Problema sociale: sbaglio io?
Salve, mi piacerebbe avere un punto di vista su una mia abitudine sociale spesso malvista da parte di alcune persone che conosco: non mi piace creare gruppi e presentare le persone che conosco fra di loro.
Mi piace avere relazioni individuali, ognuna contraddistinta da specifiche regole e abitudini e da un mio preciso modo di pormi e di comportarmi.
Con ogni persona che conosco ho precisi argomenti di conversazione, ciascuno di loro ha ricevuto specifiche confidenza su alcuni episodi della mia vita e non su altri.
E a me va bene così.
Presentare le persone che conosco fra loro e uscire tutti insieme mi crea disagio: non è tanto una forma di possessività, quanto il fatto che non saprei come pormi dato che ciascuna di queste persone mi conosce in maniera diversa.
In più non amo la confusione, gli imprevisti, le complicazioni che potrebbero sorgere qualora queste persone non si andassero a genio e dovessi essere io a dover fungere da intermediario; allo stesso modo non mi piacerebbe essere costretta a uscire più spesso del dovuto perché magari si trovano bene insieme ma non abbastanza da uscire senza l'amica "collante" che sarei io.
Tutto questo a volte mi porta ansia e senso di colpa perché conosco persone convinte che un "vero amico" dovrebbe magari coinvolgere gli altri nelle cose che fa e dovrebbe favorire occasioni di aggregazione, soprattutto in presenza di persone molto sole e che avrebbero bisogno di compagnia.
Mi è capitato a volte di conoscere persone con la tendenza ad autoinvitarsi, del tipo "posso venire anche io?
", cosa che a me sembra invadente e fuori luogo ma che allo stesso tempo mi mette in difficoltà perché dire palesemente a una persona "no, non mi va che tu venga perché non c'entri nulla con me e la mia amica, ci vediamo solo io e te un'altra volta" appare come una cosa strana o cattiva.
Proprio per evitare queste situazioni tendo a volte ad omettere o a studiare le uscite in modo da evitare possibili sovrapposizioni.
Non voglio emarginare nessuno, semplicemente mi piacciono situazioni lineari e ritengo che ognuno abbia le capacità di allargare il proprio giro di amicizie senza imporsi nei rapporti che intrattengo con altre persone.
Preciso che io per prima quindi rispetto gli spazi altrui e le relazioni che intrattengono con altri, senza interferire o impormi in alcun modo.
Vorrei capire però se effettivamente il mio è un comportamento sbagliato ed egoista o se è invadente il comportamento di chi la pensa all'opposto.
Se, in generale, c'è qualcosa di "moralmente scorretto" nel mio modo di vedere le relazioni.
Grazie.
Mi piace avere relazioni individuali, ognuna contraddistinta da specifiche regole e abitudini e da un mio preciso modo di pormi e di comportarmi.
Con ogni persona che conosco ho precisi argomenti di conversazione, ciascuno di loro ha ricevuto specifiche confidenza su alcuni episodi della mia vita e non su altri.
E a me va bene così.
Presentare le persone che conosco fra loro e uscire tutti insieme mi crea disagio: non è tanto una forma di possessività, quanto il fatto che non saprei come pormi dato che ciascuna di queste persone mi conosce in maniera diversa.
In più non amo la confusione, gli imprevisti, le complicazioni che potrebbero sorgere qualora queste persone non si andassero a genio e dovessi essere io a dover fungere da intermediario; allo stesso modo non mi piacerebbe essere costretta a uscire più spesso del dovuto perché magari si trovano bene insieme ma non abbastanza da uscire senza l'amica "collante" che sarei io.
Tutto questo a volte mi porta ansia e senso di colpa perché conosco persone convinte che un "vero amico" dovrebbe magari coinvolgere gli altri nelle cose che fa e dovrebbe favorire occasioni di aggregazione, soprattutto in presenza di persone molto sole e che avrebbero bisogno di compagnia.
Mi è capitato a volte di conoscere persone con la tendenza ad autoinvitarsi, del tipo "posso venire anche io?
", cosa che a me sembra invadente e fuori luogo ma che allo stesso tempo mi mette in difficoltà perché dire palesemente a una persona "no, non mi va che tu venga perché non c'entri nulla con me e la mia amica, ci vediamo solo io e te un'altra volta" appare come una cosa strana o cattiva.
Proprio per evitare queste situazioni tendo a volte ad omettere o a studiare le uscite in modo da evitare possibili sovrapposizioni.
Non voglio emarginare nessuno, semplicemente mi piacciono situazioni lineari e ritengo che ognuno abbia le capacità di allargare il proprio giro di amicizie senza imporsi nei rapporti che intrattengo con altre persone.
Preciso che io per prima quindi rispetto gli spazi altrui e le relazioni che intrattengono con altri, senza interferire o impormi in alcun modo.
Vorrei capire però se effettivamente il mio è un comportamento sbagliato ed egoista o se è invadente il comportamento di chi la pensa all'opposto.
Se, in generale, c'è qualcosa di "moralmente scorretto" nel mio modo di vedere le relazioni.
Grazie.
[#1]
Gentile utente,
normalmente all'età che lei dichiara di avere si è acquisita una dose di sicurezza personale che permette di vedere persone molto diverse anche in contemporanea senza dover recitare copioni imbarazzanti, ma gestendo con disinvoltura i diversi gradi di confidenza, e soprattutto senza il timore paralizzante quanto assurdo di essere responsabili delle loro interazioni.
Possiamo aver raccontato ad alcuni conoscenti vicende molto personali e aver avuto maggior riserbo con altri, in linea con le sue parole: "Con ogni persona che conosco ho precisi argomenti di conversazione, ciascuno di loro ha ricevuto specifiche confidenza su alcuni episodi della mia vita e non su altri".
Fin qui nulla di strano; questo non fa di lei un attore che recita parti così diverse da farla sembrare una persona con esperienze e personalità differenti ad ogni incontro.
Ma lei si spinge fino ad una sorta di mascheramento volontario, quando scrive: "Mi piace avere relazioni individuali, ognuna contraddistinta da specifiche regole e abitudini e da un mio preciso modo di pormi e di comportarmi".
Perché fa questo? Si adegua alle aspettative vere o presunte dell'altro per una sua insicurezza, fino ad un vero e proprio camuffamento del suo io? Per esempio, le capita di mentire sulle esperienze della sua vita, negandone alcune e inventandone altre, a seconda della persona con cui parla?
Oppure non capisce che la parola "amicizia" ha un significato esteso, che va dalla conoscenza all'intensa vicinanza affettiva, e questi gradi diversi comportano atteggiamenti diversi, senza che nessuno se ne stupisca?
Dice che non potrebbe mischiare le varie conoscenze in un'unica uscita perché "non saprei come pormi dato che ciascuna di queste persone mi conosce in maniera diversa". Perché non può porsi con spontaneità, interagendo con ciascuno a seconda del reale grado di intimità, in genere relativo al ruolo che le varie persone occupano nella nostra vita? Per fare un esempio, se va con un'amica tenendola sottobraccio dal droghiere, prende sottobraccio anche quest'ultimo?
A questa confusione sorprendente di gradi di vicinanza e conseguenti comportamenti, lei aggiunge delle preoccupazioni diverse, ma sempre frutto di un fraintendimento del suo ruolo; infatti pensa che se i suoi conoscenti invitati tutti insieme non armonizzassero, lei sarebbe costretta a "dover fungere da intermediario"!
Ma scherziamo? In tutte le feste, per fare un esempio nei matrimoni, chi si metterebbe a svolgere questo ruolo, e poi in che termini?
Aggiunge un'altra preoccupazione inverosimile: "non mi piacerebbe essere costretta a uscire più spesso del dovuto perché magari si trovano bene insieme ma non abbastanza da uscire senza l'amica "collante" che sarei io".
Da queste parole sembrerebbe che i suoi conoscenti non abbiano più di dodici anni e siano paralizzati da una timidezza in cui lei stessa non crede, tanto che poco oltre scrive: "ritengo che ognuno abbia le capacità di allargare il proprio giro di amicizie senza imporsi nei rapporti che intrattengo con altre persone".
E dunque, se anche avessero conosciuto qualcuno che li interessa per suo tramite, perché mai dovrebbero chiedere a lei di favorire ulteriori incontri, addirittura facendo uscire anche lei assieme a loro "più spesso del dovuto"?
Lei scrive: "conosco persone convinte che un "vero amico" dovrebbe magari coinvolgere gli altri nelle cose che fa e dovrebbe favorire occasioni di aggregazione, soprattutto in presenza di persone molto sole e che avrebbero bisogno di compagnia".
Se non condivide il punto di vista di queste persone, chi le impone di frequentarle? Tenga però conto che introdurre nella propria cerchia di amici una persona timida o senza conoscenze non sembra a nessuno una compromissione della propria immagine, come non lo sembra il dar seguito alla richiesta "Posso venire anch'io?" se non si tratta di un'uscita a due, nel qual caso una frase come: "Siamo solo io e la mia amica e abbiamo tante cose da dirci" basta a scoraggiare l'intrusione... sempre se è vero che avete tante cose da dirvi.
Venendo alle sue domande finali, sembrano rispecchiare il timore che il suo comportamento non sia proprio ideale.
La prima è: "Vorrei capire però se effettivamente il mio è un comportamento sbagliato ed egoista o se è invadente il comportamento di chi la pensa all'opposto".
Cosa intende per "sbagliato"? Certo per risultare simpatica e accogliente non è l'ideale. "Egoista"? Se lo fa per tenersi i conoscenti tutti per sé, è egoista nelle intenzioni; l'esito poi potrebbe essere il contrario, quello di avere ben pochi amici.
La seconda domanda chiede "Se, in generale, c'è qualcosa di "moralmente scorretto" nel mio modo di vedere le relazioni".
Sul piano morale può valutare solo lei: agendo come fa, si sente buona o no?
Sul piano dell'opportunità, lei sembra dominata da ansie immotivate che finiscono in un dirigismo da adolescente insicura.
Se ha scritto sulla scheda la sua vera età, al suo posto valuterei meglio la situazione.
Auguri.
normalmente all'età che lei dichiara di avere si è acquisita una dose di sicurezza personale che permette di vedere persone molto diverse anche in contemporanea senza dover recitare copioni imbarazzanti, ma gestendo con disinvoltura i diversi gradi di confidenza, e soprattutto senza il timore paralizzante quanto assurdo di essere responsabili delle loro interazioni.
Possiamo aver raccontato ad alcuni conoscenti vicende molto personali e aver avuto maggior riserbo con altri, in linea con le sue parole: "Con ogni persona che conosco ho precisi argomenti di conversazione, ciascuno di loro ha ricevuto specifiche confidenza su alcuni episodi della mia vita e non su altri".
Fin qui nulla di strano; questo non fa di lei un attore che recita parti così diverse da farla sembrare una persona con esperienze e personalità differenti ad ogni incontro.
Ma lei si spinge fino ad una sorta di mascheramento volontario, quando scrive: "Mi piace avere relazioni individuali, ognuna contraddistinta da specifiche regole e abitudini e da un mio preciso modo di pormi e di comportarmi".
Perché fa questo? Si adegua alle aspettative vere o presunte dell'altro per una sua insicurezza, fino ad un vero e proprio camuffamento del suo io? Per esempio, le capita di mentire sulle esperienze della sua vita, negandone alcune e inventandone altre, a seconda della persona con cui parla?
Oppure non capisce che la parola "amicizia" ha un significato esteso, che va dalla conoscenza all'intensa vicinanza affettiva, e questi gradi diversi comportano atteggiamenti diversi, senza che nessuno se ne stupisca?
Dice che non potrebbe mischiare le varie conoscenze in un'unica uscita perché "non saprei come pormi dato che ciascuna di queste persone mi conosce in maniera diversa". Perché non può porsi con spontaneità, interagendo con ciascuno a seconda del reale grado di intimità, in genere relativo al ruolo che le varie persone occupano nella nostra vita? Per fare un esempio, se va con un'amica tenendola sottobraccio dal droghiere, prende sottobraccio anche quest'ultimo?
A questa confusione sorprendente di gradi di vicinanza e conseguenti comportamenti, lei aggiunge delle preoccupazioni diverse, ma sempre frutto di un fraintendimento del suo ruolo; infatti pensa che se i suoi conoscenti invitati tutti insieme non armonizzassero, lei sarebbe costretta a "dover fungere da intermediario"!
Ma scherziamo? In tutte le feste, per fare un esempio nei matrimoni, chi si metterebbe a svolgere questo ruolo, e poi in che termini?
Aggiunge un'altra preoccupazione inverosimile: "non mi piacerebbe essere costretta a uscire più spesso del dovuto perché magari si trovano bene insieme ma non abbastanza da uscire senza l'amica "collante" che sarei io".
Da queste parole sembrerebbe che i suoi conoscenti non abbiano più di dodici anni e siano paralizzati da una timidezza in cui lei stessa non crede, tanto che poco oltre scrive: "ritengo che ognuno abbia le capacità di allargare il proprio giro di amicizie senza imporsi nei rapporti che intrattengo con altre persone".
E dunque, se anche avessero conosciuto qualcuno che li interessa per suo tramite, perché mai dovrebbero chiedere a lei di favorire ulteriori incontri, addirittura facendo uscire anche lei assieme a loro "più spesso del dovuto"?
Lei scrive: "conosco persone convinte che un "vero amico" dovrebbe magari coinvolgere gli altri nelle cose che fa e dovrebbe favorire occasioni di aggregazione, soprattutto in presenza di persone molto sole e che avrebbero bisogno di compagnia".
Se non condivide il punto di vista di queste persone, chi le impone di frequentarle? Tenga però conto che introdurre nella propria cerchia di amici una persona timida o senza conoscenze non sembra a nessuno una compromissione della propria immagine, come non lo sembra il dar seguito alla richiesta "Posso venire anch'io?" se non si tratta di un'uscita a due, nel qual caso una frase come: "Siamo solo io e la mia amica e abbiamo tante cose da dirci" basta a scoraggiare l'intrusione... sempre se è vero che avete tante cose da dirvi.
Venendo alle sue domande finali, sembrano rispecchiare il timore che il suo comportamento non sia proprio ideale.
La prima è: "Vorrei capire però se effettivamente il mio è un comportamento sbagliato ed egoista o se è invadente il comportamento di chi la pensa all'opposto".
Cosa intende per "sbagliato"? Certo per risultare simpatica e accogliente non è l'ideale. "Egoista"? Se lo fa per tenersi i conoscenti tutti per sé, è egoista nelle intenzioni; l'esito poi potrebbe essere il contrario, quello di avere ben pochi amici.
La seconda domanda chiede "Se, in generale, c'è qualcosa di "moralmente scorretto" nel mio modo di vedere le relazioni".
Sul piano morale può valutare solo lei: agendo come fa, si sente buona o no?
Sul piano dell'opportunità, lei sembra dominata da ansie immotivate che finiscono in un dirigismo da adolescente insicura.
Se ha scritto sulla scheda la sua vera età, al suo posto valuterei meglio la situazione.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#2]
Utente
Buongiorno,
La ringrazio per la risposta. La questione è molto semplice: sono una persona riservata e mi piace che i miei spazi vengano rispettati. Per spazi intendo contesti in cui possa muovermi senza necessariamente includere altri e senza dovermi sentire in colpa per questo. Non mi sento una persona cattiva: sono al contrario una persona piuttosto disponibile, cerco di dare a ciascuno quel grado di attenzioni esclusive che un contesto più allargato non permetterebbe e soprattutto ho sempre rispettato gli spazi di tutti, senza mai essere "onnipresente" e lasciando a tutti la possibilità di coltivare altri rapporti senza possessività o protagonismi. Semplicemente situazioni di gruppo, con inclusione disordinata di amicizie di vari contesti, conoscenti, amici di amici e via dicendo mi appaiono di difficile gestione emotiva: potrebbero sorgere conflitti, fraintendimenti. Forse il mio è un comportamento insolito, ma non ritengo sia lesivo nei confronti di altri. Il mio quesito nasce perché vorrei sapere se il non voler essere fautore di occasioni di aggregazione fa parte di un modo di vivere le relazioni che può essere non condivisibile ma comunque sacrosanto, o se è di per sé qualcosa di poco corretto nei confronti delle altre persone (che rimangono, naturalmente, liberissime di crearsele autonomamente).
La ringrazio per la risposta. La questione è molto semplice: sono una persona riservata e mi piace che i miei spazi vengano rispettati. Per spazi intendo contesti in cui possa muovermi senza necessariamente includere altri e senza dovermi sentire in colpa per questo. Non mi sento una persona cattiva: sono al contrario una persona piuttosto disponibile, cerco di dare a ciascuno quel grado di attenzioni esclusive che un contesto più allargato non permetterebbe e soprattutto ho sempre rispettato gli spazi di tutti, senza mai essere "onnipresente" e lasciando a tutti la possibilità di coltivare altri rapporti senza possessività o protagonismi. Semplicemente situazioni di gruppo, con inclusione disordinata di amicizie di vari contesti, conoscenti, amici di amici e via dicendo mi appaiono di difficile gestione emotiva: potrebbero sorgere conflitti, fraintendimenti. Forse il mio è un comportamento insolito, ma non ritengo sia lesivo nei confronti di altri. Il mio quesito nasce perché vorrei sapere se il non voler essere fautore di occasioni di aggregazione fa parte di un modo di vivere le relazioni che può essere non condivisibile ma comunque sacrosanto, o se è di per sé qualcosa di poco corretto nei confronti delle altre persone (che rimangono, naturalmente, liberissime di crearsele autonomamente).
[#3]
Utente
Preciso che le ansie a cui facevo riferimento (conflitti in cui l'amico che fa da collante viene messo in mezzo o necessità di uscire per forza perché ci si trova bene ma non abbastanza da farlo in totale autonomia) derivano da situazioni che si sono effettivamente verificate in passato.
[#4]
Gentile utente,
cerco di risponderle.
1) Scrive: "Forse il mio è un comportamento insolito".
No davvero, lo verifichiamo tutte le volte che un paziente ansioso vive un'abnorme percezione della propria centralità, come lei esprime con le parole: "situazioni di gruppo, con inclusione disordinata di amicizie di vari contesti, conoscenti, amici di amici e via dicendo mi appaiono di difficile gestione emotiva: potrebbero sorgere conflitti, fraintendimenti".
E perché mai dovrebbe essere lei a gestire i conflitti e i fraintendimenti fra altri adulti? Perfino le guide turistiche non si sentono costrette a farlo, o lo fanno in maniera molto soft.
2) Scrive: "vorrei sapere se il non voler essere fautore di occasioni di aggregazione fa parte di un modo di vivere le relazioni che può essere non condivisibile ma comunque sacrosanto, o se è di per sé qualcosa di poco corretto nei confronti delle altre persone".
In che modo un* psicolog* potrebbe valutare un atteggiamento come "non condivisibile ma comunque sacrosanto"?
Lo psicologo si occupa di ciò che è funzionale al benessere della persona ed eventualmente del gruppo di cui si prende cura; non dà valutazioni morali e meno che mai di savoir faire, ossia buona educazione. Semmai parla di "skills life" o "abilità sociali", ma questo, almeno nella sfera privata, si valuta come dico di seguito.
Uno dei criteri per distinguere ciò che è opportuno da ciò che non è opportuno al benessere del singolo è il concetto di "egosintonico", opposto a "egodistonico".
Nel primo caso parliamo di idee, comportamenti ed emozioni accolte dal soggetto come a lui confacenti che gli danno sensazioni positive; il contrario nel secondo.
Tale criterio va però applicato con cautela, a motivo del fatto che il maniaco omicida, per esempio, trova egosintonico affondare il coltello nel corpo della vittima, ma questo fatto socialmente nocivo può comportare per lo stesso assassino degli effetti indesiderabili: sensi di colpa, ripensamenti, quasi sempre l'ergastolo o il manicomio criminale.
Il secondo criterio per individuare ciò che è opportuno al benessere è la valutazione del grado di libertà con cui il paziente ha accolto e mantiene idee, comportamenti ed emozioni.
Se tale grado è rigido si parla di atteggiamento disfunzionale. Alla base non c'è una scelta, ma un bisogno irrazionale, un meccanismo di difesa, una compulsione (un tempo si diceva una nevrosi o una psicosi).
Alle sue domande quindi si può rispondere così: se lei trova comodo il suo atteggiamento e lo gestisce con piacere (egosintonia) senza ricavare dolore dalle critiche e fastidio dai sensi di colpa, continui come ha sempre fatto, ma prenda atto che potrà scontentare molti e perdere diversi conoscenti.
Valuti però il suo grado di libertà nello scegliere questa modalità di rapporto.
Quando scrive che le piace vivere "contesti in cui possa muovermi senza necessariamente includere altri" dice qualcosa che sperimentiamo tutti, ma attenzione: per la maggior parte di noi questa non è l'unica modalità.
Lei la sceglie perché la preferisce, o si sente costretta a farne l'unico modo di rapportarsi agli altri, per un'erronea percezione della sua centralità?
Certamente le skills life, in particolare le capacità aggregative ed inclusive, sono il cuore di molte attività professionali che a lei sono precluse.
Mi chiedo come agisca in quelle occasioni collettive che sono i compleanni, i matrimoni, i funerali, le manifestazioni politiche o sportive, le riunioni di lavoro.
Che genere di attività svolge?
Spero con questo di averle risposto.
Buone cose.
cerco di risponderle.
1) Scrive: "Forse il mio è un comportamento insolito".
No davvero, lo verifichiamo tutte le volte che un paziente ansioso vive un'abnorme percezione della propria centralità, come lei esprime con le parole: "situazioni di gruppo, con inclusione disordinata di amicizie di vari contesti, conoscenti, amici di amici e via dicendo mi appaiono di difficile gestione emotiva: potrebbero sorgere conflitti, fraintendimenti".
E perché mai dovrebbe essere lei a gestire i conflitti e i fraintendimenti fra altri adulti? Perfino le guide turistiche non si sentono costrette a farlo, o lo fanno in maniera molto soft.
2) Scrive: "vorrei sapere se il non voler essere fautore di occasioni di aggregazione fa parte di un modo di vivere le relazioni che può essere non condivisibile ma comunque sacrosanto, o se è di per sé qualcosa di poco corretto nei confronti delle altre persone".
In che modo un* psicolog* potrebbe valutare un atteggiamento come "non condivisibile ma comunque sacrosanto"?
Lo psicologo si occupa di ciò che è funzionale al benessere della persona ed eventualmente del gruppo di cui si prende cura; non dà valutazioni morali e meno che mai di savoir faire, ossia buona educazione. Semmai parla di "skills life" o "abilità sociali", ma questo, almeno nella sfera privata, si valuta come dico di seguito.
Uno dei criteri per distinguere ciò che è opportuno da ciò che non è opportuno al benessere del singolo è il concetto di "egosintonico", opposto a "egodistonico".
Nel primo caso parliamo di idee, comportamenti ed emozioni accolte dal soggetto come a lui confacenti che gli danno sensazioni positive; il contrario nel secondo.
Tale criterio va però applicato con cautela, a motivo del fatto che il maniaco omicida, per esempio, trova egosintonico affondare il coltello nel corpo della vittima, ma questo fatto socialmente nocivo può comportare per lo stesso assassino degli effetti indesiderabili: sensi di colpa, ripensamenti, quasi sempre l'ergastolo o il manicomio criminale.
Il secondo criterio per individuare ciò che è opportuno al benessere è la valutazione del grado di libertà con cui il paziente ha accolto e mantiene idee, comportamenti ed emozioni.
Se tale grado è rigido si parla di atteggiamento disfunzionale. Alla base non c'è una scelta, ma un bisogno irrazionale, un meccanismo di difesa, una compulsione (un tempo si diceva una nevrosi o una psicosi).
Alle sue domande quindi si può rispondere così: se lei trova comodo il suo atteggiamento e lo gestisce con piacere (egosintonia) senza ricavare dolore dalle critiche e fastidio dai sensi di colpa, continui come ha sempre fatto, ma prenda atto che potrà scontentare molti e perdere diversi conoscenti.
Valuti però il suo grado di libertà nello scegliere questa modalità di rapporto.
Quando scrive che le piace vivere "contesti in cui possa muovermi senza necessariamente includere altri" dice qualcosa che sperimentiamo tutti, ma attenzione: per la maggior parte di noi questa non è l'unica modalità.
Lei la sceglie perché la preferisce, o si sente costretta a farne l'unico modo di rapportarsi agli altri, per un'erronea percezione della sua centralità?
Certamente le skills life, in particolare le capacità aggregative ed inclusive, sono il cuore di molte attività professionali che a lei sono precluse.
Mi chiedo come agisca in quelle occasioni collettive che sono i compleanni, i matrimoni, i funerali, le manifestazioni politiche o sportive, le riunioni di lavoro.
Che genere di attività svolge?
Spero con questo di averle risposto.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#5]
Utente
Buongiorno dottoressa,
La ringrazio per avermi nuovamente risposto. Sicuramente Lei ha individuato un punto chiave: in queste situazioni sento su di me la responsabilità che tutto vada bene e questo ovviamente mi pesa. C'è da dire poi che sono una persona che tende ad assecondare le richieste altrui: assecondare una persona singolarmente è un conto, assecondarne cinque tutte insieme è un altro. Credo che anche questo influisca. In più sono una persona introversa: vivo le relazioni come una sorta di "impegno" e se già farlo singolarmente è faticoso, farlo con tante persone contemporaneamente è quasi impossibile. Preciso che voglio bene ai miei amici: per "faticoso" non intendo che non apprezzi la loro compagnia o che li frequenti in modo falso, ma che per me andare in giro, parlare, cercare di rendere la mia presenza piacevole è un dispendio di energie. Lo faccio perché credo sia giusto non anteporre i propri limiti personali al benessere degli altri, però "pretendere" da me anche che favorisca occasioni sociali allargate mi sembra veramente troppo. C'è da dire che questo è un comportamento che ho sempre applicato anche a me stessa: non è mai successo che io abbia richiesto a conoscenti o amici di includermi, invitarmi o inserirmi in situazioni che non avevano collegamenti diretti con me. Se non lo facevano l'ho sempre ritenuto più che giusto e io non ho mai recriminato. Quindi è per questo che quando sento lamentele relative al mio comportamento cado dalle nuvole: per me non è un comportamento discriminatorio, è semplicemente normale che sia così, lo applico anche a me stessa. Il dubbio era più se fosse legittimo, almeno in questo caso, dare priorità alle mie necessità (poche amicizie, separate) o se invece debba anteporre il punto di vista altrui in quanto le relazioni "normali" vanno gestite in questo modo. Mi sembra di capire che il mio comportamento sia disfunzionale quindi ci rifletterò su.
La ringrazio per avermi nuovamente risposto. Sicuramente Lei ha individuato un punto chiave: in queste situazioni sento su di me la responsabilità che tutto vada bene e questo ovviamente mi pesa. C'è da dire poi che sono una persona che tende ad assecondare le richieste altrui: assecondare una persona singolarmente è un conto, assecondarne cinque tutte insieme è un altro. Credo che anche questo influisca. In più sono una persona introversa: vivo le relazioni come una sorta di "impegno" e se già farlo singolarmente è faticoso, farlo con tante persone contemporaneamente è quasi impossibile. Preciso che voglio bene ai miei amici: per "faticoso" non intendo che non apprezzi la loro compagnia o che li frequenti in modo falso, ma che per me andare in giro, parlare, cercare di rendere la mia presenza piacevole è un dispendio di energie. Lo faccio perché credo sia giusto non anteporre i propri limiti personali al benessere degli altri, però "pretendere" da me anche che favorisca occasioni sociali allargate mi sembra veramente troppo. C'è da dire che questo è un comportamento che ho sempre applicato anche a me stessa: non è mai successo che io abbia richiesto a conoscenti o amici di includermi, invitarmi o inserirmi in situazioni che non avevano collegamenti diretti con me. Se non lo facevano l'ho sempre ritenuto più che giusto e io non ho mai recriminato. Quindi è per questo che quando sento lamentele relative al mio comportamento cado dalle nuvole: per me non è un comportamento discriminatorio, è semplicemente normale che sia così, lo applico anche a me stessa. Il dubbio era più se fosse legittimo, almeno in questo caso, dare priorità alle mie necessità (poche amicizie, separate) o se invece debba anteporre il punto di vista altrui in quanto le relazioni "normali" vanno gestite in questo modo. Mi sembra di capire che il mio comportamento sia disfunzionale quindi ci rifletterò su.
[#6]
Gentile utente,
riflettere su di sé è sempre una buona prassi. Forse la può aiutare il rispondere alle numerose domande che le ho rivolto fin dalla mia prima risposta.
Risulta significativo che lei non abbia risposto a nessuna di esse.
Le vorrei suggerire di rileggere tutto dall'inizio e svolgere un esercizio di Scrittura Espressiva: trascrivere (al computer su un foglio word è molto facile) tutte le mie frasi che terminano col punto interrogativo, rifletterci e rispondere a poco a poco, meglio se a penna su un foglio di carta, mettendo in alto la data e il numero della domanda.
Non deve inviare a noi le risposte; servono a lei.
Buone cose.
riflettere su di sé è sempre una buona prassi. Forse la può aiutare il rispondere alle numerose domande che le ho rivolto fin dalla mia prima risposta.
Risulta significativo che lei non abbia risposto a nessuna di esse.
Le vorrei suggerire di rileggere tutto dall'inizio e svolgere un esercizio di Scrittura Espressiva: trascrivere (al computer su un foglio word è molto facile) tutte le mie frasi che terminano col punto interrogativo, rifletterci e rispondere a poco a poco, meglio se a penna su un foglio di carta, mettendo in alto la data e il numero della domanda.
Non deve inviare a noi le risposte; servono a lei.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
[#7]
Utente
Ha ragione, dottoressa. Le rispondo brevemente perché non vorrei annoiarla oltre:
"Perché fa questo? Si adegua alle aspettative vere o presunte dell'altro per una sua insicurezza, fino ad un vero e proprio camuffamento del suo io? Per esempio, le capita di mentire sulle esperienze della sua vita, negandone alcune e inventandone altre, a seconda della persona con cui parla? Oppure non capisce che la parola "amicizia" ha un significato esteso, che va dalla conoscenza all'intensa vicinanza affettiva, e questi gradi diversi comportano atteggiamenti diversi, senza che nessuno se ne stupisca?" --> No, non sono una mitomane. Non invento episodi per rendere la mia vita più interessante o cose di questo genere. Semplicemente ad alcuni ho riferito alcune cose, ad altri altre. Sembra una cosa normale, è vero, però mi è capitato in passato che qualcuno se la prendesse perché tenuto all'oscuro di alcuni avvenimenti. Il fatto è che sono una persona che ascolta molto, le persone spesso si confidano con me e in passato il fatto che io non accordassi al contrario la stessa confidenza ha ferito qualcuno. Mi dispiace ferire le persone, ma mi dispiace anche fare cose che non vorrei fare solo per non ferirle. L'evitamento delle situazioni mi fa aggirare questo dilemma. Probabilmente il fatto di avere una routine predefinita risponde all'esigenza di avere le situazioni sotto controllo e all'evitamento di possibili conflitti.
Perché non può porsi con spontaneità, interagendo con ciascuno a seconda del reale grado di intimità, in genere relativo al ruolo che le varie persone occupano nella nostra vita? --> Non ci riesco. Sono abituata a comportarmi con le persone così come loro vorrebbero o come loro mi percepiscono. Il fatto di avere persone di diversi contesti (e che quindi hanno una percezione di me differente) nella stessa situazione mi crea confusione su "come" devo essere. Questo mi rende poco spontanea.
"E dunque, se anche avessero conosciuto qualcuno che li interessa per suo tramite, perché mai dovrebbero chiedere a lei di favorire ulteriori incontri, addirittura facendo uscire anche lei assieme a loro "più spesso del dovuto"?" --> In passato è accaduto spesso. Ho spesso notato situazioni in cui poi l'amico collante è quello che deve smussare gli spigoli e rendere la situazione confortevole per tutti. Diventa quindi ineludibile la sua presenza, soprattutto i primi tempi.
"Mi chiedo come agisca in quelle occasioni collettive che sono i compleanni, i matrimoni, i funerali, le manifestazioni politiche o sportive, le riunioni di lavoro.
Che genere di attività svolge?" --> Non amo le occasioni collettive, quindi ammetto di non parteciparvi molto. Ma se necessario lo faccio senza grossi problemi perché si tratta di occasioni in cui io ho il ruolo di semplice invitato, quindi non ho alcuna responsabilità nella riuscita dell'evento. Inoltre si tratta di situazioni episodiche, non fisse come eventuali "uscite" settimanali.
La ringrazio per il suo tempo.
Buone cose.
"Perché fa questo? Si adegua alle aspettative vere o presunte dell'altro per una sua insicurezza, fino ad un vero e proprio camuffamento del suo io? Per esempio, le capita di mentire sulle esperienze della sua vita, negandone alcune e inventandone altre, a seconda della persona con cui parla? Oppure non capisce che la parola "amicizia" ha un significato esteso, che va dalla conoscenza all'intensa vicinanza affettiva, e questi gradi diversi comportano atteggiamenti diversi, senza che nessuno se ne stupisca?" --> No, non sono una mitomane. Non invento episodi per rendere la mia vita più interessante o cose di questo genere. Semplicemente ad alcuni ho riferito alcune cose, ad altri altre. Sembra una cosa normale, è vero, però mi è capitato in passato che qualcuno se la prendesse perché tenuto all'oscuro di alcuni avvenimenti. Il fatto è che sono una persona che ascolta molto, le persone spesso si confidano con me e in passato il fatto che io non accordassi al contrario la stessa confidenza ha ferito qualcuno. Mi dispiace ferire le persone, ma mi dispiace anche fare cose che non vorrei fare solo per non ferirle. L'evitamento delle situazioni mi fa aggirare questo dilemma. Probabilmente il fatto di avere una routine predefinita risponde all'esigenza di avere le situazioni sotto controllo e all'evitamento di possibili conflitti.
Perché non può porsi con spontaneità, interagendo con ciascuno a seconda del reale grado di intimità, in genere relativo al ruolo che le varie persone occupano nella nostra vita? --> Non ci riesco. Sono abituata a comportarmi con le persone così come loro vorrebbero o come loro mi percepiscono. Il fatto di avere persone di diversi contesti (e che quindi hanno una percezione di me differente) nella stessa situazione mi crea confusione su "come" devo essere. Questo mi rende poco spontanea.
"E dunque, se anche avessero conosciuto qualcuno che li interessa per suo tramite, perché mai dovrebbero chiedere a lei di favorire ulteriori incontri, addirittura facendo uscire anche lei assieme a loro "più spesso del dovuto"?" --> In passato è accaduto spesso. Ho spesso notato situazioni in cui poi l'amico collante è quello che deve smussare gli spigoli e rendere la situazione confortevole per tutti. Diventa quindi ineludibile la sua presenza, soprattutto i primi tempi.
"Mi chiedo come agisca in quelle occasioni collettive che sono i compleanni, i matrimoni, i funerali, le manifestazioni politiche o sportive, le riunioni di lavoro.
Che genere di attività svolge?" --> Non amo le occasioni collettive, quindi ammetto di non parteciparvi molto. Ma se necessario lo faccio senza grossi problemi perché si tratta di occasioni in cui io ho il ruolo di semplice invitato, quindi non ho alcuna responsabilità nella riuscita dell'evento. Inoltre si tratta di situazioni episodiche, non fisse come eventuali "uscite" settimanali.
La ringrazio per il suo tempo.
Buone cose.
[#8]
Gentile utente,
le avevo suggerito di scrivere per sé sola le risposte, ma poiché ha voluto comunicarle a noi specialisti sento il dovere di segnalarle quanto segue.
Alcune sue risposte rimandano a precisi disturbi, che non credo siano egosintonici. Intendo dire che le hanno certo provocato già da tempo delle difficoltà.
In questa sede, come sa, non si forniscono diagnosi; le segnalo però l'opportunità di procedere ad un colloquio clinico. Tanto più che guarda caso lei riporta una domanda fondamentale, ma evita di rispondere: "Che genere di attività svolge?".
Allo stesso titolo non ci fornisce alcuna indicazione sulle relazioni fondamentali: famiglia d'origine, partner, figli, colleghi.
Concludo questo nostro scambio augurandomi che le abbia aperto spiragli di riflessione sulla possibilità/necessità di migliorare alcuni aspetti della sua vita.
Auguri.
le avevo suggerito di scrivere per sé sola le risposte, ma poiché ha voluto comunicarle a noi specialisti sento il dovere di segnalarle quanto segue.
Alcune sue risposte rimandano a precisi disturbi, che non credo siano egosintonici. Intendo dire che le hanno certo provocato già da tempo delle difficoltà.
In questa sede, come sa, non si forniscono diagnosi; le segnalo però l'opportunità di procedere ad un colloquio clinico. Tanto più che guarda caso lei riporta una domanda fondamentale, ma evita di rispondere: "Che genere di attività svolge?".
Allo stesso titolo non ci fornisce alcuna indicazione sulle relazioni fondamentali: famiglia d'origine, partner, figli, colleghi.
Concludo questo nostro scambio augurandomi che le abbia aperto spiragli di riflessione sulla possibilità/necessità di migliorare alcuni aspetti della sua vita.
Auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 8 risposte e 3.1k visite dal 15/08/2023.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.