La mia reazione è sintomo di una grave psicopatologia?
la storia è lunga ma tento di farla breve.
Quest'oggi ho reagito in maniera molto violenta (minacciandolo) quando ho saputo che, per la quarta volta, mio padre, a mio insaputa, avesse cambiato l'ordine con cui sono disposte tutte le cose in camera mia, modificandola radicalmente,.
Il punto è che camera mia è, a parer mio, l'espressione del proprio universo interiore e sono diventato violento, aggressivo quando mio padre, molto rigido e puritano, ha imposto il suo ordine perfino in camera mia, nella mia stessa psiche.
Mi sono sentito violentato e l'unico <<ventre>> nel quale mi rifugio l'ho sentito violato.
Sia chiaro: ho una vita sociale abbastanza attiva, non mi chiudo mai in camera tutto il tempo ma reputo questo spazio sacro e intoccabile.
Ritenete che il mio essere violento sia una reazione spropositata o normale?
Non capisco se tutte le persone comuni abbiano il medesimo modo di concepire la propria stanzetta o sia l'unico a ritenere legittima una reazione del genere.
Aggiungo inoltre che a mia madre fu diagnosticato un disturbo tale per cui metteva ossessivamente in ordine la casa: quando era viva, gli specialisti le dicevano che questo <<ordine>> veniva percepito da me come un'imposizione.
Ora che finalmente posso disporre di uno spazio, di qualcosa nel quale un'ingombrante presenza femminile non vi sia, sono violento alla consapevolezza che mio padre abbia sostituito mia madre avendo un atteggiamento molto simile.
pensate che il mio modo di concepire la mia stanzetta sia normale o patologico?
eppure, penso che anche voi odiereste che qualcuno tocchi il vostro spazio: non so però se concepite, come me, la vostra stanza come la vostra stessa psiche, come qualcosa in sintonia diretta col vostro animo che quindi non deve essere modificato radicalmente se non da voi.
Mio padre non capisce neanche questa cosa; non si rende conto di quanto mi ferisca questo suo atteggiamento e ho timore di diventare violento per ripristinare quello <<spazio vitale>> che percepisco essere camera mia
Un abbraccio
Quest'oggi ho reagito in maniera molto violenta (minacciandolo) quando ho saputo che, per la quarta volta, mio padre, a mio insaputa, avesse cambiato l'ordine con cui sono disposte tutte le cose in camera mia, modificandola radicalmente,.
Il punto è che camera mia è, a parer mio, l'espressione del proprio universo interiore e sono diventato violento, aggressivo quando mio padre, molto rigido e puritano, ha imposto il suo ordine perfino in camera mia, nella mia stessa psiche.
Mi sono sentito violentato e l'unico <<ventre>> nel quale mi rifugio l'ho sentito violato.
Sia chiaro: ho una vita sociale abbastanza attiva, non mi chiudo mai in camera tutto il tempo ma reputo questo spazio sacro e intoccabile.
Ritenete che il mio essere violento sia una reazione spropositata o normale?
Non capisco se tutte le persone comuni abbiano il medesimo modo di concepire la propria stanzetta o sia l'unico a ritenere legittima una reazione del genere.
Aggiungo inoltre che a mia madre fu diagnosticato un disturbo tale per cui metteva ossessivamente in ordine la casa: quando era viva, gli specialisti le dicevano che questo <<ordine>> veniva percepito da me come un'imposizione.
Ora che finalmente posso disporre di uno spazio, di qualcosa nel quale un'ingombrante presenza femminile non vi sia, sono violento alla consapevolezza che mio padre abbia sostituito mia madre avendo un atteggiamento molto simile.
pensate che il mio modo di concepire la mia stanzetta sia normale o patologico?
eppure, penso che anche voi odiereste che qualcuno tocchi il vostro spazio: non so però se concepite, come me, la vostra stanza come la vostra stessa psiche, come qualcosa in sintonia diretta col vostro animo che quindi non deve essere modificato radicalmente se non da voi.
Mio padre non capisce neanche questa cosa; non si rende conto di quanto mi ferisca questo suo atteggiamento e ho timore di diventare violento per ripristinare quello <<spazio vitale>> che percepisco essere camera mia
Un abbraccio
[#1]
Gentile utente,
ho letto attraverso i suoi precedenti consulti la sua lunga, dolorosa e tormentata storia.
Rispetto all'oggetto del suo consulto, posso dirle che tendiamo a depositare e proiettare parti di noi, più o meno intime e segrete, nei luoghi in cui viviamo. Così le nostre case e stanze si prestano a presentare degli aspetti che si adattano alla nostra persona, fino a diventare, in un certo senso, un nostro involucro, una specie di seconda pelle.
Infatti, nella sua acuta descrizione della sua stanza come un "ventre" nel quale si è rifugiato, emerge come essa per lei si sia costituita come una proiezione di aspetti intimi e profondi di sé, prestandosi a simbolizzare e a rappresentare la sua realtà interna.
Di tutto questo però lei sembra essere consapevole, così come sembra esserlo del fatto che, da quanto emerge dalle sue parole, la sua "violenta reazione" verso suo padre, le minacce che avrebbe rivolto a quest'ultimo, sembrerebbero scaturire da un'insofferenza rispetto a quella che ha vissuto come un'imposizione, l'ennesima, da parte di suo padre, come un sopruso, il quale non solo l'ha fatta sentire ancora una volta sopraffatto, ma le ha restituito la difficoltà o impossibilità di suo padre ad accettare lei come persona, alcune parti di sé, il suo disordine, la sua diversità, un'alterità che va nella direzione opposta a quella di un ordine ossessivo.
Infatti, parla di sua madre come di "un'ingombrante presenza femminile". Già il termine ingombro si presta a descrivere qualcosa che occupa spazio, forse fino ad opprimere, soffocare, a non lasciar fare o essere.
Per venire alla sua domanda, tutto ciò che attiene alla normalità o alla patologia, è molto complesso e articolato, non riducibile a una definizione e comunque non può essere circoscritto ad un singolo aspetto o episodio, ma andrebbe inquadrato in una più ampia ottica, che tenga conto della storia personale e familiare del soggetto, delle sue ferite.
Nel suo caso, questa reazione sembra essere uno dei dolorosi risvolti della sua storia, uno dei suoi residui.
E' chiaro che ha conosciuto il dolore, nelle sue molteplici forme e sfumature, dalla perdita di sua madre, al vedersi negata la protezione, alle difficoltà nella sfera affettiva e sessuale, all'essersi sentito "violato" e "violentato".
Sembra esercitare la rabbia e rimanerne vittima, in quanto essa, poi le si ritorce contro.
Forse aggredisce per non essere aggredito, diventa violento per non subire la violenza, nelle sue tante sfaccettature, quali quella della violazione e del rifiuto.
Forse è così arrabbiato e soggetto a tali reazioni perché è in fuga dal dolore, e arrabbiandosi non rischia di incontrarlo. Ma così facendo non riesce ad andare avanti, a rimarginare le sue ferite, a liberarsi.
Le suggerisco di provare a spiegare a suo padre quello che la sua stanza e la disposizione degli oggetti significano per lei. Puo' provare a spiegargli cosa ha generato la sua reazione. Forse anche suo padre, soffrendo per la perdita di sua madre, ricrea l' ambiente che lei avrebbe voluto, ignorando involontariamente i suoi bisogni.
Credo che comunque debba proseguire con uno dei percorsi psicologici intrapresi, o nel caso in cui si fosse intaccata la fiducia verso gli psicologi che l'hanno seguita, rivolgersi ad un altro psicologo.
Credo che ci siano molti aspetti su cui far luce, molti dolori a cui offrire una voce, alcune perdite da elaborare e molti pesi da lasciar andare.
E forse, lungo il percorso che intraprenderà, potrà riuscire a sanare le sue ferite e a strutturare sufficientemente la sua realtà interna e come conseguenza, da un lato, sentire meno il bisogno di ricrearla in un ambiente esterno, dall'altro, riuscire a separarsi da suo padre e ritagliarsi dei suoi spazi, che siano solo i suoi.
Auguri per tutto.
ho letto attraverso i suoi precedenti consulti la sua lunga, dolorosa e tormentata storia.
Rispetto all'oggetto del suo consulto, posso dirle che tendiamo a depositare e proiettare parti di noi, più o meno intime e segrete, nei luoghi in cui viviamo. Così le nostre case e stanze si prestano a presentare degli aspetti che si adattano alla nostra persona, fino a diventare, in un certo senso, un nostro involucro, una specie di seconda pelle.
Infatti, nella sua acuta descrizione della sua stanza come un "ventre" nel quale si è rifugiato, emerge come essa per lei si sia costituita come una proiezione di aspetti intimi e profondi di sé, prestandosi a simbolizzare e a rappresentare la sua realtà interna.
Di tutto questo però lei sembra essere consapevole, così come sembra esserlo del fatto che, da quanto emerge dalle sue parole, la sua "violenta reazione" verso suo padre, le minacce che avrebbe rivolto a quest'ultimo, sembrerebbero scaturire da un'insofferenza rispetto a quella che ha vissuto come un'imposizione, l'ennesima, da parte di suo padre, come un sopruso, il quale non solo l'ha fatta sentire ancora una volta sopraffatto, ma le ha restituito la difficoltà o impossibilità di suo padre ad accettare lei come persona, alcune parti di sé, il suo disordine, la sua diversità, un'alterità che va nella direzione opposta a quella di un ordine ossessivo.
Infatti, parla di sua madre come di "un'ingombrante presenza femminile". Già il termine ingombro si presta a descrivere qualcosa che occupa spazio, forse fino ad opprimere, soffocare, a non lasciar fare o essere.
Per venire alla sua domanda, tutto ciò che attiene alla normalità o alla patologia, è molto complesso e articolato, non riducibile a una definizione e comunque non può essere circoscritto ad un singolo aspetto o episodio, ma andrebbe inquadrato in una più ampia ottica, che tenga conto della storia personale e familiare del soggetto, delle sue ferite.
Nel suo caso, questa reazione sembra essere uno dei dolorosi risvolti della sua storia, uno dei suoi residui.
E' chiaro che ha conosciuto il dolore, nelle sue molteplici forme e sfumature, dalla perdita di sua madre, al vedersi negata la protezione, alle difficoltà nella sfera affettiva e sessuale, all'essersi sentito "violato" e "violentato".
Sembra esercitare la rabbia e rimanerne vittima, in quanto essa, poi le si ritorce contro.
Forse aggredisce per non essere aggredito, diventa violento per non subire la violenza, nelle sue tante sfaccettature, quali quella della violazione e del rifiuto.
Forse è così arrabbiato e soggetto a tali reazioni perché è in fuga dal dolore, e arrabbiandosi non rischia di incontrarlo. Ma così facendo non riesce ad andare avanti, a rimarginare le sue ferite, a liberarsi.
Le suggerisco di provare a spiegare a suo padre quello che la sua stanza e la disposizione degli oggetti significano per lei. Puo' provare a spiegargli cosa ha generato la sua reazione. Forse anche suo padre, soffrendo per la perdita di sua madre, ricrea l' ambiente che lei avrebbe voluto, ignorando involontariamente i suoi bisogni.
Credo che comunque debba proseguire con uno dei percorsi psicologici intrapresi, o nel caso in cui si fosse intaccata la fiducia verso gli psicologi che l'hanno seguita, rivolgersi ad un altro psicologo.
Credo che ci siano molti aspetti su cui far luce, molti dolori a cui offrire una voce, alcune perdite da elaborare e molti pesi da lasciar andare.
E forse, lungo il percorso che intraprenderà, potrà riuscire a sanare le sue ferite e a strutturare sufficientemente la sua realtà interna e come conseguenza, da un lato, sentire meno il bisogno di ricrearla in un ambiente esterno, dall'altro, riuscire a separarsi da suo padre e ritagliarsi dei suoi spazi, che siano solo i suoi.
Auguri per tutto.
Psicologa e Assistente Sociale
www.psicosocialmente.it
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 1.1k visite dal 07/08/2023.
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