Covid-19: esperienza con i vaccini
I vaccini disponibili ora e quelli che lo saranno entro breve tempo producono anticorpi attivi contro il ceppo originario di SARS.CoV-2, ma verso le varianti finora identificate hanno effetti variabili. La capacità di mutare del virus fa prevedere che sarà presente per un tempo non prevedibile, ma certamente non breve. Per debellare la pandemia sarà necessario rimodulare la composizione dei vaccini e prevedere campagne di vaccinazione annuali ripetute. Il raggiungimento dell'immunizzazione globale dipenderà dalla disponibilità e distribuzione globale dei vaccini e dalla capacità di adattare i nostri comportamenti a questa condizione per la quale eravamo completamente impreparati.
La pandemia tuttora in corso è causata dal coronavirus SARS-CoV-2, isolato nel 2019: da qui il nome Covid-19 della malattia.
È un RNA virus con quattro proteine strutturali una delle quali, la proteina S, è l’antigene dominante che il virus usa anche per legarsi e infettare la cellula ospite [1]. Conseguentemente, per contrastare il Covid-19 gli sforzi si sono concentrati sulla preparazione di vaccini capaci, prima di tutto, di indurre anticorpi neutralizzanti verso la proteina S e di attivare la memoria immunitaria, ma anche di evitare un errore del sistema immunitario, ossia il potenziamento paradosso della diffusione dell’infezione, noto come ADE o Antibody-Dependent Enhancement [2].
Quali sono i vaccini disponibili ora
Alla data di questo articolo, l’EMA, l’agenzia regolatoria europea, ha autorizzato per l’uso clinico tre vaccini.
I vaccini RNA messaggero
Due di essi, Pfizer-BioNTech (BNT162b1) e Moderna (mRNA-1273), sfruttano la porzione di RNA messaggero che codifica la proteina bersaglio del nostro sistema immunitario (proteina S in questo caso), il quale risponde montando una risposta immunitaria coordinata.
L’RNA è una molecola molto instabile, per questo viene inglobata in nanoparticelle lipidiche che ne assicurano il trasferimento nel citoplasma della cellula ospite e la preservana dalla degradazione. Questi vaccini hanno dimostrano di avere un'efficacia del 90% o superiore ed una buona sicurezza: gli eventi avversi sono prevalentemente nella sede dell’iniezione e, molto raramente, a livello sistemico [3,4].
Ulteriori vantaggi di questo approccio sono la rapidità di produzione e la facilità di introdurre variazioni per contrastare eventuali mutazioni diverse dal ceppo virale originale. Gli svantaggi sono di natura pratica: la necessità di conservazione in una catena del freddo estrema, compresa tra -80 e -20 C°, e la difficoltà di preparazione delle dosi da somministrare, per la quale è necessario un personale specificamente addestrato [5].
Vaccini a vettore virale
L’altro vaccino autorizzato è Vaxzevria (ChAdOx) di AstraZeneca. Rientra nella categoria dei così detti vaccini a vettore virale, perché utilizzano virus non patogeni per l’uomo, modificati geneticamente per esprimere la sequenza dell'antigene virale (proteina S anche in questo caso).
Questo approccio vaccinale è già stato impiegato in precedenza per virus diversi dal SARS-CoV-2, ma con esito non sempre soddisfacente, spesso limitato dall'immunità preesistente al vettore [6]. Per questo motivo è stato scelto un adenovirus con un’immunità preesistente molto bassa. Gli studi clinici hanno messo in evidenza che è efficace nella prevenzione del Covid-19 causato dal ceppo originario del virus, ma quella verso le nuove varianti è ridotta o assente [7].
Per approfondire:Approvato il vaccino per la nuova variante XBB
Vaccini disponibili tra breve
In vista del rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), l’EMA sta esaminando la documentazione dei vaccini a vettore virale (Ad26CoV2. S di Johnson & Johnson-Janssen e Sputnik V, Gam-Covid-Vac) e uno ad mRNA (CVnCoV, CureVac). È previsto che possano essere disponibili entro questo anno.
Per completare il quadro, vanno citati due vaccini progettati in Italia, entrambi in fase 3 dello studio clinico. Il primo (VRC 207 di ReiThera) è a vettore virale ed utilizza un adenovirus di gorilla; il secondo (Evvivax, Takis-Biotech) è di concezione avanzata ed usa la frazione di DNA che codifica la proteina S, ossia l’antigene dominante del SARS-CoV-2, [8].
Vaccinare con una o due dosi?
I vaccini Pfizer-BioNThech, Moderna e Astra Zeneca richiedono due dosi per la massima efficacia. La reazione immunitaria avviene anche dopo la prima dose, ma con una produzione di anticorpi neutralizzanti ridotta. La seconda dose la potenzia significativamente, conferendo un’immunità nel 70%- 90% dei soggetti vaccinati [7].
Come già detto, la protezione dopo la prima dose è scarsa ed è ancora possibile contrarre l’infezione. In questo caso il virus può replicarsi in presenza di un livello sub-ottimale di anticorpi neutralizzanti, che favorisce l’emergere di varianti che sfuggono al controllo degli anticorpi [7].
Perché un intervallo così lungo tra prima e seconda dose?
Per la scarsità di produzione e distribuzione di vaccini, si è suggerito di allungare l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione, per immunizzare il maggior numero di persone con le scorte disponibili. Questa procedura aiuta a migliorare l’andamento della curva epidemica ed attenua la gravità delle manifestazioni cliniche della malattia, ma comporta anche il rischio di insorgenza di nuove varianti del virus, perché un livello di anticorpi neutralizzanti medio-basso favorisce l’evoluzione di varianti che hanno una maggiore velocità di replicazione e di diffusione [7].
La strategia di allungare l’intervallo tra la prima e la seconda somministrazione stata adottata nel Regno Unito con il vaccino di Astra Zeneca e, forse non per caso, in questo paese è stata isolata la nuova mutazione B.1.1.7, meglio nota come variante inglese [9]. Questa viene trasmessa più velocemente e causa circa il 30% di mortalità in più del ceppo originale. È caratterizzata da una mutazione nella proteina S, considerata un segno distintivo della resistenza agli anticorpi neutralizzanti [10].
Un commento a parte merita la somministrazione ripetuta di vaccini che usano un vettore virale. La prima somministrazione suscita la formazione di anticorpi anche verso il vettore e questo compromette l’efficacia della seconda dose di vaccino, che usa sempre lo stesso vettore.
A questo proposito è interessante notare che il vaccino russo Sputnik V usa un adenovirus (Ad26) per la prima somministrazione ed un altro (Ad5) per la seconda (Ad5): la maggiore efficacia riportata per il vaccino con 2 vettori diversi rispetto a quelli con uno solo, suggerisce che la differenza possa essere attribuita all'immunità anti-vettore che si sviluppa dopo la prima somministrazione [11]. Per superare il problema posto dall'immunità anti-vettore, potrebbe essere utile usare per la seconda dose vaccini che usano vettori diversi da quelli della prima.
Il vaccino nei soggetti guariti dal Covid-19
Quanto detto finora riguarda come immunizzare i soggetti che non sono stati a contatto con il virus SAR-CoV-2, ma sarebbe utile stabilire anche come vaccinare i soggetti che hanno contratto il Covid-19 e sono guariti. Uno studio su un numero limitato di volontari ha rivelato che una sola dose di vaccino suscita un titolo di anticorpi neutralizzanti molto elevato, suggerendo che in queste circostanze la seconda dose sarebbe ridondante [7].
Varianti ed efficacia dei vaccini
Il problema delle varianti virali è emerso nella primavera del 2020. La variante inglese B.1.1.7, rilevata per la prima volta nel Regno Unito, è 30%-80% più contagiosa del ceppo originario e si sta rapidamente diffondendo in molti paesi. Viene riconosciuta e neutralizzata dagli anticorpi prodotti dai vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna, mentre il vaccino Astra Zeneca è scarsamente efficace.
La seconda categoria di varianti, B.1.351 emersa in Sudafrica e P.1 in Brasile desta più preoccupazione. I dati sull’efficacia dei vaccini disponibili in questo momento sono variabili: Pfizer e Moderna hanno un effetto parzialmente protettivo, mentre quello di Astra Zeneca è molto basso.
Tuttavia, l’opinione di molti esperti in questo settore è che l'efficacia dei vaccini RNA non sarà sostanzialmente compromessa dalle varianti B.1.351 e P.1, perché l'insieme dei dati clinici suggerisce che gli attuali vaccini, malgrado la ridotta efficacia, hanno la capacità di prevenire gli aspetti più minacciosi della malattia, come ricoveri e decessi [12, 13].
Per approfondire:Omicron 5: sintomi, contagio, incubazione, efficacia dei vaccini
Il Covid diventerà una malattia stagionale?
Il SARS-CoV-2 è stagionale come altri coronavirus ed è possibile che il COVID-19 diventi una malattia ricorrente cronica. La speranza di arrivare ad acquisire l’immunità di gruppo, che porterebbe ad una sostanziale diminuzione dei contagi e dei decessi, è bassa perché diversi fattori militano contro.
Ci saranno nuove variati del virus, ma non possiamo prevedere la loro frequenza e quanto divergeranno dal ceppo originale: un aspetto critico questo per l’efficacia dei vaccini e per la reattività crociata degli anticorpi neutralizzanti già presenti nell’organismo.
Il secondo, ma forse anche il più importante, è che la percentuale di persone eleggibili per essere vaccinate rifiuteranno di esserlo. Questo potrebbe essere un fattore limitante per il raggiungimento dell’immunità generalizzata, da non trascurare anche in paesi con una popolazione con un livello culturale medio-buono.
La prospettiva che il Covid-19 stagionale rimanga con noi per almeno i prossimi anni è concreta. Per questo è necessario prepararci ad accettare un cambiamento dello stile di vita, soprattutto da parte dei soggetti più fragili, per esempio, in inverno dovremmo prendere in considerazione di indossare la mascherina in luoghi chiusi e di evitare gli ambienti in cui il rischio di trasmissione è elevato e di mantenere il distanziamento sociale.
Scenari futuri
Malgrado il fatto che l’efficacia complessiva dei vaccini ora disponibili sia ridotta a causa delle varianti, gli studi epidemiologici suggeriscono che essi possono prevenire gli aspetti più gravi e minacciosi per la vita del Ccvid-19, (12, 13). Tuttavia, potrebbero svilupparsi varianti più lontane dal ceppo originario del virus, che comprometterebbero l'immunità acquisita con i vaccini o dopo una precedente infezione. Per controllare efficacemente la pandemia di Covid-19P, sarà quindi necessario pensare a rimiodulare la composizione dei nuovi vaccini,
È molto probabile che il Covid-19 sia un evento comune, almeno fino a quando la diffusione del virus non sarà circoscritta a meno del 30% della popolazione mondiale. Questo ribadisce ancora una volta che l’accesso globale ai vaccini è vitale non solo per debellare la pandemia nei paesi con economia media o bassa, ma anche in quelli più sviluppati. Il SARS-CoV-2 ha chiaramente mostrato la sua tendenza a variare rispetto al ceppo originale, soprattutto quando la sua diffusione è incontrollata. Per questo motivo si può prevedere che la sua diffusione nella popolazione globale non sarà breve, fintanto che saranno attivi ampi folcolai di infezione. Uno scenario possibile nei prossimi anni sarà la vaccinazione annuale ed il mantenimento del distanziamento sociale, almeno nella stagione invernale.
Bibliografia
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