e quindi studi sperimentali di questo tipo non sono percorribili.
Per questa ragione si ricorre all’impiego di modelli predittivi, utili a prevedere gli effetti di basse dosi di radiazioni sulla base delle conoscenze rese disponibili dalle esposizioni ad alte dosi.
Tali modelli sono di tipo lineare (LN-T model) cioè si fondano sull’assunto che la relazione dose-effetto segue un andamento lineare dalle dosi più alte a quelle più basse.
In altre parole, la linearità implica che dosi diverse di radiazione provocano il medesimo tipo di effetto e quello che cambia è soltanto la frequenza con cui tale effetto si manifesta all’interno della popolazione esposta alla radiazione.
Diversamente, è possibile supporre che a dosi molto basse certi tipi di effetti non vengano affatto generati tuttavia, in assenza di studi che possano convalidare tale posizione, si preferisce adottare comportamenti fortemente cautelativi come quelli suggeriti dall’ipotesi della linearità.
È in questo contesto che vanno letti gli interventi legislativi a cui abbiamo fatto riferimento.
Ricerche e studi sugli effetti delle radiazioni cosmiche
Per completare il quadro informativo sui possibili effetti delle radiazioni ci pare interessante fare riferimento ad alcuni studi citogenetici ed epidemiologici conclusi di recente o ancora in corso di svolgimento.
Le radiazioni ionizzanti, al pari di fumo, alcool, determinate sostanze chimiche e raggi ultravioletti (limitatamente a cute e occhio), possono causare delle aberrazioni cromosomiche cioè delle rotture e dei riaggiustamenti nei filamenti di DNA che costituiscono i cromosomi umani.
L’analisi di queste aberrazioni rappresenta quindi un presidio molto importante nello studio dei danni cellulari indotti dalle radiazioni, ma va sottolineato che in virtù del naturale potere riparativo presente nei cromosomi, per basse dosi di radiazioni (come nel caso degli equipaggi di volo) non c’è una correlazione diretta tra comparsa di aberrazioni cromosomiche ed eventuale comparsa a distanza di patologie.
Le ricerche effettuate a tutt’oggi, condotte da diversi istituti scientifici e vettori europei, non hanno fornito evidenze concordi e conclusive circa la correlazione tra eventi patologici e l’attività professionale dei naviganti dell’aviazione civile.
Effetti sulla salute correlati all’esposizione a radiazioni cosmiche
I tessuti biologici di tutti gli essere viventi sono costituiti da cellule e da materiale extra cellulare prodotto dalle cellule stesse. Le cellule, a loro volta, sono costituite da una membrana esterna che le delimita (e che permette gli scambi con l’esterno), dal citoplasma contenente numerosi corpuscoli dotati delle più varie funzioni e dal nucleo che contiene il materiale genetico (cromosomi, costituiti dal DNA e RNA).
Singoli tratti delle catene del DNA costituiscono i geni, ovvero le unità elementari di informazione genetica che provvedono come un vero e proprio “software”, sia a trasmettere le caratteristiche tipiche delle cellule dall’una all’altra quando si duplicano, sia a codificare le sostanze specifiche prodotte dalle cellule stesse (es.: tessuto osseo prodotto dagli osteociti, ormone tiroideo prodotto dalle cellule tiroidee, etc.).
Per valutare il potenziale danno prodotto dalle radiazioni ionizzanti elettromagnetiche (X, gamma) e corpuscolari (neutroni, radiazioni beta e alfa) bisogna valutare non solo la quantità di radiazione assorbita ma anche la velocità e l’energia delle singole particelle e il loro LET (trasferimento lineare di energia), ovvero il potere che hanno le singole radiazioni di concentrare la loro energia in un tratto più o meno lungo di percorso attraverso i tessuti biologici.
In funzione di tipo, quantità ed energia della radiazione stessa, i vari tipi di radiazione hanno
una possibilità, sia pure molto bassa, di danneggiare il DNA contenuto nei cromosomi. Questa possibilità dipende anche dalla probabilità di incontrare nel proprio tragitto le strutture del
DNA stesso e quindi dal tipo di cellule irradiate.
I tessuti biologici più sensibili alle radiazioni ionizzanti sono, sia pure con alcune eccezioni, quelli in cui è presente un notevole ricambio cellulare: ciò a causa della maggiore vulnerabilità alle radiazioni delle cellule stesse quando entrano in mitosi (mitosi = divisione cellulare).
In conseguenza di questo e di altri complessi motivi biologici, i tessuti umani considerati più radiosensibili sono il midollo osseo (dove vengono prodotte gran parte delle cellule del sangue), le gonadi maschili e femminili, la tiroide (in età pediatrica e molto giovanile), molti tessuti epiteliali tra i quali quelli che rivestono internamente l’intestino, e il cristallino dell’occhio.
Tra i tessuti più radiosensibili di altri vanno segnalati gli organi dell’embrione e del feto umano, a causa delle continue divisioni cellulari al loro interno; questa sensibilità è variabile in funzione dello stadio di sviluppo.
Poco sensibili risultano invece i tessuti muscolare, osseo e nervoso (cervello, midollo spinale e nervi).
Ricordiamo tuttavia che i danni biologici causati da basse dosi di radiazioni ionizzanti possono essere solo di tipo probabilistico (o stocastico): ovvero al crescere della dose può aumentare la probabilità statistica di osservare dopo molti anni fenomeni patologici. In pratica, per i livelli di dose assorbiti dagli equipaggi dell’aviazione civile, la probabilità di danni biologici è stimata in una misura estremamente bassa.
Infatti, gli studi epidemiologici effettuati comparando popolazioni di esposti a radiazioni ionizzanti con popolazioni di non esposti, non hanno rilevato alcuna patologia fino a dosi di 400 milliSievert, purché assorbite in modo protratto e continuato (basso rateo di dose, ovvero bassa intensità di dose istantanea).
Osserviamo a tale proposito che, a parità di dose totale, gli effetti sono tanto maggiori quanto minore è il tempo in cui la dose stessa viene somministrata, in quanto minori sono i processi riparativi che il tessuto biologico può attuare.
Infatti nelle nostre cellule sono presenti particolari enzimi specificatamente dedicati a favorire la riparazione dei filamenti del DNA eventualmente danneggiati dalle radiazioni. L’insieme di questi enzimi (pool enzimatico) è prodotto lentamente ed è prontamente disponibile in piccole quantità, pertanto danni al DNA che si producano in modo diluito nel tempo trovano disponibili
gli enzimi riparatori, mentre se gli stessi danni si producono tutti contemporaneamente a causa di una irradiazione concentrata, si può andare incontro ad un temporaneo esaurimento del “pool enzimatico” riparatore.
Il concetto di basso rateo di dose è tipico delle esposizioni a basse dosi di radiazione naturale: ricordiamo infatti che un equipaggio di a/m commerciale che vola sul lungo raggio per circa 700 ore all’anno può assorbire una dose di circa 3-4 mSV/anno.
Come già precedentemente sottolineato, per stimare la possibile insorgenza di malattie per dosi molto basse, inferiori alle dosi soglia evidenziate dagli studi epidemiologici, è stata adottata dalla ICRP (International Commission on Radiological Protection) l’ipotesi della linearità senza soglia (LN-T model).
Tale ipotesi prevede che possa esistere un rischio sia pure statisticamente minimo crescente in modo direttamente proporzionale (o lineare) al crescere della dose assorbita anche al di sotto di un valore soglia.
La stessa ICRP definisce tali ipotesi come cautelativa e non dimostrata da ritenere valida, quindi, più per scopi protettivi che predittivi.
Altra ipotesi, anche questa non dimostrata, prevede che piccole dosi di radiazioni ionizzanti
a basso rateo di dose possano al contrario stimolare la riparazione biologica di un danno da
radiazione precedentemente subito diminuendone in tal modo le conseguenze (ipotesi dell’ormesi).