Problemi nelle relazioni con gli altri
Vorrei avere un punto di vista sulla mia situazione che mi causa molta sofferenza psichica e che non so risolvere.
Ho 30 anni, fin da piccolo ho avuto un sentimento di inferiorità rispetto agli altri e non riesco mai a integrarmi e a sentirmi a mio agio con la maggioranza delle persone.
Ho comunque sempre avuto degli amici con cui passare il tempo e fino a prima dell'università li frequentavo regolarmente.
Dopo degli anni travagliati alle superiori decisi di impegnarmi al massimo all'università, smisi di frequentare la compagnia e per circa sette anni ebbi pochissimi incontri sociali.
Durante la magistrale sentivo che qualcosa non andava e decisi di rivolgermi a un psicoterapeuta, che mi ha aiutato a ritrovare alcune delle vecchie amicizie, ma non sono praticamente mai riuscito a frequentare gente nuova.
Iniziando a lavorare mi sono trasferito a vivere da solo e la solitudine, mischiata a diverse ansie ha cominciato ad aumentare, non sono praticamente mai sereno e ci sono dei momenti veramente brutti.
Non avere mai avuto una relazione con una donna è per me la cosa peggiore.
In due occasioni durante l'adolescenza ho espresso i miei sentimenti, in modo goffo, ad una ragazza e non è mai andata bene.
Essendo arrivato a questa età i miei pensieri sono distorti: se trovo una donna attraente e ho l'occasione di passare del tempo con lei, mi fisso che è un occasione e sto male per mesi.
Ora sta succedendo con una collega con la quale frequento un corso.
Probabilmente la mia attrazione non traspare, anzi mi sembra di apparire strano e rigido, inoltre nonostante qualche chiacchera lei non sembra interessata a me.
Vivo una vita piatta, con gli stessi due amici faccio sempre le stesse cose, il lavoro lo svolgo regolarmente, ma non lo amo e non ho mai avuto dei veri e propri hobby.
Se non che mi piace leggere e pratico palestra sporadicamente principalmente per alleviare il dolore psichico.
Gran parte delle persone dopo un po' che mi conoscono mi trattano come lo "scemo" del gruppo.
Dopo un primo periodo di euforia sul lavoro ho cominciato a chiudermi per questo motivo, sono incapace di difendermi, soprattutto quando sto male.
Quando sono in un gruppo nuovo o di cui non mi fido parlo pochissimo e non ho idee.
Penso che molte mie idee siano parzialmente sbagliate, ma non riesco a convincermene.
I miei pensieri più ricorrenti sono quelli di apparire ridicolo agli altri, che per intrattenere una conversazione devo per forza divertire il mio interlocutore per non annoiarlo, che nessuna ragazza è interessata a me e che le persone mi vedono troppo strano per uscire con me.
La psicoterapeuta da cui vado insiste sul fatto che non è così e mi sprona a invitare questa ragazza o a non pensare a queste cose, ma io non riesco a fare nulla di tutto ciò.
Con la terapia prendo escitalopram prima, sostituita ora con fluoxetina.
A causa delle mie ansie fatico a dormire e in giornata sono spesso rallentato e ho poca memoria, mi sembra di vivere una vita a metà.
Ho 30 anni, fin da piccolo ho avuto un sentimento di inferiorità rispetto agli altri e non riesco mai a integrarmi e a sentirmi a mio agio con la maggioranza delle persone.
Ho comunque sempre avuto degli amici con cui passare il tempo e fino a prima dell'università li frequentavo regolarmente.
Dopo degli anni travagliati alle superiori decisi di impegnarmi al massimo all'università, smisi di frequentare la compagnia e per circa sette anni ebbi pochissimi incontri sociali.
Durante la magistrale sentivo che qualcosa non andava e decisi di rivolgermi a un psicoterapeuta, che mi ha aiutato a ritrovare alcune delle vecchie amicizie, ma non sono praticamente mai riuscito a frequentare gente nuova.
Iniziando a lavorare mi sono trasferito a vivere da solo e la solitudine, mischiata a diverse ansie ha cominciato ad aumentare, non sono praticamente mai sereno e ci sono dei momenti veramente brutti.
Non avere mai avuto una relazione con una donna è per me la cosa peggiore.
In due occasioni durante l'adolescenza ho espresso i miei sentimenti, in modo goffo, ad una ragazza e non è mai andata bene.
Essendo arrivato a questa età i miei pensieri sono distorti: se trovo una donna attraente e ho l'occasione di passare del tempo con lei, mi fisso che è un occasione e sto male per mesi.
Ora sta succedendo con una collega con la quale frequento un corso.
Probabilmente la mia attrazione non traspare, anzi mi sembra di apparire strano e rigido, inoltre nonostante qualche chiacchera lei non sembra interessata a me.
Vivo una vita piatta, con gli stessi due amici faccio sempre le stesse cose, il lavoro lo svolgo regolarmente, ma non lo amo e non ho mai avuto dei veri e propri hobby.
Se non che mi piace leggere e pratico palestra sporadicamente principalmente per alleviare il dolore psichico.
Gran parte delle persone dopo un po' che mi conoscono mi trattano come lo "scemo" del gruppo.
Dopo un primo periodo di euforia sul lavoro ho cominciato a chiudermi per questo motivo, sono incapace di difendermi, soprattutto quando sto male.
Quando sono in un gruppo nuovo o di cui non mi fido parlo pochissimo e non ho idee.
Penso che molte mie idee siano parzialmente sbagliate, ma non riesco a convincermene.
I miei pensieri più ricorrenti sono quelli di apparire ridicolo agli altri, che per intrattenere una conversazione devo per forza divertire il mio interlocutore per non annoiarlo, che nessuna ragazza è interessata a me e che le persone mi vedono troppo strano per uscire con me.
La psicoterapeuta da cui vado insiste sul fatto che non è così e mi sprona a invitare questa ragazza o a non pensare a queste cose, ma io non riesco a fare nulla di tutto ciò.
Con la terapia prendo escitalopram prima, sostituita ora con fluoxetina.
A causa delle mie ansie fatico a dormire e in giornata sono spesso rallentato e ho poca memoria, mi sembra di vivere una vita a metà.
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Gentile utente,
tutte le volte che qualcuno ci scrive i suoi problemi, dicendo nello stesso tempo che è già seguito da uno psicoterapeuta, in pratica paralizza la nostra possibilità di risposta.
I disturbi da lei lamentati sembrano trarre origine da situazioni remote, difficili ma non impossibili da affrontare. Con questo non intendo affatto dire che lei necessiti di una terapia di tipo psicoanalitico classico (oggi sarebbe meglio dire: "arcaico"), ma certamente non basta, per produrre un cambiamento di comportamenti - emozioni - idee poco funzionali, spingerla ad agire o incoraggiarla a vedere i suoi aspetti positivi: "La psicoterapeuta da cui vado insiste sul fatto che non è così e mi sprona a invitare questa ragazza o a non pensare a queste cose".
Raccontato in questo modo, questo non è nemmeno il metodo di un cognitivo-comportamentale o di un terapeuta strategico: sembra solo il discorso di un amico benevolo ma del tutto sprovveduto, per cui devo credere che lei non abbia ben compreso quello che la sua curante le sta proponendo per attuare l'auspicato cambiamento.
Le dò dei suggerimenti, perché qualunque diagnosi è impossibile da qui:
per prima cosa chieda alla sua terapeuta di farle comprendere quali sono gli obiettivi che si propone di raggiungere, con che metodo e in quanto tempo;
si iscriva a quelle associazioni che permettono di stare con altri senza essere troppo giudicati, come avviene nel volontariato, in oratorio, al CAI etc.;
incrementi le gite all'aria aperta e l'attività sportiva, anche con caratteri agonistici (tennis per esempio);
provi a fare qualche seduta presso una Scuola di psicoterapia funzionale-corporea;
legga un manuale pratico sul recupero dell'autostima;
si iscriva ad un corso sull'assertività in ambito professionale: a volte certi blocchi si spezzano per vie traverse, affrontandoli indirettamente.
Ci scriva ancora, se crede, e ci parli dei primi momenti in cui si è sentito "inferiore" agli altri.
Buone cose.
tutte le volte che qualcuno ci scrive i suoi problemi, dicendo nello stesso tempo che è già seguito da uno psicoterapeuta, in pratica paralizza la nostra possibilità di risposta.
I disturbi da lei lamentati sembrano trarre origine da situazioni remote, difficili ma non impossibili da affrontare. Con questo non intendo affatto dire che lei necessiti di una terapia di tipo psicoanalitico classico (oggi sarebbe meglio dire: "arcaico"), ma certamente non basta, per produrre un cambiamento di comportamenti - emozioni - idee poco funzionali, spingerla ad agire o incoraggiarla a vedere i suoi aspetti positivi: "La psicoterapeuta da cui vado insiste sul fatto che non è così e mi sprona a invitare questa ragazza o a non pensare a queste cose".
Raccontato in questo modo, questo non è nemmeno il metodo di un cognitivo-comportamentale o di un terapeuta strategico: sembra solo il discorso di un amico benevolo ma del tutto sprovveduto, per cui devo credere che lei non abbia ben compreso quello che la sua curante le sta proponendo per attuare l'auspicato cambiamento.
Le dò dei suggerimenti, perché qualunque diagnosi è impossibile da qui:
per prima cosa chieda alla sua terapeuta di farle comprendere quali sono gli obiettivi che si propone di raggiungere, con che metodo e in quanto tempo;
si iscriva a quelle associazioni che permettono di stare con altri senza essere troppo giudicati, come avviene nel volontariato, in oratorio, al CAI etc.;
incrementi le gite all'aria aperta e l'attività sportiva, anche con caratteri agonistici (tennis per esempio);
provi a fare qualche seduta presso una Scuola di psicoterapia funzionale-corporea;
legga un manuale pratico sul recupero dell'autostima;
si iscriva ad un corso sull'assertività in ambito professionale: a volte certi blocchi si spezzano per vie traverse, affrontandoli indirettamente.
Ci scriva ancora, se crede, e ci parli dei primi momenti in cui si è sentito "inferiore" agli altri.
Buone cose.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.2k visite dal 22/06/2023.
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