Diabete mellito e prevenzione cardiovascolare
Negli ultimi 50 anni la percentuale di malattie cardiovascolari correlate al diabete è aumentata, rappresentandone la prima causa di morte; risulta quindi importante la loro prevenzione.
Introduzione
Negli ultimi 50 anni la percentuale di malattie cardiovascolari correlate al diabete è aumentata, nonostante la marcata riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare generale osservata in questo periodo, ed è rimasto costante nel tempo l’aumentato rischio cardiovascolare associato al diabete, essendo le patologie cardiovascolari, quali coronaropatie, arteriopatie periferiche, cardiomiopatie e insufficienza cardiaca congestizia, frequenti nei soggetti affetti da diabete mellito, rappresentandone la prima causa di morte (1). E’ noto, infatti, che i pazienti diabetici sono a rischio di infarto miocardico e di ictus cerebrale doppio rispetto alla popolazione generale (2); risulta, quindi, importante la prevenzione primaria di queste patologie nei diabetici che ancora non ne sono affetti, controllando i fattori di rischio cardiovascolare se presenti, così da consentire un aumento della sopravvivenza in assenza di eventi cardiovascolari (3).
Modifiche dello stile di vita
Attività fisica: per migliorare l’equilibrio glicemico, controllare il peso corporeo e ridurre il rischio cardiovascolare sono consigliati almeno 150-180 minuti di attività fisica aerobica la settimana (come passeggiare a passo spedito per ½ ora al giorno per 5 giorni la settimana, oppure per 1 ora al giorno per tre giorni la settimana), oppure almeno 90 minuti di esercizio fisico aerobico "vigoroso" alla settimana, distribuiti almeno per 3 giorni alla settimana con non più di 2 giorni consecutivi.
Per mantenere a lungo una consistente riduzione di peso sono consigliate 7 ore di esercizio fisico da moderato a vigoroso alla settimana (4-7).
Alimentazione: riduzione dell’assunzione alimentare totale e dell’apporto alimentare di lipidi (<30% die dell’apporto calorico totale) che deve consistere principalmente in grassi mono-polinsaturi; nei pazienti con ipertrigliceridemia, aumento del colesterolo LDL (LDL-C) e diminuzione della colesterolemia HDL (HDL-C), possono essere utili un migliorato controllo della glicemia ed una moderata riduzione del peso con restrizione dei grassi saturi. E’ consigliato inoltre un apporto abbondante di fibre ed un apporto di cloruro di sodio non superiore a 3 g/die (specie nei soggetti ipertesi) (8-14).
Alcool: una recente metanalisi ha mostrato sia una relazione lineare tra consumo di alcool, livelli pressori e prevalenza di ipertensione nella popolazione con diminuita efficacia della terapia antipertensiva, sia che l’eccesso di alcool si associa ad un elevato rischio di ictus: l'associazione tra consumo di alcool e ictus ischemico ed emorragico ha un andamento a , con apparente effetto protettivo per coloro che consumano meno di 24 g di alcool al giorno e un significativo aumento del rischio per consumi superiori ai 60 grammi giornalieri attribuibile in primis ai suoi effetti negativi su fattori quali ipertensione, cardiomiopatie, disordini della coagulazione, fibrillazione atriale e riduzione del flusso ematico cerebrale. L'eventuale effetto protettivo di un consumo lieve-moderato invece può essere spiegato dall'aumento del colesterolo HDL, dalla riduzione dell'aggregabilità piastrinica e dall'induzione della fibrinolisi.
L'analisi per tipo di bevanda, peraltro disponibile per un limitato numero di studi, suggerisce un possibile effetto protettivo specifico del vino rispetto ad altre bevande alcoliche (per la presenza di polifenoli), sia negli uomini sia nelle donne.
In conclusione, i dati disponibili confermano la raccomandazione di limitare il consumo di alcool a non più di 24 g/die (es. due bicchieri di vino) negli uomini e non più di 12 g/die nelle donne (fatta eccezione per la gravidanza e l'allattamento in cui il consumo di alcool è comunque da evitare). L'adozione di tali misure a livello di popolazione potrebbe essere associata a una riduzione importante dell'incidenza di ictus (15-17).
Fumo di tabacco: a tutti i diabetici deve essere sconsigliato il fumo di tabacco qualunque sia il tipo di tabacco usato, poiché il fumo provoca in modo acuto un incremento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, che persiste per oltre 15 minuti dopo aver fumato una singola sigaretta, probabilmente attraverso una stimolazione del sistema simpatico.
Il fumo, in qualità di principale fattore di rischio cardiovascolare, è il più efficace intervento comportamentale atto a ridurre l’incidenza di patologie cardiovascolari; prima si smette di fumare maggiore è il guadagno in termini di sopravvivenza, sino a divenire, dopo 10 anni dalla sospensione, sovrapponibile a coloro che non hanno mai fumato (in altre parole, i fumatori hanno 10 anni di probabilità in meno di sopravvivere).
A tal fine è necessario controllare la volontà di ciascun soggetto di sospendere il fumo, ed in questa evenienza i diabetici debbono essere assistiti, anche organizzando programmi di disassuefazione (18-19).
Controllo metabolico
Controllo lipidico: nei diabetici di età superiore a 40 anni la lipidemia dovrebbe essere misurata almeno un volta l’anno, o più frequentemente se devono essere raggiunti determinati obiettivi; nei soggetti senza cardiovasculopatie clinicamente conclamate, ma con uno o più fattori di rischio (fumo di tabacco, ipertensione [PA ≥140/90 mmHg] o uso di farmaci antipertensivi, un livello di HDL-C50 mg/dL e di trigliceridi
Per raggiungere questi target sono importanti le modifiche dello stile di vita: diminuito apporto di grassi saturi con la dieta, controllo del peso corporeo, aumento dell’apporto di fibre, attività fisica regolare. Un trattamento con farmaci ipolipemizzanti si rende necessario in quei pazienti con malattie cardiovascolari clinicamente conclamate o a rischio cardiovascolare elevato, qualora siano prive di effetto le modifiche dello stile di vita (20-24).
Per ciò che riguarda il rischio cardiovascolare associato a basso HDL-C e aumento dei trigliceridi l’AHA e l’ADA consigliano differenti obiettivi (3):
- L’AHA ritiene che un obiettivo secondario nei soggetti con trigliceridemia tra 200 e 490 mg/dL sia costituito da una colesterolemia “non HDL” ≤130 mg/dL (“non HDL-C” corrisponde a colesterolemia totale meno HDL-C); se la trigliceridemia è ≥500 mg/dL è consigliato un trattamento con fibrati o niacina, prima del trattamento diretto a ridurre il livello di LDL-C e dei trigliceridi; inoltre, se possibile, si deve raggiungere un livello di "non HDL-C" ≤130 mg/dL.
- L’ADA consiglia di aumentare il livello di HDL-C a >40 mg/dL negli uomini e a >50 mg/dL nelle donne.
- AHA e ADA concordano nel ritenere necessario raggiungere questi obiettivi ricorrendo a statine, fibrati e niacina.
Controllo glucidico: Nei diabetici l’obiettivo da raggiungere è un livello di emoglobina glicata (HbA1c) < 7%, senza che ciò comporti ipoglicemia (l’ipoglicemia è definita severa quando il livello di glucosio sierico è
Studi caso-controllo e indagini prospettiche hanno dimostrato che il rischio di ictus è aumentato da 1,8 a 6 volte nei diabetici rispetto ai non diabetici e tale aumento è indipendente dagli altri maggiori fattori di rischio. Questo effetto è da ricercare verosimilmente nella patologia macro e micro vascolare associata al diabete. I dati di studi randomizzati controllati sull'efficacia di un controllo glicemico ottimale nella riduzione del rischio di ictus sono ancora relativamente pochi e non hanno evidenziato una riduzione statisticamente significativa del rischio, pur riducendosi l'incidenza di altre complicanze vascolari del diabete (25-29).
Controllo pressorio
La prevalenza di ipertensione nella popolazione italiana tra 65 e 84 anni è risultata essere superiore al 60% (donne: 67,3%, uomini: 59,4%; dati dello studio ILSA); il paziente iperteso è sovente portatore di altri fattori di rischio, e la presenza di più fattori di rischio per la malattia aterosclerotica (quali il diabete), accentua in maniera esponenziale il rischio delle complicanze cardiovascolari.
Nei pazienti diabetici vari trial hanno fornito evidenze incontrovertibili di un maggior effetto protettivo, nei confronti delle complicanze macro e microvascolari, di una riduzione pressoria più drastica rispetto a quella convenzionale (una significativa riduzione del rischio di ictus è stata ottenuta in questi pazienti attraverso lo stretto controllo della pressione arteriosa; pertanto, per ottimizzare la protezione cardiovascolare, è raccomandato un target pressorio ≤130 mmHg (con range fino a 120 mmHg) per la pressione sistolica, e ≤80 mmHg (con range fino a 75 mmHg) per la pressione diastolica; il target pressorio dovrà essere ridotto in maniera ancor più consistente (≤125/75 mmHg) in presenza di proteinuria.
I soggetti con pressione arteriosa superiore ai taget suddetti devono iniziare a modificare le abitudini di vita per almeno tre mesi (Modifiche dello stile di vita: vedi sopra); se dopo questo periodo non si ottiene un controllo pressorio ottimale, si deve iniziare un trattamento antipertensivo farmacologico tale da raggiungere il target pressorio prefissato.
I farmaci di prima scelta da utilizzare nel paziente iperteso diabetico appartengono alla classe degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (aceinibitori o ACE-I), o dei bloccanti recettoriali selettivi dell’angiotensina (sartani o ARBS), per il maggior beneficio che ne deriva rispetto all’impiego di altre classi farmacologiche. Altri farmaci, come beta-bloccanti, calcio-antagonisti, diuretici, possono essere aggiunti secondo necessità.
L’approccio terapeutico iniziale in monoterapia è preferibile come trattamento iniziale in caso di ipertensione arteriosa lieve con rischio cardiovascolare globale basso o moderato, essendo preferita una combinazione di due farmaci a basso dosaggio nell’ipertensione di grado 2 o 3 o in presenza di rischio cardiovascolare globale elevato o molto elevato, tenendo presente che le combinazioni fisse tra due farmaci a basso dosaggio presentano miglior profilo di tollerabilità rispetto alla monoterapia a dosaggio elevato.
In quei pazienti nei quali il controllo pressorio non viene raggiunto neanche con l’associazione di due farmaci, è necessaria l’associazione di tre o più farmaci, tenendo però presente che nei pazienti non complicati e negli anziani, la terapia dovrebbe essere cominciata gradualmente per evitare effetti collaterali.
Se si usano ACE-I o ARBS + diuretici è necessario controllare la potassiemia e la funzionalità renale entro i primi tre mesi di terapia. Se i livelli pressori si stabilizzano, questi controlli possono essere eseguiti ogni 6 mesi (30-37).
Terapia antiaggregante piastrinica
Nei diabetici a rischio cardiovascolare, e soprattutto in quelli oltre i 40 anni fumatori, con ipertensione, dislipidemia, albuminuria, anamnesi famigliare di malattie cardiovascolari, dovrebbe essere consigliata quale prevenzione primaria l’aspirina (posologia: da 75 mg a 125 mg/die); l’aspirina non può essere usata in soggetti di età inferiore a 21 anni per il pericolo della sindrome di Reye. Nei soggetti che non possono essere trattati con aspirina perché manifestano allergia all’aspirina, o tendenza alle emorragie, o recenti emorragie digestive, o epatopatie clinicamente conclamate, o in terapia anticoagulante, è da valutare la prescrizione di altri farmaci antiaggreganti piastrinici (38-41).
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