Difficoltà con mio padre, sensi di colpa, rabbia e sofferenza

Gentili dottori, mi rivolgo a voi per un parere su come relazionarmi con mio padre.

I miei genitori sono divorziati da quasi vent'anni.
Mia madre è una persona molto dolce, un'ottima mamma.
Mio papà è sempre stato assente, concentrato sulla sua carriera e disinteressato a noi figli (ho una sorella), innamorato di mia mamma, ma molto egoista anche con lei.
Mia mamma lo ha lasciato a causa del clima pesante che vivevamo a casa: mio padre era sempre nervoso e stressato (al punto che avevo timore di invitare le amiche a casa), ossessionato dal lavoro e dai possibili problemi (che mai ci sono stati).
La notte si svegliava per lavorare, bestemmiando.
Lavorava tutti i giorni, fine settimana compresi, pretendendo l'aiuto di mia mamma.

Negli ultimi anni prima della separazione, iniziò ad abusare di alcolici.
Questa dipendenza, nascosta all'esterno, non gli impedì di rimanere performante sul lavoro.
Quando mia madre lo lasciò, fu una liberazione, non lo frequentammo per qualche anno.
Era troppo doloroso vederlo, inoltre lui reagì a questa rottura con molta rabbia verso noi figlie, un giorno arrivando a dirmi fosse colpa mia poiché mi vedeva felice, quindi secondo lui avevo condizionato la mamma in tale scelta (!).
In sede di separazione, rifiutò il mio affido condiviso (mia sorella era già maggiorenne) sostenendo che era meglio se di me si occupava mia madre, lui non aveva tempo.
Mia mamma non ha mai ostacolato il rapporto, anzi ha sempre detto che "è una brava persona, bisogna avere pazienza".
Dopo un po dalla separazione, ci riavvicinammo.
Fui merito mio, ricreai un nuovo equilibrio tra tutti.
Principalmente, lo feci per lui: mi faceva pena, mi sentivo in colpa, mi sembrava lo avessimo escluso.
Noi eravamo riuscite ad essere felici e serene (mia mamma risposandosi con una persona straordinaria, mia sorella gettando le basi del suo futuro) e lui mi sembrava non lo fosse, sempre scontento e con relazioni effimere.

In questi anni, siamo riusciti a condividere tanti bei momenti con papà, di cui sono grata.
Seguendo l'esempio di mamma, l'ho sempre giustificato "in fin dei conti non ci ha mai picchiate, ci ha regalato degli immobili, ci sono padri peggiori in giro".
Ultimamente qualcosa è cambiato, provo rabbia.
E' stato il mio fidanzato a farmi notare che quando sono con mio papà sono diversa, nervosa e aggressiva.
Negli ultimi mesi, abbiamo scoperto che è malato (una malattia cronica, è in lista per un trapianto).
Vederlo così, impaurito e vulnerabile, mi ha fatta stare malissimo: ha bisogno di me, mi cerca, mi scrive spesso messaggi affettuosi, eppure mi inveisce contro se offro il mio aiuto.
L'altro giorno abbiamo bisticciato, mi ha detto che a causa mia ha ripreso a fumare.
Ogni volta che lo incontro ho una lieve ansia, mi rabbuio, ma ho bisogno di sapere che si sente amato.
Come posso stargli accanto, aiutarlo a curarsi senza soffrire io?
Ho paura che un giorno possa morire, senza che ci siamo mai davvero conosciuti... Parlare con lui è difficilissimo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
credo di comprendere la sua sofferenza, fatta di rimpianti e timori per il futuro, ma anche di rabbia.
Di fronte ai comportamenti disfunzionali di una qualunque persona ci si chiede sempre se non ne è responsabile perché malato, o se invece scelga quel determinato comportamento "apposta", quindi in maniera determinata, colpevole.
Se si tratta di un genitore, l'aspettativa di un suo comportamento equilibrato, da parte dei figli, specie se minorenni, direi che è naturale, e la sofferenza per non trovare in lui un appoggio si colora inevitabilmente di risentimento.
Lei era troppo giovane quando le è stato chiesto di comprendere; di assumere lei un ruolo genitoriale, in pratica. Avrebbe dovuto invece vivere il lutto di un padre assente.
Ora può recuperare il dolore e la rabbia di allora, addirittura potrebbe essere opportuna una terapia familiare di lei e suo padre o di tutti e quattro voi.
In assenza di questo, cerchi il dialogo sincero con sé stessa. Vedrà che le sarà utile anche per meglio rapportarsi a suo padre.
Buone cose.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Gentile dottoressa, grazie di cuore, le sue parole mi hanno commossa.
Ha colto molto bene un punto: mi sono sempre sentita io il genitore di mio padre. Mia sorella ha un carattere diverso dal mio, meno forte. Pertanto, nonostante fosse lei la maggiore, sono sempre stata io a "risolvere i problemi" in famiglia.
Provo sentimenti ambivalenti: da un lato, una fortissima rabbia, dall'altro, molta tenerezza.
La rabbia nasce dal fatto di non aver avuto un padre su cui contare, ma anzi una persona che mi ha creato ostacoli. Talvolta provo un astio fortissimo. Quando penso ciò, mi sento in colpa, mio padre ha già fatto diverse donazioni immobiliari a favore mio e di mia sorella, di fatto garantendoci un futuro economicamente sereno. Ma poi mi dico, basta il denaro per dimostrare l'amore? Nonostante tutto, io percepisco che ci ama, ma nel suo modo egoista e immaturo. Lo perdono sempre dentro di me, ripetendomi "ci vuole bene, non è in grado di essere genitore, fa quello che può, io sono più forte devo prendermi cura di lui".
Mi fa anche molto soffrire il fatto che non abbia mai manifestato gratitudine per la mia sensibilità e disponibilità. Se provo a fargli qualche appunto, ha sempre una giustificazione e prende ad accusarmi di qualunque cosa, aggredendomi, salvo poi mandarmi sms del tipo "sei l'amore di papà", cui anche io rispondo con dichiarazioni di affetto, perché ho sempre bisogno di sapere che si sente amato.
Fortunatamente da diversi anni l'abuso di alcolici non c'è più, diversamente non sarebbe stato possibile avere un rapporto.
Mi domando perché abbia avuto questi problemi.. dalla vita aveva tutto: un lavoro ottimo, una moglie bellissima e devota, due figlie che non hanno mai dato problemi.. mi spezza il cuore l'idea che si sia sentito così solo da non essere mai riuscito a parlare con nessuno delle sue difficoltà. Alcune volte, ho provato il maniera molto pudica a toccare l'argomento, confessandogli alcune mie difficoltà per metterlo a suo agio, per poi ribadirgli che io ci sono sempre, con amore e senza giudizio.
Ora che è fragile e malato, vorrei costruire un vero rapporto con lui, fatto di dialoghi sinceri..ma lui pone un muro invalicabile. Escludo la possibilità di una terapia familiare, mio padre non accetterebbe mai. Dovrei forse fare io alcune sedute di psicoterapia? Con chi?
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
tra i molti segnali della sua sofferenza scelgo due punti della sua email:
"Lo perdono sempre dentro di me, ripetendomi "ci vuole bene, non è in grado di essere genitore, fa quello che può, io sono più forte devo prendermi cura di lui";
e poco oltre:
"Mi domando perché abbia avuto questi problemi.. dalla vita aveva tutto: un lavoro ottimo, una moglie bellissima e devota, due figlie che non hanno mai dato problemi.."
Quanto al primo punto, perdonare sempre è un bene? E per chi? Non per chi ha patito il torto, in questo caso la figlia cresciuta senza l'appoggio paterno, che si vede privata, in tal modo, anche della corretta visione del danno subito. Sarebbe un bene per chi sbaglia, allora, non dargli mai i corretti segnali che gli consentano di ravvedersi? Lei farebbe così con un figlio? Sua madre ha fatto così? Prima ha tollerato tutto, poi ha dato un taglio netto e definitivo?
Quanto al secondo punto, i problemi di fondo che determinano certi comportamenti, se inconsci, possono non manifestarsi mai. Da qui nasce forse l'erronea convinzione che non si debba mai giudicare, visto che non sempre sappiamo cosa determina certe azioni, certe emozioni, certe idee.
Tuttavia "non sempre sappiamo" non è sinonimo di "non sappiamo mai", così come non tutti i comportamenti sbagliati sono inevitabili conseguenze di processi mentali irrigiditi da traumi.
Molti esseri umani scelgono; sono in grado di farlo. Tuttavia a certi nostri affetti, a volte genitori, a volte figli, a volte partner, noi riserviamo costantemente un'indulgenza che non fa bene né a noi né a loro. Se si ragionasse così nei confronti di tutti, i più feroci assassini dovrebbero andare tutti assolti, anzi non dovremmo nemmeno sottoporli a giudizio.
Inoltre si può davvero credere alla buona fede di chi non è disposto a nessun confronto, né coi familiari più prossimi, né con uno specialista?
Lei, come molti, a questo proposito usa una formula assolutoria: "mi spezza il cuore l'idea che si sia sentito così solo da non essere mai riuscito a parlare con nessuno delle sue difficoltà".
Bella ma fantasiosa interpretazione: non ha parlato perché si sentiva solo, pur avendo a disposizione mezzo mondo? E per la stessa ragione non accetterebbe una terapia familiare e nemmeno personale, immagino, ma neppure un sereno dialogo di chiarimento?
E' una disgrazia per sé, o un danno per gli altri, il fatto di non saper mai dire: "Ho sbagliato. Mi dispiace"?
Per concludere, un percorso psicologico potrebbe affrontarlo anche da sola. Ma attenzione: in lei una certa interpretazione del passato si è ormai radicata creando un proprio equilibrio, che per quanto a volte si incrini non le permetterebbe di buttarla all'aria affrontando la tempesta di verità diverse da quelle un tempo accettate, senza una buona dose di sofferenza.
Sta a lei valutare se si sente di affrontarla.
Un abbraccio.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#4]
Utente
Utente
Grazie dottoressa, lei ha nuovamente colto il segno.
La verità è che provo molta pena per mio padre, lo vedo come un uomo debole ed insicuro, al di là della corazza di presunzione che si è costruito. Da tempo penso che la sua personalità presenti sfumature narcisistiche.
Temo che se gli dicessi cosa penso di lui, se gli ricordassi che ha distrutto una famiglia, che la separazione è stata colpa sua, che è stato ed è un pessimo padre, ne uscirebbe distrutto.
Mia madre lo ha sopportato per anni, sperando cambiasse, per salvare il matrimonio ha proposto una terapia psicologica, un incontro con un prete..mio padre le ha sempre risposto che lui doveva lavorare e non perdere tempo. Così, lo ha lasciato.
Lui in giro e a se stesso racconta che ha sempre lavorato per farci vivere nell'agio, che mia madre un giorno si è innamorata di un altro e l'ha lasciato e che noi figlie ce la siamo presa con lui abbandonandolo perché lavorava troppo, non sapendo che grazie al suo lavoro abbiamo sempre avuto tutto. Penso che la verità sia troppo dolorosa per lui, mi chiedo se in fondo la conosca o se l'abbia rimossa. Ultimamente, la mia rabbia è esplosa. Ogni volta che lo incontro lo aggredisco, gli ricordo qualche suo sbaglio (cose recenti, non parlo mai del nostro passato) poi mi pento, mi fa pena, e lo abbraccio dicendogli che gli voglio un mondo di bene. Non ho mai raccontato a nessuno ciò, in me ha sempre prevalso la necessità di proteggerlo e di non esporlo alle critiche. Per la prima volta, sono riuscita a parlarne al mio fidanzato, sempre un po' giustificandolo ed omettendo alcuni dettagli.
Capisco cosa intende riguardo alle possibili ripercussioni di una terapia e credo abbia ragione nel sostenere che l'eccessiva indulgenza verso chi amiamo sia dannosa, ma mi domando e le domando: ha senso dire a mio padre ciò che penso, chiedergli conto del suo comportamento, sapendo che è debole e malato, che mi aggredirà e che starà male?
A tutto ciò aggiungo che ha una compagna, che non ama, che è gelosa e possessiva, che io non sopporto. Ogni volta che gli faccio notare qualcosa che non mi va di questa donna, mio padre mi risponde, seccato, di non rompere e di stare tranquilla, che questa unione non mi danneggerà economicamente. Come sempre, parlando di soldi anziché dei miei sentimenti.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
forse sarebbe adatto per lei, in questo momento, il cosiddetto sostegno psicologico: non una terapia né uno svelamento che possa far crollare la visione di cui si nutrono da anni i suoi ricordi e i suoi valori.
L'attuale ambivalenza verso suo padre, la rabbia, l'astio, l'intolleranza, i rimproveri, forse nascono proprio dalla scoperta della sua fragilità, della sua malattia.
Un individuo indistruttibile, come i bambini amano considerare i genitori, sarebbe un bersaglio idoneo per il suo risentimento, un degno avversario a cui rivolgere le critiche troppo a lungo taciute. L'attuale individuo fragile e malato non lo è più.
In un certo senso, lei rimprovera a suo padre di sottrarsi ancora una volta al confronto con lei, e stavolta con le armi invincibili della malattia e della morte.
Giustamente nella sua prima email scrive: "Ho paura che un giorno possa morire, senza che ci siamo mai davvero conosciuti... Parlare con lui è difficilissimo".
Forse a un* psicolog* lei potrebbe chiedere questo: di aiutarla a parlare con suo padre, scoprire le sue ragioni, trovare le parole, le situazioni in cui lui voglia aprirsi, ricavandone piacere e non dolore.
Le auguro di trovare la soluzione migliore.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#6]
Utente
Utente
Il mio desiderio è appunto questo: riuscire ad avere un rapporto autentico con mio papà, fatto di dialoghi veri.
Ci sentiamo via sms quasi quotidianamente e ci incontriamo spesso. Durante questi incontri (aperitivi o cene), parliamo di argomenti superficiali (viaggi, attualità..), se provo a toccare qualche argomento personale, a lui scomodo, nella migliore delle ipotesi lui si irrigidisce e nella peggiore mi aggredisce.
Se gli domando come vanno le cure spesso mi risponde "non ho intenzione di rovinare la serata con questa storia, se insisti me ne vado". Talvolta ne parla di sua volontà, brevemente e cambiando poi argomento.
Mia sorella, anche se gli vuole bene e anche lei soffre per la malattia, si è rassegnata ad avere questo tipo di rapporto con lui, fatto di dialoghi vacui, sostenendo che "è fatto così, cosa ci vuoi fare". A me però ciò rattrista.
Quando o io o lei offriamo il nostro aiuto per accompagnarlo alle visite, spesso rifiuta o si arrabbia, dicendo che dobbiamo pensare a noi stesse, alle nostre vite, al nostro lavoro o a divertirci e non a lui. Io però percepisco che ha bisogno di noi.
Che tipo di professionista lei crede potrebbe aiutarmi? Uno psicologo di che tipo?
Un'ultima cosa le chiedo: non capisco cosa intenda quando parla di "svelamento che possa far crollare la mia visione dei ricordi e dei valori". A me sembra di vedere le cose lucidamente: so che mio papà è un genitore disfunzionale, ma gli voglio bene e credo che anche lui me ne voglia.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente,
le reazioni di suo padre ad ogni proposta che voglia rendere il vostro dialogo più autentico toccando temi più personali sono quelle che ci si possono attendere da chiunque, tanto più da una persona che proprio per non aver voluto affrontare emozioni, bisogni, sentimenti profondi e autentici ha rovinato un matrimonio con figli e chissà quante altre relazioni, danneggiando sé per primo, fino a dover ricorrere all'alcolismo per perdersi nell'oblio con questo paradiso artificiale che è piuttosto simile all'inferno.
Non dubito che nel passato lui abbia opposto il suo farvi vivere nell'agiatezza a chi gli rimproverava l'incapacità di dialogare e manifestare sentimenti (tenga conto che il lavoro compulsivo è considerato anch'esso una dipendenza), ed è probabile che ci credesse allora e che ci creda con ancora più forza adesso.
Questi meccanismi mentali sono gli schemi che ciascuno di noi si costruisce per affrontare l'esistenza: rigidi e non modificabili per gli psicotici, modificabili con fatica e cure -e solo se ce n'è la volontà- per quelli che un tempo si definivano nevrotici; flessibili e adattabili alle varie esperienze per le persone "sane".
Suo padre non è "fatto così", come dice sua sorella, ricalcando la visione popolare del cosiddetto "carattere", ma certamente così è diventato, per una concomitanza di circostanze e di scelte personali, non certo meditate quanto impulsive e perciò spesso erronee.
Lei può ben capire che la percezione che ciascuno di noi oscuramente avverte, di avere sbagliato, può essere devastante per qualcuno che ha pagato l'errore con la perdita di quello che amava, forse anche della propria salute e della propria autostima.
Un esempio di questi schemi - modelli - occhiali interni o come si preferisca chiamarli, con cui ciascuno di noi interpreta l'esistenza, lo ritrova in lei stessa, quando scrive: "non capisco cosa intenda quando parla di "svelamento che possa far crollare la mia visione dei ricordi e dei valori". A me sembra di vedere le cose lucidamente: so che mio papà è un genitore disfunzionale, ma gli voglio bene e credo che anche lui me ne voglia".
Cosa vuol dire "vedere le cose lucidamente"? Vederle "oggettivamente"? Non è questa la più grande illusione degli esseri umani?
Lei bambina ha avuto necessità, come tutti, di capire la realtà per muoversi all'interno di essa, e questo vuol dire farsene uno schema interpretativo, in parte con gli imperfetti strumenti propri, molto di più con quelli messi a disposizione degli adulti a cui ci affidiamo, altrettanto imperfettamente acquisiti.
La sua era una realtà con alcuni specifici elementi dolorosi: un papà tanto scorbutico e incapace di controllare il malumore da non poter invitare a casa le compagne di scuola; una mamma sempre dolce, angelica, forse percepita come vittima del malumore paterno. Più tardi la 'scomparsa dell'orco' dalle vostre vite, sempre interpretato secondo schemi immaturi e probabilmente contraddetti da sentimenti ed emozioni che piangevano la perdita della figura paterna, e così via.
Una terapia potrebbe prendere per mano la bambina che giace nascosta dentro di lei, irrigidita sia sul piano cognitivo che su quello emotivo, e permetterle di rivisitare le figure dell'antica fiaba che si porta dentro con gli occhi e i sentimenti di lei adulta. Potrebbe essere doloroso, per farle gli esempi più semplici, farle ricordare qualche sua chiusura ostile di allora verso suo padre, o la sua cieca adesione ad ogni decisione materna.
Suo padre sarà anche stato un genitore disfunzionale, ma la coppia genitoriale è una diade, in cui spesso modalità opposte risultano funzionali al mantenimento di certe dinamiche.
Scoprire tutto questo sarà anche utile per l'adulta che vorrà diventare un giorno anche madre, ma vuol dire passare attraverso una tempesta proprio nel momento in cui suo padre sta male, e anche lei.
Infine rispondo alla sua ultima domanda: "Che tipo di professionista lei crede potrebbe aiutarmi? Uno psicologo di che tipo?"
Cara utente, il "sostegno psicologico" di cui le parlavo nella risposta precedente è nell'art. 1 della legge 56/89 che regolamenta la nostra professione, perciò è prerogativa di qualunque psicologo.
Scelga comunque in base ad empatia; molti psicologi fanno un primo colloquio gratuito proprio per definire alcuni elementi di base. Lei dovrà fare una richiesta precisa, che mi sembra in questo momento quella di acquisire la tecnica per entrare in un contatto più profondo e autentico con suo padre, senza fare troppo male a nessuno dei due.
Le auguro di trovare quello che cerca.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

[#8]
Utente
Utente
Buongiorno dottoressa. Ho riflettuto in questi giorni su quanto mi ha scritto.
Le avevo chiesto un chiarimento su cosa intendesse con l'espressione "svelamento che possa far crollare la mia visione dei ricordi e dei valori" e le avevo risposto in quel modo (dicendo che sono consapevole del suo comportamento disfunzionale, ma che ci vogliamo bene) perché in prima battuta pensavo alludesse al fatto che giustifico sempre mio papà. Ora mi ha chiarito cosa invece intendeva. È vero, durante l'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, vedendo mia mamma soffrire, credevo che lei fosse una vittima e che tutte le colpe fossero di mio papà. Da molto tempo invece ho abbandonato questa visione così rigida delle cose, nella consapevolezza che la realtà e le dinamiche tra le persone sono sempre più complesse di quanto in superficie appaiano.
In questi giorni mi attiverò per cercare un professionista con cui fare qualche seduta.
La ringrazio nuovamente e sentitamente per le sue indicazioni e repliche.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Sono lieta di esserle stata utile, cara utente, e le auguro di risolvere nella maniera migliore, anche in vista del suo futuro.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com