Umore basso e ipocondria
Salve dottori, vi scrivo per chiedere un parere.
Sono una ragazza di 21 anni, sempre stata molto solare, frequento il secondo anno di medicina, tengo molto allo studio che reputo una priorità, non fumo e non abuso di alcol.
Ho vissuto gli ultimi tre anni in maniera molto stressante: i test di medicina, la morte di un parente a me molto caro, il trasferimento in un’altra città.
A marzo, dopo aver preparato un esame stressante per il quale ho studiato giorno e notte, dopo qualche settimana mi sono rimessa a studiare per un altro esame, tuttavia è come se avessi sentito qualcosa spegnersi dentro di me, un senso di apatia e di tristezza.
Sono sempre stata molto ipocondriaca, al punto tale da avere una paura, quasi un’ossessione, un pensiero intrusivo relativo al fatto che quel mio malessere mi avrebbe potuto far fare cose davvero brutte, pur consapevole del fatto che non lo avrei mai fatto.
La situazione si è protratta per due mesi, c’erano dei giorni in cui mi sentivo così triste da provare un senso di vuoto, tuttavia sono sempre riuscita a condurrre una vita normale, a studiare e a fare gli esami.
Come accennavo, dopo aver eseguito l’esame, era come se anche il pensiero intrusivo fosse sparito insieme all’esame.
Sono stata bene per svariati giorni, anche se ogni tanto quella sensazione di oppressione al petto tornava a farmi visita.
Da lì ho iniziato a cercare su internet (so che non dovrei farlo) e mi sono imbattuta in una nuova preoccupazione: avere il disturbo bipolare di tipo 2.
Premetto che non ho mai avuto fasi ipomaniacali, mai dormito poco o cose del genere.
Tuttavia, non riesco a stare davvero bene, perché è come se ormai fossi convinta di averlo, anzi, ormai immagino uno scenario in cui mi viene diagnosticato.
Sono tornata da una vacanza fatta con le mie amiche in cui sono stata davvero bene, serena, senza pensieri.
Quando stavo per tornare la paura di stare di nuovo male si è impossessata di me, è come se avessi pensato: tanto quando tornerò a casa sarò di nuovo convinta di essere bipolare.
In passato, per ovviare ai miei attacchi di ipocondria, ho eseguito diverse visite per convincermi del fatto che andasse tutto bene, dopo aver eseguito le visite, i problemi sparivano.
Ho intenzione di intraprendere un percorso con una psicoterapeuta, tuttavia temo che da lì potrei essere indirizzata verso uno psichiatra e assumere quindi dei farmaci.
Ho il terrore di ciò, delle volte rimango paralizzata dalla paura.
Non so se definire, quella avuta a marzo, come una fase di depressione, credo si trattasse di depressione lieve.
In ogni caso, dopo quel periodo non ho più avuto fenomeni lunghi depressivi, conduco una vita normale ecc ecc, ma la mia tristezza nasce quando mi convinco di essere bipolare. Non so come comportarmi, sono molto spaventata
Sono una ragazza di 21 anni, sempre stata molto solare, frequento il secondo anno di medicina, tengo molto allo studio che reputo una priorità, non fumo e non abuso di alcol.
Ho vissuto gli ultimi tre anni in maniera molto stressante: i test di medicina, la morte di un parente a me molto caro, il trasferimento in un’altra città.
A marzo, dopo aver preparato un esame stressante per il quale ho studiato giorno e notte, dopo qualche settimana mi sono rimessa a studiare per un altro esame, tuttavia è come se avessi sentito qualcosa spegnersi dentro di me, un senso di apatia e di tristezza.
Sono sempre stata molto ipocondriaca, al punto tale da avere una paura, quasi un’ossessione, un pensiero intrusivo relativo al fatto che quel mio malessere mi avrebbe potuto far fare cose davvero brutte, pur consapevole del fatto che non lo avrei mai fatto.
La situazione si è protratta per due mesi, c’erano dei giorni in cui mi sentivo così triste da provare un senso di vuoto, tuttavia sono sempre riuscita a condurrre una vita normale, a studiare e a fare gli esami.
Come accennavo, dopo aver eseguito l’esame, era come se anche il pensiero intrusivo fosse sparito insieme all’esame.
Sono stata bene per svariati giorni, anche se ogni tanto quella sensazione di oppressione al petto tornava a farmi visita.
Da lì ho iniziato a cercare su internet (so che non dovrei farlo) e mi sono imbattuta in una nuova preoccupazione: avere il disturbo bipolare di tipo 2.
Premetto che non ho mai avuto fasi ipomaniacali, mai dormito poco o cose del genere.
Tuttavia, non riesco a stare davvero bene, perché è come se ormai fossi convinta di averlo, anzi, ormai immagino uno scenario in cui mi viene diagnosticato.
Sono tornata da una vacanza fatta con le mie amiche in cui sono stata davvero bene, serena, senza pensieri.
Quando stavo per tornare la paura di stare di nuovo male si è impossessata di me, è come se avessi pensato: tanto quando tornerò a casa sarò di nuovo convinta di essere bipolare.
In passato, per ovviare ai miei attacchi di ipocondria, ho eseguito diverse visite per convincermi del fatto che andasse tutto bene, dopo aver eseguito le visite, i problemi sparivano.
Ho intenzione di intraprendere un percorso con una psicoterapeuta, tuttavia temo che da lì potrei essere indirizzata verso uno psichiatra e assumere quindi dei farmaci.
Ho il terrore di ciò, delle volte rimango paralizzata dalla paura.
Non so se definire, quella avuta a marzo, come una fase di depressione, credo si trattasse di depressione lieve.
In ogni caso, dopo quel periodo non ho più avuto fenomeni lunghi depressivi, conduco una vita normale ecc ecc, ma la mia tristezza nasce quando mi convinco di essere bipolare. Non so come comportarmi, sono molto spaventata
[#1]
Gentile utente,
la sua paura di "essere bipolare", come ho potuto anche apprendere dai suoi precedenti consulti, e' l' ennesima di una serie di paure, tutte legate alla malattia.
È stata tormentata dalla paura di abitare in un corpo pericoloso, al cui interno si insediavano le malattie; ora la stessa paura è divenuta più subdola, ha cambiato oggetto, e dal corpo si è legata alla mente.
Infatti, il disturbo bipolare è un disturbo psichiatrico, che però denuncia come le malattie organiche, che affliggono il corpo, un disordine o un malfunzionamento; nello specifico qualcosa che devia dalla normalità e si costituisce come patologia. Una patologia che fisica o mentale, la inchioda forse, nella sua rappresentazione, come una persona malata.
In tal caso, questa sua paura sarebbe più subdola sia perché è più difficile ottenere la sua smentita, sia perché si serve dell' "umore basso" che lei individua.
Sono d' accordo sul fatto di rivolgersi ad una psicoterapeuta; credo che abbia bisogno di uno spazio per esprimere i suoi vissuti emotivi, coglierne magari sullo sfondo il dolore della perdita, della separazione, dell' abbandono.
Infatti, racconta degli ultimi anni in cui ha vissuto la morte di un parente, lo sradicamento dal suo paese, non potendo forse piangere questi lutti perché troppo impegnata a studiare, ad affannarsi.
E allora qualcosa si è spento, forse proprio come difesa dal sentire troppo o troppo intensamente la fatica, la pressione, lo sconforto, lo smarrimento.
Non si preoccupi adesso dell' eventuale assunzione dei farmaci, rispetto alla quale comunque nessuno potrà obbligarla. Sara' eventualmente una decisione che prenderà insieme allo psichiatra, solo nel caso in cui dovesse fare un colloquio anche con lui e questi le proponesse un trattamento farmacologico.
Non lasci che la paura la porti troppo oltre.
Comunque, il meccanismo della paura della malattia è proprio sorretto dall' impossibilita' di accettarla. Un' impossibilita' che se attraversata, ascoltata, espressa, elaborata, diviene più digeribile, sopportabile.
La malattia del corpo o della mente provoca difficoltà, solitudine, sofferenza.
Ma il paradosso del vivere nella paura di soffrire e' insito nel fatto che si finisce inevitabilmente col soffrire proprio di quel che si teme.
L' unica possibilità che abbiamo è aprirci ai rischi della vita ai quali inevitabilmente siamo esposti, come quello della malattia.
È un po' come lottare per quel che si può cambiare e accettare quello su cui non si ha potere. È estremamente arduo, ma qualora si trovasse la forza per farlo, si potrebbe essere più liberi e sereni.
Auguri di cuore.
la sua paura di "essere bipolare", come ho potuto anche apprendere dai suoi precedenti consulti, e' l' ennesima di una serie di paure, tutte legate alla malattia.
È stata tormentata dalla paura di abitare in un corpo pericoloso, al cui interno si insediavano le malattie; ora la stessa paura è divenuta più subdola, ha cambiato oggetto, e dal corpo si è legata alla mente.
Infatti, il disturbo bipolare è un disturbo psichiatrico, che però denuncia come le malattie organiche, che affliggono il corpo, un disordine o un malfunzionamento; nello specifico qualcosa che devia dalla normalità e si costituisce come patologia. Una patologia che fisica o mentale, la inchioda forse, nella sua rappresentazione, come una persona malata.
In tal caso, questa sua paura sarebbe più subdola sia perché è più difficile ottenere la sua smentita, sia perché si serve dell' "umore basso" che lei individua.
Sono d' accordo sul fatto di rivolgersi ad una psicoterapeuta; credo che abbia bisogno di uno spazio per esprimere i suoi vissuti emotivi, coglierne magari sullo sfondo il dolore della perdita, della separazione, dell' abbandono.
Infatti, racconta degli ultimi anni in cui ha vissuto la morte di un parente, lo sradicamento dal suo paese, non potendo forse piangere questi lutti perché troppo impegnata a studiare, ad affannarsi.
E allora qualcosa si è spento, forse proprio come difesa dal sentire troppo o troppo intensamente la fatica, la pressione, lo sconforto, lo smarrimento.
Non si preoccupi adesso dell' eventuale assunzione dei farmaci, rispetto alla quale comunque nessuno potrà obbligarla. Sara' eventualmente una decisione che prenderà insieme allo psichiatra, solo nel caso in cui dovesse fare un colloquio anche con lui e questi le proponesse un trattamento farmacologico.
Non lasci che la paura la porti troppo oltre.
Comunque, il meccanismo della paura della malattia è proprio sorretto dall' impossibilita' di accettarla. Un' impossibilita' che se attraversata, ascoltata, espressa, elaborata, diviene più digeribile, sopportabile.
La malattia del corpo o della mente provoca difficoltà, solitudine, sofferenza.
Ma il paradosso del vivere nella paura di soffrire e' insito nel fatto che si finisce inevitabilmente col soffrire proprio di quel che si teme.
L' unica possibilità che abbiamo è aprirci ai rischi della vita ai quali inevitabilmente siamo esposti, come quello della malattia.
È un po' come lottare per quel che si può cambiare e accettare quello su cui non si ha potere. È estremamente arduo, ma qualora si trovasse la forza per farlo, si potrebbe essere più liberi e sereni.
Auguri di cuore.
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it
[#2]
Utente
Gentile dottoressa, la ringrazio per queste profonde e toccanti parole che custodirò. Quello che lei ha gentilmente fatto nei miei confronti, non lo definirei un consulto, poiché mi sembrerebbe eccessivamente riduttivo. Di fatti queste parole colpiscono, entrano dentro e ti spingono a riflettere e a pensare. Grazie davvero di cuore.
Spero di potermi rivolgere quanto prima a chi di competenza de visu , per dar voce ai miei pensieri e ritornare a vedere il mondo pienamente a colori.
Spero di potermi rivolgere quanto prima a chi di competenza de visu , per dar voce ai miei pensieri e ritornare a vedere il mondo pienamente a colori.
[#3]
La ringrazio del riscontro positivo.
Le consiglio di non esitare a rivolgersi allo psicologo, di non aspettare troppo né procrastinare.
Scrive che queste parole colpiscono, entrano dentro. Io aggiungerei che possono entrare dentro a qualcosa che già c'è. Quindi credo che dentro di lei ci sia sensibilità, consapevolezza, capacità introspettiva, e chissà cos' altro.
Le auguro al più presto di tornare a vedere quei colori di cui è fatto il mondo, e anche la sua vita.
Le consiglio di non esitare a rivolgersi allo psicologo, di non aspettare troppo né procrastinare.
Scrive che queste parole colpiscono, entrano dentro. Io aggiungerei che possono entrare dentro a qualcosa che già c'è. Quindi credo che dentro di lei ci sia sensibilità, consapevolezza, capacità introspettiva, e chissà cos' altro.
Le auguro al più presto di tornare a vedere quei colori di cui è fatto il mondo, e anche la sua vita.
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.1k visite dal 16/08/2023.
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