Stenosi del giunto
Buonasera
Innanzitutto grazie per la vostra cortese attenzione, vi scrivo perché vorrei parlarvi di un problema molto serio che riguarda mia sorella e che da mesi cerchiamo di risolvere. Tutto inizia un anno fa, quando scopre casualmente di avere un problema congenito ad un rene. Si tratta della seguente malattia: stenosi del giunto. Ad ottobre cominciano gli interventi chirurgici: il primo, in cui viene inserito lo stent; il secondo intervento di pielo-plastica attraverso laparoscopia; il terzo (a soli due mesi di distanza) di rimozione dello stent che viene eseguito ambulatoriamente. Durante queste tre operazioni vengono somministrati antibiotici. I problemi cominciano in seguito alla rimozione dello stent (avvenuta il 23 dicembre scorso). Comincia subito la febbre alta, inarrestabile, per diversi giorni. I dottori decidono di rimettere lo stent perché la febbre era causata da un'infezione dovuta al restringimento del canale dove era stata precedentemente operata di pielo plastica. Il restringimento era causato da un errato risanamento della ferita, anziché piatta si stava creando un accumulo di carne in quella zona che otturava il canale e ostacolava il passaggio dell'urina, causando dunque idronefrosi e conseguentemente la febbre. A questo punto i dottori le prescrivono 7 giorni di iniezioni di penicillina (due volte al dì). Sotto effetto antibiotico lei sta bene, appena smette, qualche giorno dopo, sorgono i problemi: febbre, vomito e mal di pancia. Corriamo in ospedale, dove si trova attualmente e somministrano ancora antibiotico, questa volta aumentano le dosi (3 volte al dì) la febbre svanisce, ma resta la preoccupazione e il buio... Non sono ancora riusciti ad individuare la causa dell'infezione, non sanno qual è il problema e tutti noi in famiglia siamo in preda al panico e alla disperazione. Chiedo il vostro aiuto, il vostro consiglio, non sappiamo cosa fare, e temiamo il peggio. Secondo voi è normale? Quali potrebbero essere le conseguenze se non individuano la causa dell'infezione? Cosa possiamo fare?
Scusate per il lungo monologo, spero tanto nel vostro aiuto e consiglio.
Cordiali saluti
Innanzitutto grazie per la vostra cortese attenzione, vi scrivo perché vorrei parlarvi di un problema molto serio che riguarda mia sorella e che da mesi cerchiamo di risolvere. Tutto inizia un anno fa, quando scopre casualmente di avere un problema congenito ad un rene. Si tratta della seguente malattia: stenosi del giunto. Ad ottobre cominciano gli interventi chirurgici: il primo, in cui viene inserito lo stent; il secondo intervento di pielo-plastica attraverso laparoscopia; il terzo (a soli due mesi di distanza) di rimozione dello stent che viene eseguito ambulatoriamente. Durante queste tre operazioni vengono somministrati antibiotici. I problemi cominciano in seguito alla rimozione dello stent (avvenuta il 23 dicembre scorso). Comincia subito la febbre alta, inarrestabile, per diversi giorni. I dottori decidono di rimettere lo stent perché la febbre era causata da un'infezione dovuta al restringimento del canale dove era stata precedentemente operata di pielo plastica. Il restringimento era causato da un errato risanamento della ferita, anziché piatta si stava creando un accumulo di carne in quella zona che otturava il canale e ostacolava il passaggio dell'urina, causando dunque idronefrosi e conseguentemente la febbre. A questo punto i dottori le prescrivono 7 giorni di iniezioni di penicillina (due volte al dì). Sotto effetto antibiotico lei sta bene, appena smette, qualche giorno dopo, sorgono i problemi: febbre, vomito e mal di pancia. Corriamo in ospedale, dove si trova attualmente e somministrano ancora antibiotico, questa volta aumentano le dosi (3 volte al dì) la febbre svanisce, ma resta la preoccupazione e il buio... Non sono ancora riusciti ad individuare la causa dell'infezione, non sanno qual è il problema e tutti noi in famiglia siamo in preda al panico e alla disperazione. Chiedo il vostro aiuto, il vostro consiglio, non sappiamo cosa fare, e temiamo il peggio. Secondo voi è normale? Quali potrebbero essere le conseguenze se non individuano la causa dell'infezione? Cosa possiamo fare?
Scusate per il lungo monologo, spero tanto nel vostro aiuto e consiglio.
Cordiali saluti
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Premettiamo che in effetti il vero intervento "chirurgico" è stato uno solo, ovvero la laparoscopia. L'inserimento e la rimozione dello stent sono da considerare procedure endoscopiche accessorie.
La condizione in cui si trova ora sua sorella non è così rara nelle conseguenze di interventi di questo tipo. Le cause coinvolte sono principalmente due:
- La malformazione congenita talora non si limita alla stenosi (restingimento) del giunto pielo-ureterale, ma comporta anche la tendenza al ristagno dell'urina all'interno dl rene per mancanza di "tono" delle cavità; questa "atonìa" è generalmente proporzionale alla dilatazione che la stenosi ha causato nel tempo, pur con qualche eccezione. Questo per dire che a volte non è sufficiente "liberare" il giunto pielo ureterale per assicurare un adeguato scarico del rene, in cui l'urina tende comunque a ristagnare almeno in parte. E' invece molto raro che vi sia una precoce recidiva della stenosi (es. per cicatrizzazione esuberante), ovviamente a patto che l'intervento sia stato eseguito correttamente, cosa su cui non abbiamo alcun motivo di dubitare.
- In corrispondenza delle varie procedure sono state praticate ripetute e prolungate terapie antibiotiche, certamente a buon fiine, ma che hanno senz'altro selezionato batteri molto resistenti ed aggressivi. Purtroppo oggigiorno negli ambienti ospedalieri abbondano questi batteri, indipendentemente dalla pulizia. Quando si manifestano circostanze favorevoli (ad esempio il ristagno di urina nel rene) questi batteri non tardano a scatenare situazioni infettive gravi, che impongono l'utilizzo di ulteriori antibiotici, in una spirale da cui si esce, ma certamente con difficoltà.
Tutto questo in estrema sintesi, può darsi che nel caso specifico vi siano anche ulteriori fattori in gioco, sui quali però noi non possiamo giudicare. A tal proprosito, siamo certi che, al manifestarsi di queste complicazioni, siano già stati eseguiti accertamenti approfonditi (es. TAC) che abbiano escluso altre possibili cause. Talora, nelle situazioni più gravi, è opportuno assicurare il migliore scarico del rene tramite l'inserimento di un "tubicino" diretto attraverso il fianco (nefrostomia percutanea). Concludendo, possiamo affermare che la necessità di intervenire di nuovo chirurgicamente a così breve termine è davvero molto rara.
La condizione in cui si trova ora sua sorella non è così rara nelle conseguenze di interventi di questo tipo. Le cause coinvolte sono principalmente due:
- La malformazione congenita talora non si limita alla stenosi (restingimento) del giunto pielo-ureterale, ma comporta anche la tendenza al ristagno dell'urina all'interno dl rene per mancanza di "tono" delle cavità; questa "atonìa" è generalmente proporzionale alla dilatazione che la stenosi ha causato nel tempo, pur con qualche eccezione. Questo per dire che a volte non è sufficiente "liberare" il giunto pielo ureterale per assicurare un adeguato scarico del rene, in cui l'urina tende comunque a ristagnare almeno in parte. E' invece molto raro che vi sia una precoce recidiva della stenosi (es. per cicatrizzazione esuberante), ovviamente a patto che l'intervento sia stato eseguito correttamente, cosa su cui non abbiamo alcun motivo di dubitare.
- In corrispondenza delle varie procedure sono state praticate ripetute e prolungate terapie antibiotiche, certamente a buon fiine, ma che hanno senz'altro selezionato batteri molto resistenti ed aggressivi. Purtroppo oggigiorno negli ambienti ospedalieri abbondano questi batteri, indipendentemente dalla pulizia. Quando si manifestano circostanze favorevoli (ad esempio il ristagno di urina nel rene) questi batteri non tardano a scatenare situazioni infettive gravi, che impongono l'utilizzo di ulteriori antibiotici, in una spirale da cui si esce, ma certamente con difficoltà.
Tutto questo in estrema sintesi, può darsi che nel caso specifico vi siano anche ulteriori fattori in gioco, sui quali però noi non possiamo giudicare. A tal proprosito, siamo certi che, al manifestarsi di queste complicazioni, siano già stati eseguiti accertamenti approfonditi (es. TAC) che abbiano escluso altre possibili cause. Talora, nelle situazioni più gravi, è opportuno assicurare il migliore scarico del rene tramite l'inserimento di un "tubicino" diretto attraverso il fianco (nefrostomia percutanea). Concludendo, possiamo affermare che la necessità di intervenire di nuovo chirurgicamente a così breve termine è davvero molto rara.
Paolo Piana
Medico Chirurgo - Specialista in Urologia
Trattamento integrato della Calcolosi Urinaria
www.paolopianaurologo.it
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 5.5k visite dal 10/01/2016.
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