Reflusso intervento chirurgico.

Reflusso gastroesofageo: terapia medica o chirurgica?

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Dr. Felice Cosentino Gastroenterologo, Chirurgo apparato digerente, Chirurgo generale, Colonproctologo

La malattia da reflusso gastroesofageo è una malattia molto comune di cui soffre circa il 20% della popolazione italiana. Grazie alla cura farmacologica è ormai possibile ricorrere alla terapia chirurgica in casi particolari, consigliati dal medico specialista quando necessari.

Sintomi e complicanze

Spesso, almeno inizialmente, i tipici sintomi da reflusso (bruciore retrosternale, rigurgito) sono facilmente controllabili con adeguate norme igienico-dietetiche. Col tempo e con il persistere delle condizioni favorenti (come sovrappeso, fumo, ecc.), la malattia da reflusso può cronicizzarsi favorendo la comparsa di lesioni erosive o ulcerative a carico delle pareti dell'esofago e di eventuali complicanze ulteriori, come la stenosi del lume esofageo (con conseguente difficoltà al passaggio del cibo).

Può succedere, inoltre, che il tessuto di rivestimento dell’esofago, per difendersi dall’acido, si possa trasformare in tessuto simile a quello dell'intestino, la metaplasia intestinale.

Questa situazione, conosciuta come esofago di Barrett, va seguita con molta attenzione perché può essere un primo passo verso il tumore (adenocarcinoma), anche se in casi molto rari.

Le secrezioni acide possono essere persino inalate nelle strutture respiratorie (laringe, bronchi), dando luogo alle cosiddette manifestazioni extra-esofagee del reflusso (per esempio tosse e asma).

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Terapia medica: cura del reflusso con farmaci

Nelle forme avanzate della malattia solo la terapia farmacologica, che si basa sull'utilizzo di farmaci che inibiscono la secrezione acida gastrica quali inibitori di pompa protonica (IPP), può consentire un efficace controllo dei sintomi e la cura delle lesioni.

Poiché spesso il reflusso gastro-esofageo è un problema cronico, per la maggior parte dei pazienti è necessaria una terapia di mantenimento (anche per molti mesi o anni) che solitamente si effettua con l'uso degli stessi farmaci, IPP a dosi dimezzate.

Nel caso di lesioni severe, di complicanze o di sintomi extra-esofagei (tosse, asma, ecc.) è opportuno utilizzare gli IPP a dosi piene. A completamente della terapia con gli inibitori di pompa possono essere utilizzati anche antiacidi o alginati (che tamponano l'acidità gastrica) e procinetici (farmaci che accelerano lo svuotamento gastrico).

È sempre comunque utile una valutazione specialistica, per personalizzare il trattamento farmacologico più appropriato

Quando ricorrere alla terapia chirurgica

Grazie ai potenti farmaci che inibiscono la secrezione gastrica, il ricorso alla terapia chirurgica (di plastica anti reflusso) è ormai un'evenienza assai meno frequente che in passato. Ciò nonostante ci sono condizioni in cui il paziente chiede una soluzione chirurgica, che può essere condivisa o sconsigliata dal medico. Altre volte è lo stesso medico specialista che consiglia l’intervento chirurgico.

Cerchiamo di analizzare le diverse situazioni in cui può considerata la terapia chirurgica.

  • Giovani pazienti sotto i 40 anni e che rispondono bene alla terapia medica. Sono i candidati ideali alla chirurgia soprattutto se, per controllare il reflusso sono costretti ad una terapia continuativa con IPP. Spesso la richiesta viene dagli stessi pazienti che non sono disponibili, considerando la loro giovane età, ad una terapia medica continuativa.
  • Pazienti che non rispondono alla terapia medica. Ci troviamo a volte di fronte a soggetti che hanno effettuato cicli corretti di terapia con IPP, ma da cui non avuto alcun beneficio o un beneficio parziale. Contrariamente a quanto si può pensare tali pazienti non sono i candidati ideali alla terapia chirurgica. Infatti, nella maggior parte dei casi si tratta di pazienti i cui sintomi non sono attribuibili al reflusso, mentre entrano in gioco altre patologie: cardiaco respiratore muscoloscheletriche, intestino irritabile, altri disturbi della motilità gastrointestinale, ecc. Sono pazienti, quindi, che vanno studiati attentamente prima di prendere decisioni che si possono rilevare fallimentari.
  • Pazienti intolleranti alla terapia antireflusso (IPP). Ci sono dei pazienti che sono intolleranti (reazioni avverse del farmaco), in modo parziale o totale agli IPP. In tali casi bisogna accertarsi che l’intolleranza sia totale per tutti i “prazoli” e che non ci siano eventuali patologie concomitanti che possano in qualche modo simulare i sintomi della malattia da reflusso (vedi situazione precedente). Ci sono anche pazienti che hanno problemi nell’assorbimento del farmaco ai quali pertanto é anche inutile continuare a cambiare molecola.
  • Pazienti con complicanze della malattia da reflusso (stenosi esofagea, Barrett). Le stenosi esofagee sono sempre meno frequenti e sono legate ad inefficacia della terapia medica o ad un trattamento non idoneo. In presenza di tale patologia è ritenuto corretto l’intervento chirurgico, dopo aver escluso altre possibili cause (motilità esofagea compromessa, come nell’acalasia e nella sclerodermia). Per l’Esofago di Barrett, invece, la semplice presenza della condizione patologica non è un’indicazione alla terapia chirurgica. Infatti dalla letteratura non emerge alcuna evidenza significativa che la terapia chirurgica antireflusso sia superiore alla terapia medica nel prevenire la comparsa del cancro esofageo (che può complicare tale situazione patologica). Quindi, in pazienti con esofago di Barrett l’eventuale indicazione chirurgica non deve essere posta ai fini di prevenire la complicanza tumorale, bensì per il trattamento del reflusso quando il paziente rientra in una delle categorie elencate (giovane età, intollerante alla terapia, rigurgiti, ecc.).
  • Pazienti con rigurgito persistente. Si tratta di soggetti con importante rigurgito nonostante gli IPP risultino efficaci a controllare i sintomi da reflusso (pirosi, dolore retro sternale, ecc.). L’antisecretivo infatti controlla l’acidità del contenuto gastrico, ma persiste un reflusso non acido, definito appunto to rigurgito.
  • Pazienti con complicanze respiratorie. L’aspirazione delle secrezioni acide può dar luogo a ad un’importante sintomatologia laringea e polmonare (laringiti, tosse cronica, asma, focolai broncopolmonari, ecc.) e la terapia con IPP può risultare inefficace o insufficiente. Prima di pensare alla soluzione chirurgica bisogna comunque escludere delle reali affezioni bronco-polmonari (responsabili della sintomatologia) ed avere la conferma del reflusso “alto” dagli accertamenti strumentali di cui si parlerà in seguito.

Guarda il video: Reflusso gastroesofageo: 5 domande e risposte

I rischi dell'intervento chirurgico

L’intervento chirurgico non è esente da rischi o da insuccessi. Alcuni pazienti non traggono alcun beneficio altri, invece, non riescono ad abbandonare completamente la terapia medica dovendo far ricorso agli IPP, sebbene in dosi ridotte. Altri infine sono soggetti alle complicanze proprie dell’intervento chirurgico.

Gli insuccessi della terapia chirurgica sono spesso legati ad una non corretta valutazione della sindrome da reflusso.

Per tali motivi bisogna ponderare bene la decisione chirurgica accertandosi preliminarmente che i disturbi del paziente siano realmente legati ad un reflusso gastroesofageo e non ad altre patologie: broncopolmonari, cardiache, epato-biliari, intestino irritabile, da alterata motilità esofago-gastrica; ecc.

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Esami preliminari

L’esofago-gastro-duodenoscopia è, ovviamente, l’esame che tutti i pazienti devono assolutamente avere prima della valutazione chirurgica. L’esplorazione endoscopica ci consente di valutare lo stato della mucosa esofagea (erosioni, ulcere) ed eventuali complicanze (stenosi, Barrett). 

Le biopsie possono essere utili per definire le caratteristiche del Barrett, ma anche di escludere altre forme malattia esofagee (esofagite eosinofila, ecc.). Raramente è possibile riscontrare un penfigoide dell’esofago che può simulare un’esofagite da reflusso (con erosioni e fibrina). L’endoscopia deve, inoltre, rilevare eventuali altre alterazioni gastro-duodenali.

Una radiografia con bario può essere utile per valutare lo stato anatomico esofago-gastrico soprattutto nelle grosse ernie.

È indubbio però che l’esame principe sia costituito dallo studio fisiopatologico mediante la manometria esofagea e la pH-impedenzometria esofagea/24 ore.

La manometria esofagea stazionaria: studia la peristalsi esofagea, valutando ampiezza durata e coordinazione delle onde motorie esofagee allo stimolo deglutitivo. Valuta inoltre la capacità di rilasciamento riflesso dello sfintere esofageo inferiore.

È una metodica fondamentale per escludere patologie motorie dell’esofago, quali l’acalasia e la sclerodermia che costituiscono delle controindicazioni ad una gestione chirurgica del reflusso.

La pH-impedenzometria esofagea/24 ore (pH-IIM 24): valuta in modo dinamico nelle 24 ore sia la composizione (acida e non acida) che la natura del reflusso gastroesofageo (gassoso, liquido, misto). Questa nuova metodica è il nuovo gold standard per la diagnosi della malattia da reflusso gastro-esofageo, migliorando sensibilmente l’entità del reflusso, la correlazione tra reflusso e sintomatologia, e l’estensione del refluito in esofago prossimale.

Per questo ultimo aspetto è di capitale importanza in tutte le manifestazioni atipiche del reflusso, in particolar modo nella sintomatologia polmonare e otorinolaringoiatra da possibili eziologia gastro-esofagea.  La pH-IIM consente infine di identificare i pazienti con sintomatologia da reflusso, ma che sono inquadrati.

L'intervento chirurgico: Fundoplicatio Totale e plastica antireflusso

L’intervento chirurgico mira a correggere lo sfintere esofageo ossia quella valvola deputata a regolare il passaggio del cibo nello stomaco e ad evitare i reflussi patologici delle secrezioni gastriche in esofago. L’intervento maggiormente seguito è la “Fundoplicatio secondo Nissen” che consiste nel riportare stomaco e cardias in addome, chiudere la breccia erniaria del diaframma e confezionare una plastica antireflusso a 360° che prevede una porzione di stomaco posizionato “a cravatta” intorno all’esofago (foto).

Tale intervento viene attuato con una tecnica mini-invasiva (video laparoscopia) basata sull'inserimento di microtelecamere e speciali strumenti chirurgici attraverso alcune piccole incisioni effettuate sull'addome. Con tale intervento la degenza post-operatoria generalmente non supera le 48-72 ore e nel giro di una settimana il paziente può riprendere le normali attività, mantenendo una dieta morbida per 20-30 giorni ed astenendosi dai lavori pesanti per almeno 2 mesi dopo l'intervento.

Riferimenti bibliografici

  1. American Gastroenterological Association (AGA) - Institute Technical Review on the Management of Gastroesophageal Reflux Disease - Gastroenterology 2008;135:1392–1413
  2. Society of American Gastrointestinal and Endoscopic Surgeons (SAGES) - Guidelines for Surgical Treatment of Gastroesophageal Reflux Disease (GERD) - Practice/Clinical Guidelines 2010.
Data pubblicazione: 14 luglio 2011 Ultimo aggiornamento: 07 gennaio 2021

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