Chiedo indicazioni su una situazione problematica inerente la crescita e maturazione di mia figlia
Buongiorno, mi chiamo Tallone Rinaldo, sono divorziato e gestisco mia figli di anni 12 per l'80 % del tempo.
La separazione dalla madre di mia figlia è avvenuta nel 2015, quando la bambina aveva quattro anni, con affido congiunto, di comune accordo abbiamo stabilito di collocare la bambina presso di me a causa degli orari di lavoro difficili da gestire da parte della mamma.
Dal 2016 la mia ex moglie ha cominciato una convivenza con un compagno a sua volta separato pertanto presente nella casa della madre.
La stessa vedeva la bambina una volta la settimana e da subito ho verificato una forte differenza fra i due ambienti domestici che la bambina viveva.
Per quanto da solo, ho cercato di mantenere il più possibili regolari le sue abitudini, orari, pasti, sonno, studio e svago mentre notavo nella casa della mamma eccessiva variabità in questi aspetti che, pur preoccupandomi, cercavo di mediare per garantirle la maggiore serenità possibile attraverso spiegazioni accessibili a mia figlia e organizzandomi in tutte le modalità possibili perchè frequentasse la madre.
Queste discrepanze stanno, ora, creando problemi imprevisti, quali difficoltà a darle delle regole avendo a mia volta paura che si allontani fino alla scelta di vivere, quando potrà, esclusivamente con la madre, registrando così incertezza da parte mia a tenere i no necessari.
Le difficoltà proprie dell'adolescenza (oppositività, poco spirito di iniziativa, forte tendenza a demotivarsi) sono acquite dalla presenza nella mia vita di una compagna che rimane nei fine settimana ma che questa estate è rimasta con noi con continuità.
Lei ha modalità relazionali e organizzative opposte alla madre di mia figlia, pertanto temo che questa discrepanza possa farla chiudere e impedire una comunicazione efficace con me, mi chiedo se la presenza di questa persona sia controproducente ai fini della crescita della ragazza.
Posto che mia figlia inizi a presentare le difficoltà tipiche dell'adolescenza e ha come parametri relazionali e organizzativi quelli della madre (mancanza di orari, alimentazione poco varia e salutare, tendenza a procrastinare gli impegni e le attività quotidiane), chiedo strategie per tenere i no all'occorrenza, valutare se modalità di vita più normate possano effettivamente allontanarla da me.
Per quanto concerne le mie paure personali chiedo un consiglio su come affrontarle e/o gestirle.
La separazione dalla madre di mia figlia è avvenuta nel 2015, quando la bambina aveva quattro anni, con affido congiunto, di comune accordo abbiamo stabilito di collocare la bambina presso di me a causa degli orari di lavoro difficili da gestire da parte della mamma.
Dal 2016 la mia ex moglie ha cominciato una convivenza con un compagno a sua volta separato pertanto presente nella casa della madre.
La stessa vedeva la bambina una volta la settimana e da subito ho verificato una forte differenza fra i due ambienti domestici che la bambina viveva.
Per quanto da solo, ho cercato di mantenere il più possibili regolari le sue abitudini, orari, pasti, sonno, studio e svago mentre notavo nella casa della mamma eccessiva variabità in questi aspetti che, pur preoccupandomi, cercavo di mediare per garantirle la maggiore serenità possibile attraverso spiegazioni accessibili a mia figlia e organizzandomi in tutte le modalità possibili perchè frequentasse la madre.
Queste discrepanze stanno, ora, creando problemi imprevisti, quali difficoltà a darle delle regole avendo a mia volta paura che si allontani fino alla scelta di vivere, quando potrà, esclusivamente con la madre, registrando così incertezza da parte mia a tenere i no necessari.
Le difficoltà proprie dell'adolescenza (oppositività, poco spirito di iniziativa, forte tendenza a demotivarsi) sono acquite dalla presenza nella mia vita di una compagna che rimane nei fine settimana ma che questa estate è rimasta con noi con continuità.
Lei ha modalità relazionali e organizzative opposte alla madre di mia figlia, pertanto temo che questa discrepanza possa farla chiudere e impedire una comunicazione efficace con me, mi chiedo se la presenza di questa persona sia controproducente ai fini della crescita della ragazza.
Posto che mia figlia inizi a presentare le difficoltà tipiche dell'adolescenza e ha come parametri relazionali e organizzativi quelli della madre (mancanza di orari, alimentazione poco varia e salutare, tendenza a procrastinare gli impegni e le attività quotidiane), chiedo strategie per tenere i no all'occorrenza, valutare se modalità di vita più normate possano effettivamente allontanarla da me.
Per quanto concerne le mie paure personali chiedo un consiglio su come affrontarle e/o gestirle.
[#1]
Gentile utente,
gestire un divorzio non è mai un compito facile, e lo è ancor meno quando coinvolge la presenza di una bambina. Per questo, a lei vanno innanzitutto i nostri complimenti per le risorse personali dispiegate per fronteggiare le difficoltà connesse alla situazione. È evidente che tali risorse non le manchino, così come non le mancano affetto e attenzione verso sua figlia. Com'è normale da una prospettiva paterna, questi possono talvolta esprimersi sotto forma di ansie e preoccupazioni.
Ci chiede:
1. come affrontare la paura che sua figlia si allontani da lei fino a scegliere di vivere con la madre;
2. se la presenza della sua compagna sia controproducente per la crescita di sua figlia;
3. strategie per tenere i no necessari all'occorrenza.
Punto 1. Fa un paragone tra i due "universi domestici" tra cui sua figlia si trova a oscillare, e sembra suggerire che lei prediliga l'ambiente materno più "sregolato". Ha avuto esplicita conferma di tale preferenza da parte di sua figlia? O rimane una sua percezione basata sull'osservazione del suo comportamento? E se tale preferenza fosse effettiva, ha provato a domandarsene la ragione? Soprattutto, ha cercato di domandarla a sua figlia? Un motivo ipotetico potrebbe ricondursi all'attrazione che un regime organizzativo improntato alla "libertà" esercita su una ragazza che si sta affacciando all'adolescenza e comincia ad avvertire i tipici bisogni di autonomia e indipendenza associati a questa fase delle vita, senza che ciò dunque riguardi il rapporto della ragazza con l'uno o l'altro genitore. Oppure sua figlia sta identificandosi con la madre, della relazione con la quale finora ha fatto probabilmente minore esperienza. Oppure ancora... cos'altro, secondo lei? Teme che sua figlia si chiuda e che ciò comprometta una comunicazione efficace con lei, ma non è chiaro quanta e quale comunicazione c'è stata finora tra lei e sua figlia in merito alla situazione che la spinge a chiedere il nostro consulto. Pertanto, il nostro consiglio è: ne parli direttamente con sua figlia, le racconti le sue paure a cuore aperto e ascolti attentamente le sue reazioni. Potrebbe scoprire aspetti della questione che magari non aveva immaginato e che potrebbero aiutarla a fare maggiore chiarezza o darle nuovi spunti per agire.
Punto 2. In generale, l'arrivo di un/a compagno/a nella vita di un genitore può sicuramente causare reazioni negative da parte dei figli - ad esempio, per gelosia o per percepita rivalità/competizione con il genitore dello stesso sesso - e creare conseguenti squilibri nelle dinamiche familiari. Ciò tuttavia non deve precludere il diritto del genitore a costruirsi una vita propria, che non escluda ma che non sia neanche condizionata dall'incombenza della cura dei figli. Nel suo caso, certamente la crescita di sua figlia è una sua responsabilità, ma questo non deve privarla della possibilità di avere una compagna. Può trovare modi di crescere sua figlia senza sacrificare la propria sfera sentimentale. Cosa dice sua figlia della sua compagna e come la vede? Ne avete mai parlato? Di nuovo, una conversazione aperta e disponibile all'apprendimento reciproco può essere il punto di partenza per prevenire episodi spiacevoli e instaurare un nuovo equilibrio qualora questo venisse meno.
Punto 3. Pur consapevole dell'oppositività e della "ribellione" che caratterizzano l'adolescenza, ci chiede come fare a "tenere i no necessari all'occorrenza". Ci chiediamo: necessari a cosa? Secondo chi? Per chi? A quali occorrenze si riferisce? Forse anche questi interrogativi possono diventare oggetto di dialogo con sua figlia allo scopo di formulare una visione condivisa.
Rimaniamo a sua disposizione.
Cordialmente,
gestire un divorzio non è mai un compito facile, e lo è ancor meno quando coinvolge la presenza di una bambina. Per questo, a lei vanno innanzitutto i nostri complimenti per le risorse personali dispiegate per fronteggiare le difficoltà connesse alla situazione. È evidente che tali risorse non le manchino, così come non le mancano affetto e attenzione verso sua figlia. Com'è normale da una prospettiva paterna, questi possono talvolta esprimersi sotto forma di ansie e preoccupazioni.
Ci chiede:
1. come affrontare la paura che sua figlia si allontani da lei fino a scegliere di vivere con la madre;
2. se la presenza della sua compagna sia controproducente per la crescita di sua figlia;
3. strategie per tenere i no necessari all'occorrenza.
Punto 1. Fa un paragone tra i due "universi domestici" tra cui sua figlia si trova a oscillare, e sembra suggerire che lei prediliga l'ambiente materno più "sregolato". Ha avuto esplicita conferma di tale preferenza da parte di sua figlia? O rimane una sua percezione basata sull'osservazione del suo comportamento? E se tale preferenza fosse effettiva, ha provato a domandarsene la ragione? Soprattutto, ha cercato di domandarla a sua figlia? Un motivo ipotetico potrebbe ricondursi all'attrazione che un regime organizzativo improntato alla "libertà" esercita su una ragazza che si sta affacciando all'adolescenza e comincia ad avvertire i tipici bisogni di autonomia e indipendenza associati a questa fase delle vita, senza che ciò dunque riguardi il rapporto della ragazza con l'uno o l'altro genitore. Oppure sua figlia sta identificandosi con la madre, della relazione con la quale finora ha fatto probabilmente minore esperienza. Oppure ancora... cos'altro, secondo lei? Teme che sua figlia si chiuda e che ciò comprometta una comunicazione efficace con lei, ma non è chiaro quanta e quale comunicazione c'è stata finora tra lei e sua figlia in merito alla situazione che la spinge a chiedere il nostro consulto. Pertanto, il nostro consiglio è: ne parli direttamente con sua figlia, le racconti le sue paure a cuore aperto e ascolti attentamente le sue reazioni. Potrebbe scoprire aspetti della questione che magari non aveva immaginato e che potrebbero aiutarla a fare maggiore chiarezza o darle nuovi spunti per agire.
Punto 2. In generale, l'arrivo di un/a compagno/a nella vita di un genitore può sicuramente causare reazioni negative da parte dei figli - ad esempio, per gelosia o per percepita rivalità/competizione con il genitore dello stesso sesso - e creare conseguenti squilibri nelle dinamiche familiari. Ciò tuttavia non deve precludere il diritto del genitore a costruirsi una vita propria, che non escluda ma che non sia neanche condizionata dall'incombenza della cura dei figli. Nel suo caso, certamente la crescita di sua figlia è una sua responsabilità, ma questo non deve privarla della possibilità di avere una compagna. Può trovare modi di crescere sua figlia senza sacrificare la propria sfera sentimentale. Cosa dice sua figlia della sua compagna e come la vede? Ne avete mai parlato? Di nuovo, una conversazione aperta e disponibile all'apprendimento reciproco può essere il punto di partenza per prevenire episodi spiacevoli e instaurare un nuovo equilibrio qualora questo venisse meno.
Punto 3. Pur consapevole dell'oppositività e della "ribellione" che caratterizzano l'adolescenza, ci chiede come fare a "tenere i no necessari all'occorrenza". Ci chiediamo: necessari a cosa? Secondo chi? Per chi? A quali occorrenze si riferisce? Forse anche questi interrogativi possono diventare oggetto di dialogo con sua figlia allo scopo di formulare una visione condivisa.
Rimaniamo a sua disposizione.
Cordialmente,
Dott. Davide Giusino, Psicologo | davide.giusino@libero.it
https://psicologipuglia.it/albo-psicologi/r/giusino-davide/
[#2]
Gentile utente,
la ringrazio intanto perhé mi fornisce l'occasione di affrontare una tematica utile a molti che ci leggono.
Premetto che nei casi di separazione e divorzio consigliamo la mediazione di uno psicologo di coppia. Questo consiglio diventa una precisa prescrizione quando ci sono figli.
Molti non capiscono la funzione di questo intervento, interpretandola come il tentativo inutile di accomodare un rapporto ormai in frantumi.
Non si tratta di questo, ma di istradare la coppia a un dialogo sano che ricostruisca nella memoria un passato dotato di senso e che offra strategie di serena gestione comune del dopo-matrimonio, senza rancori, recriminazioni, reciproche condanne, insulti, vendette.
Dare un senso al legame che c'è stato e aver chiari i motivi della rottura è certo utile per gli ex coniugi, ma per i figli è indispensabile.
C'è poi l'aspetto della cura comune dei figli stessi, che richiede ulteriori mediazioni per poter elaborare regole per quanto possibile condivise o almeno armoniche e rispettose, per evitare traumi e alienazioni affettive, per verificare quali presenze e quali atteggiamenti possono nuocere al bambino.
A volte i parenti dell'una o dell'altra parte, a volte gli insegnanti, spesso i nuovi partner dei genitori forniscono interpretazioni distorte e attuano comportamenti che accrescono la confusione e la sofferenza dei bambini e tanto più degli adolescenti.
Le varie separazioni non sono uguali, così come non lo sono i nuovi partner. Alcuni hanno a loro volta dei figli; alcuni sono poco propensi dall'intervenire nella relazione genitore/figlio; altri invece entrano a gamba tesa e vorrebbero dimostrare di essere migliori del genitore assente; altri ancora li 'viziano' per accattivarsi la benevolenza dei piccoli, e così via.
Detto questo, io vorrei invitarla a consultare su questi temi uno psicologo, che sia disposto al dialogo anche con la sua ex moglie, con sua figlia, coi vostri nuovi partner.
Lei scrive: "Per quanto da solo, ho cercato di mantenere il più possibili regolari le sue abitudini, orari, pasti, sonno, studio e svago mentre notavo nella casa della mamma eccessiva variabità in questi aspetti".
Da lontano e senza conoscerla, potremmo pensare che lei sia un uomo di vedute rigide e che la preoccupazione di allevare sua figlia da solo le abbia fatto credere che regole come quelle di un collegio facciano crescere bene i bambini. Sempre da lontano non possiamo sapere se intimamente o palesemente lei biasima le abitudini meno rigide della madre. Potremmo obiettare che il week end non è la stessa cosa dei giorni feriali, e così via.
Fondamentale appare la sua attuale "difficoltà a darle delle regole avendo a mia volta paura che si allontani fino alla scelta di vivere, quando potrà, esclusivamente con la madre, registrando così incertezza da parte mia a tenere i no necessari".
Questa incertezza a 'tenere i no necessari' per paura che sua figlia preferisca vivere con la madre sembra proprio l'atteggiamento a scopo accattivante di cui dicevo sopra.
Può essere naturale che crescendo sua figlia voglia risiedere a lungo dalla madre, non solo per fare una vita meno gravata di regole e precetti, ma per riconquistare il genitore che non l'ha allevata. Meno naturale, anzi controproducente e antipedagogico, è che lei adegui le sue prescrizioni, che dovrebbero scaturire dalla considerazione di ciò che è bene per sua figlia, all'intento di attirarsi la sua benevolenza.
A questo punto sembrerebbe che anziché adattare saggiamente e senza debolezze le regole alla crescita della ragazzina, lei ne tema l'allontanamento e peggio ancora attribuisca a tutti gli adolescenti quei segnali di scontento e sofferenza che dovrebbero istradarla a meglio dialogare con sua figlia: "oppositività, poco spirito di iniziativa, forte tendenza a demotivarsi".
Eppure lei vede chiaramente che queste novità indesiderabili si accentuano a causa della presenza della sua nuova partner, la quale "ha modalità relazionali e organizzative opposte alla madre di mia figlia".
Ahi ahi! Proprio quello che dicevo sopra? La nuova partner si mette più o meno consapevolmente in gara con la sua ex? Vuol dimostrare "io sono più brava", e così facendo rimprovera e offende sua figlia?
Ci sarebbe da chiedersi perché una persona che entra nella vita di un uomo che ha avuto il merito di allevare una figlia, non lo faccia in punta di piedi. Come mai le viene permesso di esibire le sue virtù con una figlia e in una casa che non sono le sue?
Come vede, argomenti complessi che non è facile centrare da lontano.
Lei ci rivolge alla fine tre domande; io ritengo che la sede idonea alla risposta sia lo studio di un* psicolog*. Prenda in considerazione anche il Consultorio familiare, offerto dal Servizio Sanitario Nazionale quasi gratuitamente.
Buone cose, e ci tenga al corrente, se crede.
la ringrazio intanto perhé mi fornisce l'occasione di affrontare una tematica utile a molti che ci leggono.
Premetto che nei casi di separazione e divorzio consigliamo la mediazione di uno psicologo di coppia. Questo consiglio diventa una precisa prescrizione quando ci sono figli.
Molti non capiscono la funzione di questo intervento, interpretandola come il tentativo inutile di accomodare un rapporto ormai in frantumi.
Non si tratta di questo, ma di istradare la coppia a un dialogo sano che ricostruisca nella memoria un passato dotato di senso e che offra strategie di serena gestione comune del dopo-matrimonio, senza rancori, recriminazioni, reciproche condanne, insulti, vendette.
Dare un senso al legame che c'è stato e aver chiari i motivi della rottura è certo utile per gli ex coniugi, ma per i figli è indispensabile.
C'è poi l'aspetto della cura comune dei figli stessi, che richiede ulteriori mediazioni per poter elaborare regole per quanto possibile condivise o almeno armoniche e rispettose, per evitare traumi e alienazioni affettive, per verificare quali presenze e quali atteggiamenti possono nuocere al bambino.
A volte i parenti dell'una o dell'altra parte, a volte gli insegnanti, spesso i nuovi partner dei genitori forniscono interpretazioni distorte e attuano comportamenti che accrescono la confusione e la sofferenza dei bambini e tanto più degli adolescenti.
Le varie separazioni non sono uguali, così come non lo sono i nuovi partner. Alcuni hanno a loro volta dei figli; alcuni sono poco propensi dall'intervenire nella relazione genitore/figlio; altri invece entrano a gamba tesa e vorrebbero dimostrare di essere migliori del genitore assente; altri ancora li 'viziano' per accattivarsi la benevolenza dei piccoli, e così via.
Detto questo, io vorrei invitarla a consultare su questi temi uno psicologo, che sia disposto al dialogo anche con la sua ex moglie, con sua figlia, coi vostri nuovi partner.
Lei scrive: "Per quanto da solo, ho cercato di mantenere il più possibili regolari le sue abitudini, orari, pasti, sonno, studio e svago mentre notavo nella casa della mamma eccessiva variabità in questi aspetti".
Da lontano e senza conoscerla, potremmo pensare che lei sia un uomo di vedute rigide e che la preoccupazione di allevare sua figlia da solo le abbia fatto credere che regole come quelle di un collegio facciano crescere bene i bambini. Sempre da lontano non possiamo sapere se intimamente o palesemente lei biasima le abitudini meno rigide della madre. Potremmo obiettare che il week end non è la stessa cosa dei giorni feriali, e così via.
Fondamentale appare la sua attuale "difficoltà a darle delle regole avendo a mia volta paura che si allontani fino alla scelta di vivere, quando potrà, esclusivamente con la madre, registrando così incertezza da parte mia a tenere i no necessari".
Questa incertezza a 'tenere i no necessari' per paura che sua figlia preferisca vivere con la madre sembra proprio l'atteggiamento a scopo accattivante di cui dicevo sopra.
Può essere naturale che crescendo sua figlia voglia risiedere a lungo dalla madre, non solo per fare una vita meno gravata di regole e precetti, ma per riconquistare il genitore che non l'ha allevata. Meno naturale, anzi controproducente e antipedagogico, è che lei adegui le sue prescrizioni, che dovrebbero scaturire dalla considerazione di ciò che è bene per sua figlia, all'intento di attirarsi la sua benevolenza.
A questo punto sembrerebbe che anziché adattare saggiamente e senza debolezze le regole alla crescita della ragazzina, lei ne tema l'allontanamento e peggio ancora attribuisca a tutti gli adolescenti quei segnali di scontento e sofferenza che dovrebbero istradarla a meglio dialogare con sua figlia: "oppositività, poco spirito di iniziativa, forte tendenza a demotivarsi".
Eppure lei vede chiaramente che queste novità indesiderabili si accentuano a causa della presenza della sua nuova partner, la quale "ha modalità relazionali e organizzative opposte alla madre di mia figlia".
Ahi ahi! Proprio quello che dicevo sopra? La nuova partner si mette più o meno consapevolmente in gara con la sua ex? Vuol dimostrare "io sono più brava", e così facendo rimprovera e offende sua figlia?
Ci sarebbe da chiedersi perché una persona che entra nella vita di un uomo che ha avuto il merito di allevare una figlia, non lo faccia in punta di piedi. Come mai le viene permesso di esibire le sue virtù con una figlia e in una casa che non sono le sue?
Come vede, argomenti complessi che non è facile centrare da lontano.
Lei ci rivolge alla fine tre domande; io ritengo che la sede idonea alla risposta sia lo studio di un* psicolog*. Prenda in considerazione anche il Consultorio familiare, offerto dal Servizio Sanitario Nazionale quasi gratuitamente.
Buone cose, e ci tenga al corrente, se crede.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 1.3k visite dal 17/07/2023.
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